Agenzie: Le guerre della VII (da Sguardi 16)
Gli otto reportage differiscono nella loro durata: alcuni per esempio sono stati realizzati nel corso delle prime settimane di intervento americano in Iraq, mentre altri sono frutto di un lavoro di più anni (Ron Haviv nella ex-Jugoslavia). La guerra è il tema principale di questi reportage, anche se essa assume forme diverse: sofisticate e convenzionali al tempo stesso (vedere le immagini di Gary Knight in Iraq), o più primitive come a Gaza (Christopher Anderson).
Una guerra tra nazioni (Cecenia) o tra membri di comunità etniche e religiose diverse (Afghanistan, Jugoslavia), gli scontri di piazza tra la polizia e gli oppositori del regime in cui la violenza supera quella delle normali manifestazioni (Indonesia). Molto vicino a noi, il conflitto nei Balcani intacca durevolmente la costruzione europea; altri sembrano più lontani, ma questo senso di lontananza è talvolta soltanto geografico. La mostra aprirà su tre conflitti importanti degli anni novanta: Jugoslavia, Cecenia e Afghanistan. Dal 1991 Ron Haviv fotografa le conseguenze dello scioglimento della federazione jugoslava e l'intensificazione della guerra, della quale i bosniaci pagheranno il prezzo più caro, fino all'arresto di Slobodan Milosevic dieci anni più tardi. Christopher Morris documenta la guerra in Cecenia che i Russi conducono dalla fine del '94 e che terminerà temporaneamente nel 1997. Il 1996 segna l'entrata dei Talibani a Kabul e l'instaurazione del loro regime in un paese che non sembra avere altro avvenire che la guerra: James Nachtwey ne fotografa le cicatrici. Ma non è solo in Cecenia o in Afghanistan che la storia si ripete: tre anni dopo la prima guerra delle pietre (1987), negli stessi territori occupati dove opera Christopher Anderson (la striscia di Gaza) si sviluppa quella che è stata chiamata la seconda intifada. È sempre nella sollevazione della folla che il movimento sorto in Indonesia alla destituzione del presidente Suharto (1998) trova la sua origine: John Stanmeyer ne segue l'evoluzione e anche le implicazioni nella regione di Timor Est mostrando l'estrema brutalità della repressione. Alexandra Boulat è inviata in Iraq all'inizio del 2003 per documentare la vita quotidiana all'avvicinarsi della guerra; fotograferà poi Baghdad e i suoi abitanti sottoposti alla dura prova dei bombardamenti. Da parte sua, Gary Knight segue da vicino l'intervento delle forze militari su terra: l'episodio che ha intitolato "The Bridge" potrebbe ricordare il ritmo e l'atmosfera delle fiction cinematografiche, ma qui tutto è vero. Quanto a Antonin Kratochvil, egli mostra nel deserto, intorno alle città o ai bordi delle strade, un paesaggio terribilmente devastato, le tracce fisiche, sia umane sia materiali, lasciate dalla guerra. […] La VII è un'agenzia di fotografi nata - nel settembre 2001 - per rispondere ai drammatici cambiamenti che si stanno verificando rispetto alla proprietà, alla rappresentatività e la distribuzione del giornalismo fotografico.
In un panorama di fusioni, acquisizioni, consolidazioni tra le agenzie fotografiche, i fotografi della VII sentivano unanimemente la necessità di un cambiamento.
La VII è nata per ridefinire le relazioni tra i fotografi, il loro lavoro, l'agenzia e il pubblico.
L'agenzia cerca di difendere i diritti di ognuno dei suoi fotografi e di sviluppare nuove strategie per supportare progetti fotografici con l'intento di presentarli a un pubblico più ampio e internazionale.
La VII prende il nome dal numero dei soci fondatori: Alexandra Boulat, Ron Haviv, Gary Knight, Antonin Kratochvil, Christopher Morris, James Nachtwey, John Stanmeyer, a cui si è aggiunto nella primavera del 2002 Christopher Anderson.
© James Nachtwey
Noor: una agenzia di fotografi (da Sguardi 63)
Un'esposizione collettiva che si conclude a Parigi proprio in questi giorni (presso la Maison de la Photographie Robert Doisneau) dà l'occasione di concentrare l'attenzione su una delle novità più significative nel mondo delle agenzie fotografiche negli ultimi anni. C'è stata e c'è la Magnum Photos, la Seven, l'intervento massiccio di Getty, in Italia la diarchia Contrasto/Grazia Neri. Dal settembre 2007, con battesimo a Perpignan durante l'edizione annuale del glorioso festival dedicato al fotogiornalismo Visa pour l'image, è nata Noor ("luce", in arabo), "un'agenzia di fotografi", come recita lo stesso titolo dell'esposizione parigina. Nella photogallery che accompagna questo servizio, Sguardi propone alcune delle 103 fotografie esposte, una per ciascuno dei nove fotografi dell'agenzia. Nata dalla decisione di unire le visioni personali, dalla combinazione degli sguardi indipendenti di Samantha Appleton, Philip Blenkinsop, Pep Bonet, Jan Grarup, Stanley Greene, Yuri Kozyrev, Jon Lowenstein, Kadir van Lohuizen, Francesco Zizola. Come ha scritto Annie-Laure Wanaverbecq, in occasione della mostra parigina, «la giovane agenzia Noor appare subito come una sfida, nel contesto mediatico attuale. Realizzare reportage nel corso di lunghiperiodi, individuali e collettivi, occuparsi di soggetti complessi per rivelare delle realtà di tutto il mondo, testimoniare con rigore e precisione nel rispetto della dignità umana, sono gli impegni in nome dei quali questi fotografi hanno unito le loro convinzioni e capacità. Emozionante e coraggioso, questo approccio è coerente alla migliore tradizione del fotogiornalismo. Questa impresa collettiva è tanto più eccezionale perché i fotografi coinvolti sono già reporter famosi dalla carriera imponente. Nel corso degli anni, ciascuno ha caratterizzato i propri lavori con una forte visione personale». L'agenzia Noor si è data una missione e si è formata attorno a un manifesto. La missione di Noor è di aiutare a sviluppare la comprensione del mondo, producendo reportage approfonditi, e di agire in modo dinamico e collettivo, per promuovere, esporre e vendere l'opera dei fotografi che ne sono membri. Nel Manifesto è indicato che «come gruppo, i fotografi di Noor condividono i propri centri d'interesse, accettano la sfida di esprimere questi temi in un linguaggio capace di rinnovarsi, e di trattarli nel rispetto della dignità umana. Sono fotografi documentaristi consapevoli del fatto che i principali cambiamenti di fronte ai media tradizionali sono in favore di una diffusione di massa sempre crescente dei nuovi media. Anche se rispettano il mercato come è, non accetteranno le sue direttive, né baseranno le loro decisioni solo in base alle sue esigenze, continueranno a portare avanti progetti che ritengono importanti e produrranno saggi fotografici importanti e significativi, trattandoli in profondità, ritenendo che alcune cose abbiano semplicemente bisogno di essere viste. I dieci membri - nove fotografi e Claudia Hinterseer, direttrice e co-fondatrice di Noor - ricercano forme di collaborazione con Ong e fondazioni, il sostegno finanziario di borse di studio, sovvenzioni, sponsor».
Samantha Appleton / NOOR. Des immigrants illégaux, au cours de leur voyage vers les Etats-Unis,
se reposent près de la frontière du Guatemala.Tapachula, Mexique, janvier 2002
Grazia Neri: La passione dell’agente (da Sguardi 8)
Che cos'è, per lei, la fotografia? Quale ritiene sia la sua specificità rispetto ad altri strumenti di espressione e comunicazione, come per esempio la parola scritta o l'immagine in movimento?
La fotografia, per me, è l'oggetto del mio lavoro e, nel corso degli anni, è diventato anche un interesse al di fuori del lavoro. Rispetto al video, credo che la fotografia dia una maggiore possibilità di riflessione perché, essendo immagine ferma, può essere vista e rivista in diverse situazioni di fruizione. Personalmente amo molto vedere le foto nei libri, più che nelle mostre o sui giornali, perché non scorrono in continuazione e posso vederne a volontà. Rispetto alla parola scritta, in certi casi la fotografia - come ha affermato tra gli altri Nadine Gordimer - riesce a comunicare un'informazione che la parola scritta non può dare. Per fare un esempio, proprio in questi giorni c'è nella mia galleria una mostra sulla Bosnia. In questi anni ho letto molti libri interessanti sulla Bosnia, ma non ho mai ritrovato la potenza, l'impatto, la forza di documentazione (alla base della quale c'è il desiderio di metterci di fronte a scelte sociali e politiche) che hanno queste foto di ritrovamento dei corpi, di identificazione, di ricerca di identità, forza che è ben difficile che la parola scritta possa avere. […]
Come nasce un rapporto di lavoro con un fotografo?
Io sono oberata da richieste di fotografi. In un certo senso, avrei bisogno di fotografi. Vedo molti lavori che oserei chiamare aborti di un book, di un portfolio. Prima di tutto c'è un problema: il fotografo che si presenta pensa di essere un artista. A me la cosa interessa, perché tra l'altro ho anche una galleria. Però il portfolio che desidero avere per il cliente deve avere una sua specificità. A me manca, per esempio, la ritrattistica e vedo in giro pochissimi portfolio brillanti. La seconda cosa è che in Italia abbiamo la venerazione per il bianco e nero, ma purtroppo il mondo è anche a colori. L'agente deve riconoscere un talento. Quando si vede un fotografo medio si è impacciati, c'è sempre una timidezza reciproca, si dice "forse puoi fare qualcosa meglio così". Poi ci sono quegli ottimi professionisti che non riescono a fare quel passo in più, che sono bravi ma non producono qualcosa in più del loro lavoro abituale. Una ricerca, un'attenzione, una passionalità. Senza passione, gioco, questo lavoro è brutto, noioso.
Cosa deve esserci in un buona documentazione fotografica?
Se si parla di reportage, una documentazione deve soprattutto raccontare una storia, così come la deve raccontare un giornalista. Se ha una sequenza, lo preferisco. Non didascalica. Deve avere una completezza, che invece spesso non c'é. Non mi piacciono i servizi generici, non li posso sopportare. Mi piace che si entri nei dettagli delle storie e li si racconti. Mi piace che un servizio abbia una bella foto di apertura, che mi introduca, mi solleciti. Mi piace che in un servizio importante ci sia un editing accurato, non eccessivo ma neanche troppo stretto; avere non 8-10 foto, ma almeno una trentina di foto. Mi piace poi che sia presentato molto ordinatamente e che ci siano le didascalie. […] Per quanto riguarda il genere, le mie preferenze possono cambiare da momento a momento. A me piace quando una documentazione fotografica arriva a un tale livello che può essere considerata una fotografia artistica.
Grazia Neri © Douglas Kirkland / GRAZIA NERI
Medici senza frontiere & Noor, Urban Survivors (da Sguardi 86)
La più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo e la fotografia. I progetti portati avanti da Medici Senza Frontiere in cinque bidonville - a Dacca, Karachi, Johannesburg, Port-au-Prince e Nairobi - e le immagini di cinque fotografi di fama internazionale come Stanley Greene, Alixandra Fazzina,Francesco Zizola,Jon Lowenstein ePep Bonet che hanno visitato i progetti in quelle aree degradate. Le fotografie e i video-documentari che hanno prodotto testimoniano la vita quotidiana nelle bidonville, le condizioni di vita estreme della popolazione (a causa di malnutrizione, acqua contaminata, mancanza di servizi igienico-sanitari, infezioni, HIV/AIDS), gli enormi bisogni umanitari e medici di donne, uomini e bambini.Immagini e testimonianze che hanno dato vita a Urban Survivors, il progetto multimediale nato dalla collaborazione tra MSF e l’agenzia fotografica NOOR (un viaggio virtuale nelle bidonville si può compiere anche nel sito interattivo www.urbansurvivors.org attraverso foto-film, interviste ai fotografi e agli operatori sul terreno). […] Appare chiaro che le baraccopoli possono generare
o esasperare problemi sanitari gravi ed estesi che colpiscono soprattutto le donne, i bambini e i migranti senza documenti. Man mano che le città continueranno a estendersi, gli slum si espanderanno con esse. Questo è un fatto che non si può ignorare. Attraverso il proprio lavoro degli ultimi decenni negli insediamenti urbani, MSF ha riscontrato che la crescente popolazione urbana ha creato un maggiore bisogno di interventi umanitari negli insediamenti degli slum. In molti luoghi, la situazione è cosi grave che può solo essere definita come un’emergenza umanitaria. Di conseguenza, MSF ha aumentato le proprie risorse per lavorare in questi insediamenti e al momento gestisce progetti in più di venti città nel mondo.
© Stanley Greene
France Presse: Il mondo in conflitto (da Sguardi 21)
Dieci anni di conflitti nel mondo attraverso le immagini dell’Agence France Presse.
Un’ottantina di scatti, tratti dal lavoro di oltre cinquanta fotografi, documenti degli sconvolgimenti geopolitici di alcune delle più tormentate zone del pianeta: dalla Cecenia al Kossovo, dal Ruanda al Congo, dagli stati latino-americani fino alle ultimissime vicende in Iraq. L’esposizione, omaggio alla professionalità e al coraggio dei corrispondenti di guerra (prodotta in Francia in occasione del decimo anniversario del Prix Bayeux-Calvados des Correspondants de guerre), è alla galleria Grazia Neri di Milano dal 23 giugno al 24 luglio. La France Presse è una delle tre maggiori agenzie mondiali d’informazione, in grado di assicurare la copertura in tempo reale di tutta l’attualità grazie a uno staff di collaboratori stabili (tra cui 1200 giornalisti e 250 fotografi) e migliaia di giornalisti freelance dislocati in 165 paesi.
Organizzata per continenti, con cinque poli principali (Parigi, Hong Kong, Montevideo, Washington e Nicosia), Afp pubblica 10 mila informative al giorno. Il servizio fotografico internazionale di Afp diffonde via satellite in tempo reale più di mille foto al giorno in tutto il mondo che vanno ad aggiungersi ai 7 milioni di immagini già presenti negli archivi Afp.
Lo sviluppo e le sempre maggiori potenzialità della trasmissione e della ripresa fotografica su supporto digitale e hanno collocato saldamente i fotoreporter di Afp agli avamposti dell’attualità. Oltre al ruolo importante svolto in Europa, Afp è leader dell’informazione in Asia, nel mondo arabo e nel continente africano.
KHANABAD, AFGANISTAN, 25 novembre 2001. Le forze dell'Alleanza del Nord attendono l'ordine di marciare su Kunduz.
© Jean-Philippe KSIAZEK/AFP/Grazia Neri
Non solo Wpp: I 5 della Kairos (da Sguardi 69)
Pietro Masturzo ha vinto, quest'anno, il World Press Photo. Il premio Photo of the Year 2009 alla sua immagine Sui tetti di Teheran, scattata il 24 giugno scorso durante le manifestazioni antiregime, lo ha fatto naturalmente diventare famoso, ma ha anche acceso i riflettori sulla piccola agenzia che assieme ad altri giovani fotografi ha creato, la Kairos Factory. Di seguito, ecco l'intervista in parallelo ai cinque membri dell'agenzia, accompagnata da una photogallery di 30 immagini, per dare idea e sostanza al collettivo che Kairos Factory vuole essere nel rispetto delle storie e caratteristiche di ciascuno. […]
Sul vostro sito scrivete di volere unire approcci diversi. Come definiresti il tuo? Cosa credi lo caratterizzi?
[Pietro Masturzo] Il mio approccio alla fotografia è sicuramente reportagistico. Il punto di partenza, per me, è l'incontro con l'altro, anche quando questo è dietro la porta di casa. Partendo dal confronto, la mia volontà è quella di immergermi nella situazione che sto vivendo in quel momento, entrare in sintonia con il luogo e con i sui abitanti estrapolandone poi il racconto dal mio punto di vista. Cercando di rimanere quanto più oggettivo possibile pur conservando volutamente i miei sentimenti. [Raffaele Gallo] Il mio approccio alla fotografia è cambiato molto negli anni. Dapprima mi sono rivolto allo stile reportagistico. Ora sono orientato ad una fotografia di ricerca con intenti documentaristici che possano amplificarsi anche in una dimensione più ampia di costruzione di immagini significanti e di significati complessi ed articolati. [Raffaele Capasso] Credo di avere un approccio fotografico molto diretto. Cerco di programmare davvero poco per lasciarmi trasportare dalle circostanze. L'idea di confrontarsi con l'imponderabile è la cosa che più amo del fotografare. [Francesco Claudio Cipoletta] Il mio stile fotografico non è strettamente reportagistico. Sono in qualche modo un ritrattista dell'ambiente. Cerco di avere un approccio rigoroso allo scatto ed allo stesso tempo fortemente istintivo. [Cristiano Lucarelli] Il mio lavoro è improntato maggiormente su foto di spettacolo e di scena. Da circa due anni mi sono avvicinato prima alla fotografia di cronaca e poi al reportage.
Cosa cerchi di rappresentare, descrivere, catturare nelle tue foto?
[PM] Nelle mie foto cerco sempre di mediare tra informazione ed emozione dell'attimo che voglio raccontare. Quello che mi interessa è fissare avvenimento e sentimento. Parto dalla convinzione che l'atmosfera che avvolge il soggetto faccia parte dell'informazione che voglio trasmettere. Ma non ho mai la presunzione di voler raccontare tutto, non è mia intenzione fornire risposte, quello che mi interessa è soprattutto porre delle domande.
[RG] Credo che la fotografia, ogni fotografia, rappresenti sempre un incontro fra il fotografo ed il mondo all'interno del quale si sviluppa un gioco dinamico di interazione ogni volta diverso. Personalmente cerco di trasmettere quanto più possibile le emozioni del momento e la mia personale visione, cercando di render conto soprattutto dell'atmosfera di quello che sto vivendo.
[RC] Per me la fotografia è un'alchimia. Non hai il controllo di tutto, una buona percentuale della foto non dipende da te; io cerco di occuparmi del resto.
[FCC] Cerco sempre di raccontare l'anima dei luoghi in cui scatto e le storie che si portano dentro. Tendo a lasciarmi totalmente permeare dalla situazione e dal posto in cui sono. In qualche modo cerco il bello in ciò che canonicamente non lo è.
[CL] Con le mio foto semplicemente cerco di cristallizzare le emozioni che mi circondano, descrivendo il mondo visto secondo il mio occhio e il mio stato d'animo.
Teheran, giugno 2009. Il 12 giugno si sono svolte in Iran le elezioni presidenziali i cui risultati sono stati fortemente contestati dalla popolazione. Per la prima volta dopo trent'anni dalla Rivoluzione gli iraniani hanno espresso tutto il proprio dissenso organizzando manifestazioni oceaniche contro il regime. Ma la protesta non si ferma alla piazza: così come all'epoca della cacciata dello scià, tutte le sere alle dieci in punto ha inizio la rivolta dei tetti. La notte di Tehran si riempe di voci ed ombre che si fanno eco a vicenda al grido di “Allah u Akbar” a volte spezzato da un più indignato “Makbar diktator” (morte al dittatore). Sogni, ricordi, emozioni e speranze si aggirano come fantasmi sui tetti di Teheran. Foto Pietro Masturzo/Kairos Factory
Non solo WPP: I quattro di TerraProject (da Sguardi 81)
Sul sito scrivete che "TerraProject Photographers si propone come strumento di promozione dei suoi membri e dei loro lavori personali, come luogo di confronto e crescita collettiva". Ecco, come funziona il lavoro in un collettivo? Come si armonizzano le scelte, il gusto, lo stile personale con quelli degli altri e con la filosofia generale, con "l'esigenza di una chiave di lettura comune"?
[Michele Borzoni] Fino ad ora, la chiave di lettura principale è stata quella di privilegiare in qualche modo una scrittura collettiva, talvolta a discapito dell'autonomia e dell'autorialità del singolo, e che desse invece attenzione e risalto al gruppo. Pertanto tutti i processi che normalmente si fanno per arrivare ad un corpo di lavoro finito, nei lavori collettivi sono discussi e partecipati secondo un'ottica orizzontale, dove quindi i pensieri dei singoli pesano in egual modo.
[Simone Donati] I progetti vengono scelti insieme, di solito dopo che ad uno di noi è venuta in mente un'idea da sviluppare. Ci dividiamo quindi i compiti a livello logistico e poi ognuno realizza la serie di immagini assegnata. In fase di editing ci confrontiamo sul creare un corpo unico e armonico.
[Pietro Paolini] Il lavoro di gestione, organizzazione e promozione chiaramente si avvantaggia del fatto che siamo in quattro; riusciamo a creare più possibilità per tutti anche sfruttando le diverse attitudini e i singoli punti di forza. Per quanto riguarda i progetti fotografici collettivi, il nostro interesse è stato sempre quello di sperimentare la creazione di autore multiplo, ma coerente. Ci siamo sforzati di produrre singolarmente delle foto che rientrassero nello stile delcollettivo, lo sguardo singolo in questo caso viene assolutamente messo da parte, favorendo il risultato finale del lavoro. Ognuno poi si sfoga e trova la sua personale visione nei progetti individuali. Una delle cose interessanti è proprio mettere in gioco il classico concetto di autore e di stile.
[Rocco Rorandelli] Il linguaggio collettivo che abbiamo sviluppato in questi anni di collaborazione è una cosa di cui vado particolarmente fiero, perché è la summa di ideali e visioni che ognuno di noi porta dentro sé. E riuscire a veicolare i desideri di quattro persone senza alcuna costrizione o deformazione è una cosa bellissima. In realtà, quando abbiamo deciso di riunirci sotto un nome unico, la priorità era quella di aiutarsi a vicenda ad affrontare il mondo della fotografia, un po' come un gruppo di scalatori al cospetto della vetta, in cordata. Ma poi in maniera molto naturale abbiamo iniziato a produrre lavori comuni che parevano vivere di una propria identità. Era come se avessimo creato un quinto elemento del gruppo.
Bolivianas © Pietro Paolini / TerraProject
Agenzie: Emblema (da Sguardi 75)
Subito sotto il nome dell'agenzia, c'è scritto photojournalism in Italy, una dichiarazione di intenti chiara e diretta. L'avventura di Emblema inizia nel 1999. Obiettivo: testimoniare la realtà italiana e internazionale, con uno sguardo diretto su news, storie, costume e società. Oggi Emblema conta una ventina di fotografi tra staff e contributors sul territorio nazionale e dispone di oltre 100.000 immagini di news, personaggi, attualità. Qui, di seguito, Riccardo Pezzetti, managing director, illustra la filosofia editoriale dell'agenzia, e poi Raffaela Lepanto ci parla di photoediting evisione creativa. «Abbiamo iniziato con una camera oscura, tre computer e una naturale passione per il fotogiornalismo» dice Riccardo Pezzetti, «le foto si consegnavano a mano, si pubblicava in bianco e nero, il web non esisteva. Sembra ormai preistoria, ma stiamo parlando di soli dieci anni fa! All'epoca le strade erano battute da fotografi di professione, ora ci sono i professionisti della fotografia. Sembra un gioco di parole, ma la differenza non è sottile. L'avvento del digitale ha trasformato questo mestiere dalla testimonianza di un fatto allo scatto frenetico a qualunque cosa si muova; il desiderio di approfondimento si è tramutato nell'esigenza della pubblicazione; si assiste a scene dove si spediscono immagini prima ancora che l'evento sia iniziato, venendo meno allo scopo di questo lavoro: puntare l'obiettivo sul racconto della storia e dargli il proprio taglio nella sua rappresentazione. […] Per citare Brian Storm, la gente è letteralmente "affamata" di storie. Di storie vere, raccontate nei dettagli, con passione, ricercate, immaginate, trovate dal fotoreporter con la stessa identica passione e accanimento del giornalista che insegue il suo racconto finché non ce l'ha in mano... E la gente, quella affamata, e non assopita, questa ricerca, questa passione la recepisce, la recepisce davvero, e lo dimostrano il successo dirompente del Community Funded Reporting come Spot Us, o Pro Publica (che ha vinto il premio Pulizter per il giornalismo l'anno scorso) dove le storie da scrivere sono scelte dal pubblico che da casa le sponsorizza, o l'assiduità commovente con cui la gente lascia migliaia di commenti sui blog di fotografia, magari rimanendo in piedi la notte per scrivere, l'immensa onda dei social network che rimbalza immagini, e a volte immagini straordinarie... alla gente poco importa che le immagini siano state scattate con un'Hipstamatic, con Google o con un reflex costosissima... l'importante è che ci sia una storia vera, che valga la pena di essere raccontata.
© 2010 Simone Stefanelli/Emblema Burkina Faso, Essakena - The Filtobe Kaagne are gold diggers of Essakena, 270 km north of the capital Ouagadogou
Antonio Amendola: 100 click 4 Change (da Sguardi 78)
Shoot 4 Change è l’Associazione di Promozione Sociale che intende sensibilizzare l’opinione pubbli