Moda: Lo sguardo italiano (da Sguardi 29)
Negli ultimi anni la fotografia di moda è diventata il medium privilegiato della cultura visiva contemporanea: si è evoluta dalla sua condizione di supporto della moda in produttrice di icone e di idee tese alla costruzione di immaginari. Il suo potere, nel suo definirsi immagine e comunicazione, è quello di registrare e molto spesso determinare il qui e ora del nostro tempo. Il progetto Lo Sguardo Italiano vuole non solo portare alla ribalta alcuni degli autori italiani che hanno fatto la storia della fotografia, ma vuole anche evidenziare uno stile italiano che va oltre la moda, offrendoci una sorta di repertorio di immagini che ricostruiscono l'avvicendarsi delle mode e le evoluzioni della società dal dopoguerra ai giorni nostri, puntando a ricostruire con le fotografie, i servizi di moda nelle riviste italiane e straniere, le campagne pubblicitarie, uno spaccato significativo della fotografia italiana e dei suoi autori.
© Silvia Camporesi
The Cal: Collezione Pirelli (da Sguardi 97)
Puntuale, da cinquant'anni, torna il Calendario per eccellenza, il Pirelli, The Cal. Da oggetto di campagna di comunicazione è diventato col tempo oggetto di culto, anticipatore di mode, interprete di cambiamenti, status symbol e opera d'arte, laboratorio di idee, tecniche e tendenze della fotografia per tutto il mondo; una vetrina ambitissima per fotografi e modelle. Presentato per la prima volta nel 1964, il Calendario Pirelli giunge alla sua quarantaduesima edizione con l'anno 2015, affidato questa volta a Steven Meisel. Forma e Desiderio, circa duecento immagini scattate da grandi nomi della fotografia contemporanea - da Herb Ritts a Richard Avedon, da Peter Lindberg a Bruce Weber, da Peter Beard a Steve McCurry, da Patrick Demarchelier a Helmut Newton - per realizzare ogni anno l'edizione del Calendario. «Tutti i grandi fotografi protagonisti del Calendario Pirelli - sostiene Walter Guadagnini - da Stern a Weber, da Avedon a Newton, da Testino a Sorrenti, da Ritts a Lindbergh e oltre, si confrontano con la storia, con le simbologie e le mitologie, con gli apparati scenografici e con le composizioni astratte, con la ricerca esplicita della seduzione - magari anche solo quella del luogo, non necessariamente quella del corpo - in un tempo sospeso, tra realtà e illusione, elementi tutti che ritornano con costanza ma con diversi pesi nelle singole scelte, e che danno però la cifra complessiva di una straordinaria avventura fotografica».
© Richard Avedon, 1997
Patrick Demarchelier (da Sguardi 36)
31 stampe in bianco e nero, moda, ritratto, paesaggi, animali.
La Young Gallery di Bruxelles inaugura il suo nuovo spazio espositivo (presso l'Hotel Conrad) ospitando (dal 12 ottobre al 10 dicembre) la mostra di uno dei più grandi fotografi di moda: Patrick Demarchelier.
Immagini dove linee, luce e forme, con cui il fotografo gioca, si uniscono allo scopo di esprimere la bellezza in tutte le sue forme. Demarchelier (per il quale “la bellezza è ovunque, bisogna solo aprire gli occhi”), dopo aver iniziato a Parigi pubblicando su Elle e Marie Claire, lavora da tempo per i maggiori magazine internazionali di moda, come Vogue, Harper's Bazar, Vanity Fair. A metà degli anni ‘70 si è trasferito a New York, dove ha consolidato la sua fama di ritrattista e fotografo di moda, realizzando serie fotografiche per firme come Calvin Klein, Ralph Lauren, Versace, Chanel, Louis Vuitton, Armani, e immortalando molti personaggi celebri, tra cui Janet Jackson, Nicole Kidman, Madonna, Hillary Clinton, la Principessa Diana. Ha realizzato le immagini dell'edizione 2005 del Calendario Pirelli ed è già incaricato di realizzare la sua prossima edizione.
© Patrick Demarchelier
Met: The Model as Muse (da Sguardi 64)
La modella come musa: la mostra racconta la relazione tra l'alta moda e l'evoluzione degli ideali dibellezza, ponendo l'accento sul ruolo delle modelle di moda divenute icone nella seconda metà del Novecento. Come ha dichiarato Harold Koda, curatore responsabile del Costume Institute, la mostra The Model as Muse, Embodying Fashion - fatta di fotografie, copertine, video, film, pubblicità, vestiti di alta moda e prêt-à-porter di un arco temporale che va dal 1947 al 1997 - «prende in esame il potere dell'abbigliamento, la fotografia di moda, il look di un'epoca. Con un semplice gesto, una vera modella stellare può riassumere l'atteggiamento del suo tempo, diventando non solo una musa per designer o fotografi, ma una musa di una generazione». In America, con la ripresa post-seconda guerra mondiale dell'industria della moda e della pubblicità, emerge un ambiente di modelle di alta moda dalla personalità spiccata, non solo portatrici di abiti ma esse stesse protagoniste. Un'età dell'oro dell'alta moda, un nuovo ideale femminile, il tutto ritratto da fotografi come Irving Penn, Richard Avedon e Cecil Beaton. Si transita poi negli anni '60 e '70, dalle sophisticated ladies a un ideale più giovanile, personificato da modelle come Twiggy e Veruschka, a uno più atletico, con protagoniste modelle come Lisa Taylor e Jerry Hall, fino al look etnico di bellezze come Mounia e Kirat. Negli anni ‘80 le top model esprimono un glamour idealizzato, contribuendo a dissolvere i confini tra lavoro editoriale e pubblicitario. Naomi Campbell, Linda Evangelista e Christy Turlington emergono tra le altre, trasformandosi in persone diverse in ogni servizio fotografico mantenendo la capacità di riuscire comunque a trasmettere il loro tratto distintivo di stile, apparendo in campagne globali di brand che cercano di rafforzare la propria identità. Negli anni '90 grunge e street style portano a un radicale cambiamento dalla bellezza glamour al tipo ribelle chic alla Kate Moss. Infine, le sfilate degli stilisti minimalisti - come Donna Karan, Helmut Lang, Prada - mostrano come le modelle di questo periodo diventano più anonime, consentendo agli abiti di prevalere su chi li indossa.
IVeruschka wearing the iconic Yves Saint Laurent safari jacket photographed by Franco Rubartelli for Vogue
Kate Moss: All'asta da Christie's (da Sguardi 89)
Secondo il Dizionario Treccani un'icona è una figura o un personaggio emblematici di un'epoca, di un genere, di un ambiente: Kate Moss lo è, fin da quando, adolescente, venne scoperta alla fine degli anni Ottanta, e ancora oggi, a 39 anni. Forza di uno sguardo, di un corpo, di bocca e capelli, di posture e movenze diventate rappresentative di uno stile contemporaneo. La top model britannica è stata definita «un'icona vivente» dal collezionista tedesco Gert Elfering che ha messo assieme alcuni degli scatti che hanno contribuito a crearne il mito e che andranno all'asta il 25 settembre a Londra per un valore stimato di più di un milione e mezzo di dollari. Il direttore delle aste di fotografia della casa d'aste londinese, Philippe Garner, l'ha definita «la più grande icona di stile dell'età moderna». «Kate è l'ultima musa moderna», ha aggiunto Elfering presentando l'evento, «ammireremo le sue immagini nei maggiori musei e nelle collezioni private per anni a venire. Ha determinato la percezione delle donne su scala globale, incoraggiandole a esprimere forte individualità e grande libertà». Si parte da valutazioni minime di 10-15 mila sterline, passando da una Kate ricoperta di glitter color bronzo ritratta da Allen Jones a una in versione rockstar ritratta da Nick Knight, e poi altre immagini a firma, tra gli altri, di Annie Leibovitz, Albert Watson, Mario Testino, Bruce Weber, Irving Penn.
© Mario Testino
Takashi Kashiwagi: Tracce su nudi (da Sguardi 6)
Takashi Kashiwagi è un fotografo con una doppia anima. Da un lato c'è il cultore delle arti tradizionali giapponesi, ispirato dal grande Hokusai, che utilizza la fotografia per diffondere la memoria e identità culturale del Sol Levante nei suoi aspetti terreni e metafisici. Dall'altro c'è il Kashiwagi businessman che ha fatto del book fotografico un'attività miliardaria. […] Sguardi mette in vetrina alcune immagini di corpi femminili tatuati (tranne una di un corpo maschile e un autoritratto dell'autore), attraverso cui Takashi Kashiwagi ha raccontato l'evoluzione dei tatuaggi che Horiyoshi III, il più famoso tatuatore del mondo, guru mondiale di questa disciplina, ha progressivamente eseguito sul corpo sinuoso della modella Tamaki Sakura. L'opera, “Wanzakure” (che ha dato vita a un libro), prende il nome da uno degli aspetti di un'antica filosofia giapponese: “dritti alla meta”, credere nei propri obiettivi, e affrontare qualsiasi pericolo per raggiungere gli scopi prefissi. Era questo ciò che motivava i vigili del fuoco dell'era feudale giapponese a gettarsi fra le fiamme per salvare la popolazione civile.
I vigili ne tornavano spesso sfigurati, e così iniziarono a coprire le cicatrici con tatuaggi complessi e coloratissimi: vere opere d'arte. Horiyoshi III, il tatuatore, lavora spesso senza eseguire un disegno di base per cui ogni errore è fatale e permanente: per questo le immagini di Kashiwagi, l'unico autorizzato a riprendere il Maestro, risultano ancora più uniche.
I® Takashi Kashiwagi
Giovanni Cozzi: Glamour, paparazzate e pin-up (da Sguardi 2)
A proposito di belle ragazze, ti prepari in qualche modo o preferisci arrivare con uno sguardo vergine?
Credo sia meglio arrivare con uno sguardo vergine. Certo, a volte i personaggi ti hanno incuriosito, hanno un loro alone, spesso creato dagli stessi media, ma che poi non è in realtà quello della persona. Il servizio fotografico è fare media, è comunicazione; è uno spettacolo che facciamo insieme, in una seduta fotografica, io e loro. Come fotografo dai una tua visione della persona che ritrai, tutto sommato sei pagato per questo. La parte più fruttifera è lo sguardo in cui si scopre qualcosa che gli altri non hanno scoperto. […]
Citi spesso il corpo femminile, il tuo soggetto preferito, e parli di approccio semplice; ma dietro ci sono anche degli studi di forme, da quelle classiche a quelle da pin-up, per andare al di là della semplicità?
Tutto il discorso sulla semplicità è emotivo, psicologico. Io dico spesso che fotografo anime: culi e tette sì, ma che devono avere un'anima. Per quanto riguarda la parte formale è chiaro che il corpo femminile, come quello maschile, ha le sue regole. Si può studiare, si può guardare la pittura e scultura classiche, si possono guardare le pin-up. La pin-up è una donnina disegnata che in realtà è molto realista, fotografica; il glamour nasce disegnato dagli anni ‘40 in poi. Vargas ne è stato il massimo esponente; credo che in qualche modo siamo tuttora figli di Vargas. Pin-up vuol dire ragazza appesa con lo spillo. Quando arrivi a essere un fotografo che in due anni fa cinque calendari, devi riconoscere che sei uno che sta attaccando ancora ragazze con lo spillo. Ma io faccio glamour, non solo pin-up; nel libro non ci sono solo pin-up, ci sono cantanti e ragazze che fanno moda.
Definisci il tuo genere nudo-glamour. Perché?
Si, il mio è nudo-glamour. Glamour vuol dire clamore, qualcosa che quando tu vedi l'immagine dici "wow". Suggerisce la posa plastica, tutto il lavoro sui corpi, posizioni un po' spinte al limite anche improbabili o innaturali ma che in realtà sono poi naturali perché sono il picco di una curva. Nel movimento dei corpi ci sono delle onde: nel muoversi, nello shooting, come nel sentimento e nella vita. Lo scatto perfetto solitamente è quello che viene scattato sul picco. Se lavori con il motore, vedi che una ragazza ti guarda, vedi che gli occhi si aprono, hanno un picco, poi si richiudono. Io lavoro molto col motore e scatto molto in una seduta. In una giornata si possono fare una trentina di rulli. Scatto molto anche per far sentire il clic, sapendo che non utilizzerò quel materiale, ma per stabilire un ritmo che ti porta a far cavalcare l'onda, a far surfare la ragazza. Io la fotografo in planata. È lì che c'è la forza, che hai il servizio.
© Giovanni Cozzi
Jeanloup Sieff: Gli anni di Harper's Bazaar (da Sguardi 51)
Jeanloup Sieff, fotografo leggero dai gusti sofisticati, […] che nell'arco della propria vita si è dedicato a generi diversi (dal giornalismo al fotoreportage, dai nudi al ritratto e alla fotografia di paesaggio) è ricordato in particolare per le sue immagini di moda. Per molti anni ha lavorato per le più importanti testate di moda in Europa e negli Stati Uniti. Anche quando la sua notorietà era al culmine e le sue fotografie erano esposte in tutto il mondo, Sieff si è sempre astenuto dal teorizzare il proprio lavoro, rifiutandosi di inserirlo in un discorso critico sull'arte e distanziandosi in questo modo da molti fotografi della sua generazione.
Sieff ha espresso anche attraverso la scrittura la sua ironia e il suo punto di vista sulla vita e sulla fotografia. Molti dei suoi libri sono composti da immagini e testi ricchi di citazioni brillanti, con titoli evocativi e originali. Nel 1990 pubblica “Demain le temps sera plus vieux” in cui traccia a ritroso la sua carriera di fotografo, con diversi aneddoti che riguardano la sua vita. La mostra si concentra su un periodo preciso del percorso di Sieff: le fotografie di moda realizzate per Harper's Bazaar negli anni Sessanta. Nel 1961, all'età di 28 anni, Sieff lascia Parigi per tentare il successo a New York con l'obiettivo di lavorare per la più importante rivista di moda del momento, Harper's Bazaar. Condivide uno studio fotografico con Frank Horvat, già fotografo di Harper's. In quegli anni realizza immagini ironiche e sofisticate in cui la moda diventa un pretesto per creare atmosfere surreali ed eleganti con una certa eco hitchcockiana. Gli abiti e, soprattutto, il corpo femminile si trasformano in linee e materia da mettere in valore con inquadrature eccentriche e surrealiste. Abiti, acconciature, trucco e pose collaborano a creare un universo onirico, ricco di riferimenti cinematografici e letterari: sono gli anni in cui «si potevano ancora fare delle fotografie di moda divertendosi, mostrando qualcosa d'altro rispetto a dei noiosi vestiti». Le immagini, spesso molto composte da un punto di vista grafico, presentano una donna distante e misteriosa, intrigante e enigmatica. «Guardando le fotografie che ho realizzato negli anni Sessanta - ha scritto Sieff - e specialmente quelle fatte per Harper's Bazaar, sono in ammirazione, non per la loro qualità, ma per l'energia che avevo a quell'epoca! Era l'energia euforica della giovinezza che mi spingeva a dedicarmi così pienamente alla creatività o era l'atmosfera eccezionalmente stimolante di Harper's? Erano probabilmente entrambe, ma temo che la prima fosse quella predominante».
Astrid's Rücken, Harper's Bazaar, Palm Beach, 1964 ⓒ Jeanloup Sieff
Patrizia Savarese: Seguendo le onde (da Sguardi 8)
Ho chiuso l'acqua in una scatola e l'ho guardata muoversi. Questo è ciò che dico, in genere, a chi mi chiede cosa c'è dietro il lavoro di sei anni per i calendari Teuco che sono quasi tutti ambientati sott'acqua. Perché l'acqua è un elemento che ne contiene e ne evoca molti altri. Come il movimento per esempio: atomi e particelle in circolazione, microvite in liquidi amniotici, fino ad arrivare a interi continenti che emergono dalle acque, si spostano su di esse o ne vengono sommersi. E poi ancora tutte le categorie mentali, dall'estrema lentezza alla rapidità, dalla pesantezza alla leggerezza, come le onde del mare che travolgono o accarezzano un corpo. Il viaggio più antico del mondo è nell'acqua. Tutto questo anche in pochi metri cubi d'acqua, così come in una goccia, attraverso la quale si vedono i contorni deformati. Viaggi mentali, viaggi “acquatici”, rubando un'espressione a Italo Calvino che a sua volta la rubò a Dante: “la fantasia è un posto dove ci piove dentro”. Le mie non sono foto di veri viaggi e forse è proprio l'ansia di fotografare il mondo intero, unita alla paura di perdersi in mezzo a troppo stimoli, che mi porta poi a tentare un illusorio controllo progettando mini realtà, piccoli mondi privati da esplorare come un reporter in paesi lontani. Riproduco con modellini realtà simulate o copie di sogni. Averli creati dal nulla mi dà sicurezza e libera la mente dall'ansia e dalla gravità del quotidiano. È come cacciare in una riserva dove qualcuno ha buttato la selvaggina o pescare in un laghetto artificiale dove si allevano i pesci. Meno avventuroso? Dipende se la riserva l'hai creata tu, perché l'avventura sta anche nel progettarla. A volte, sì, vorrei andare a “caccia grossa” (intesa come reportage), o a pesca in sperduti laghetti di montagna, o in mezzo a vasti oceani, partire per essere perennemente in viaggio (fotografico). Eppure mi è capitato, a passeggio con il mio cane, nel giardino sotto casa, di sentire e trovare tutto il mondo lì, in un attimo, in un colore, una forma, un odore, nel volo di un uccello. E mi è capitato di pensare che non mi sarebbe bastata una vita per raccontare in immagini quella stessa che era lì, in pochi metri di giardino, in ogni ora, giorno o stagione dell'anno. Sensazioni primitive, antiche, di forte legame con la natura. Percezione e istinto, come il mio cane che tende l'orecchio e allunga il naso a ogni impercettibile suono e odore. E cosa, se non l'acqua, ci lega così profondamente alla vita e alla natura? Cosa se non l'acqua, ci immerge nel mistero, ci evoca l'invisibile vita ancestrale?
© Patrizia Savarese
Brescia: Elogio della Bellezza (da Sguardi 64)
150 anni di storia della fotografia alla ricerca della bellezza femminile, a cura di Ken Damy e Paolo Clerici (dal 9 maggio al 30 giugno presso Contemporanea spazio per l'arte, Loggia delle Mercanzie, Brescia). Elogio della bellezza viene riproposta a distanza di dieci anni dalla prima edizione che si è tenuta a Milano, Brescia, Bologna e Ischia (nella cornice del castello Aragonese) con un considerevole aumento degli autori di fama internazionale scelti. Non a caso la fotografia ha avuto in questi ultimi dieci anni consacrazione ufficiale come opera d'arte presso i migliori musei del mondo. Tutte le opere esposte, per lo più vintage, provengono da collezioni bresciane, e in pochi casi da collezionisti che collaborano con il Museo Ken Damy da sempre.Per Ken Damy «l'idea di questo importante evento è quella di festeggiare i miei 40 anni di attività professionale assieme agli amici che mi hanno sostenuto in questa lunga avventura (e i raggiunti 60 anni di età). Dedico questa mostra a mio figlio Damiano nato l'11 di marzo di quest'anno: l'avventura continua. La mostra si inserisce, nell'anno sabbatico della biennale, negli eventi di “aspettando la biennale 2010” che avrà per tema: tra pittura e fotografia».
© Luis Gonzalez Palma
Nudo: Fra ideale e realtà (da Sguardi 17)
Fin dall'invenzione della fotografia, nella prima metà dell'800, il nudo costituiva, assieme al ritratto e al paesaggio, uno dei soggetti preferiti degli artisti. Il giovane mezzo visivo talvolta sostituiva addirittura la pittura realistica dell'epoca, talvolta era utilizzato come progetto per il dipinto, soprattutto però serviva nell'800 in maniera funzionale per le accademie, come ausilio alla pittura, i cui temi erano iconograficamente ripresi nella fotografia. Con numerosi pretesti, come la danza, lo sport, l'esotismo e le scienze, il nudo fotografico, nato con un intento erotico, diventava pubblico e veniva introdotto “in società”. Soltanto dal periodo della Foto-Secessione, con le sue immagini impressioniste che ricordano l'arte grafica di un'epoca passata, il nudo fotografico diventa “artistico”. Questa mostra documenta, con numerosi esempi straordinari, lo sviluppo storico-stilistico del nudo nella fotografia che, nella prima metà del 900, corre parallelamente all'evolversi dei vari movimenti creativi negli altri mezzi artistici: pittura, scultura e disegno. Il dadaismo, il surrealismo, il futurismo, il costruttivismo, ma soprattutto la Nuova Oggettività, trovano nella fotografia un loro mezzo d'espressione congeniale e contemporaneo alla pittura. L'opera di alcuni artisti come Man Ray o Laszlo Moholy-Nagy, che utilizzano diversi mezzi espressivi fra cui la fotografia, testimoniano l'autonomia artistica di questo mezzo diventata decisiva nel XX secolo. Il nudo diventa nel corso del 900 un tema centrale grazie al quale gli artisti riescono ad esprimere la diversità nella visione della vita, negli ideali oscillanti dei canoni di bellezza e nelle varie aspettative dell'immaginario erotico. In questo contesto anche la fotografia glamour gioca un ruolo importante, dando origine ad una tradizione che, anche se con diversa funzionalità, diventa quanto mai rilevante per la fotografia contemporanea. Dopo la forte cesura provocata della seconda guerra mondiale, il nudo retrocede nella fotografia soggettiva in un periodo di conservatorismo e ritrosia. Soltanto grazie a quel movimento di apertura che nasce nel ‘68 e che combatte per la liberazione dalle norme e dai tabù, si manifesta una nuova e rafforzata coscienza del corpo umano. A partire dalla seconda metà del 900, all'utilizzo sempre più forte del nudo nella strategia di mercato, nella pubblicità e nell'ambito della vita pubblica in generale, gli artisti che lavorano con il mezzo fotografico contrappongono posizioni concettuali. I fotografi cercano, sempre più intensamente, di trovare nuove strategie: dalla ricerca e creazione dell'immagine stessa, all'ingrandimento che ricorda la pittura, alla combinazione di immagine e testo, strategie queste che conducono ad un intreccio sempre più forte e indissolubile della fotografia con la pittura e viceversa. Da strumento di mercificazione dei mass media nelle performance di Vanessa Beecroft a oggetto di manipolazione tecnologica in Stelarc, il nudo si afferma ancora oggi come la forma simbolica per eccellenza.
© Wilhelm von Gloeden
Nudi: L'occhio del senso (da Sguardi 25)
Il corpo nudo, primo e inscindibile tramite fra noi e il mondo, è stato la fonte di ossessione, ma anche di ispirazione e di indagine di molti fotografi, sempre alla ricerca di un ideale estetico assoluto da perseguire e immortalare di fronte al proprio obiettivo, e allo stesso tempo attratti da una sua rappresentazione più realistica, che parla il linguaggio della solitudine e delle lacerazioni interiori dell'uomo del XXI secolo. Corpo come sintesi di bellezza, perfezione e armonia, secondo quegli intramontabili canoni classici che risalgono alla Grecia antica, ma anche corpo reale e sensuale, che non teme di mostrasi per quello che effettivamente è e anzi mette in mostra ansie, disagi, difetti e imperfezioni.
Ne scaturisce un'oscillazione continua fra la dimensione ideale, prettamente estetica e la rappresentazione del corpo "vero", concreto, spogliato da ogni velleità di piacere e ogni volontà di sedurre; una tensione in cui le immagini si incontrino e si scontrino, si richiamino l'una con l'altra per analogia o per contrasto, nelle espressioni e nelle pose più diverse. Ci si imbatte così in amanti sdraiate, in donne voluttuose e in femmine senza desiderio, in fisici statuari e in maliarde ammiccanti: tutti protagonisti di un affascinante viaggio nel mondo del nudo che viene interpretato, riletto, quasi reinventato dalla sensibilità dei fotografi presenti nel volume. Scrive Raffaele Morelli - medico, psichiatra e psicoterapeuta, direttore di Riza Psicosomatica - nell'introduzione: «Contemplare è vedere tutto l'Universo in uno sguardo, è infinirsi con gli oggetti che vediamo. Tentativo questo che nella fotografia chiama l'osservatore a uscire dai canoni del reale, dell'apparenza per cercare il senso degli oggetti che "capitano" sotto il suo obiettivo, sotto le lenti del suo sguardo. A chi guarda con l'occhio del senso, del Tao direbbe Richard Wilhelm, i corpi non sono più macchine, oggetti sdraiati nel mondo, non sono più cose… Si riempiono di gesti inconsueti, di azioni impensabili agli occhi limitati della Ragione, per divenire mondi vivi, pronti a "trasgredire" ogni dimensione dello spazio usuale, pronti a ricordarci che la vita è prima di tutto creatività e ancor di più Eros».
© Prabuddha Das Gupta
Davide Cerati: La fotografia delle persone (da Sguardi 71)
Per Davide Cerati «ritrarre le persone è un gioco bellissimo: al tempo stesso di battaglia e di seduzione, di complicità e competizione, certamente di comunicazione. Quando affronto un soggetto, devo farlo in qualche modo mio, amarlo, desiderarlo; oppure fingere di odiarlo e provarne repulsione. So che molti fotografi riescono ad avere