Inviati: Vicino e lontano, in strada, in cammino, nel sacro, nello sport

Francesco Zizola: Uno sguardo inadeguato (da Sguardi 87)

Uno sguardo inadeguato, un’inedita selezione di fotografie a colori di Francesco Zizola realizzate nel corso degli ultimi 10 anni in 20 paesi del mondo. Curata da Deanna Richardson e prodotta da 10b Photography, l’esposizione propone una rigorosa selezione della produzione a colori di Zizola concentrandosi su una riflessione che chiama in causa non soltanto il suo modo di essere fotogiornalista, ma la natura stessa del suo sguardo e, con essa, un’intera cultura del fare immagine nel contesto di una storia collettiva e globale in cui si avverte l’urgenza e la necessità di comprendere la propria responsabilità all’interno delle complesse dinamiche in cui ognuno è preso e chiamato in causa. […] Deanna Richardson ha scritto per l’occasione: «Dieci anni di viaggi e immagini, percorrendo mondi lontani come quello delle piantagioni di canna da zucchero in Brasile, passando sulle rive del fiume più antico del mondo dove giocano due bambini figli della nazione più giovane al mondo, per finire in un club per soli gentiluomini in via delle Coppelle nel centro di Roma. In queste immagini si snoda il commento personale di un fotografo che ci offre la sua visione del mondo - il nostro mondo - che lui ha attraversato in lungo e largo nel corso degli ultimi dieci anni. […] La fotografia di Francesco Zizola continua a rivelare l’anima dei luoghi in cui i suoi occhi hanno imparato e imparano a guardare. Le immagini raccolte in Uno sguardo inadeguato non documentano pessimisticamente il capolinea di una civiltà. Questa mostra infatti vuole essere sia una dichiarazione che una serie di punti interrogativi, di metafore, di aperture meta-filosofiche. Uno sguardo inadeguato è una sfida - allo status quo - e un invito ai visitatori a lasciarsi coinvolgere. È soprattutto una visione della condizione umana, come lo sono i due ragazzi che fissano l’immensità dell’onda che sta per infrangersi sulla spiaggia dell’Arpoador di Rio de Janeiro. Un’allegoria essenzialmente metafisica, come se fossimo tu ed io di fronte al mistero dell’universo. Qui ritroviamo il miglior esempio di fotografia documentaristica contemporanea. Una finestra è stata aperta e spetta a noi affacciarci per guardare fuori. E in questo gesto insiste ancora una traccia di speranza».
 


© Francesco Zizola/NOOR - Un ragazzo punta una pistola contro la testa di un altro per gioco. La violenza è estremamente diffusa in questa regione, a causa continui scontri armati tra la guerriglia e le forze governative. Rio San Juan, Colombia. Luglio 2007.

 

Massimo Sestini: News Pictures (da Sguardi 59)

Trent'anni di storia italiana, tra costume, politica, cronaca, ritratti, gossip. La Galleria Grazia Neri di Milano ospita dal 18 settembre al 24 ottobre la prima mostra (a cura di Tiziana Faraoni) di Massimo Sestini, un fotografo di successo, una presenza ricorrente nelle pagine dei giornali, una copertura versatile degli avvenimenti italiani grazie alla capacità di raccontare - da vicino, velocemente, senza limiti - gli eventi, «sapendo combinare in modo straordinario», come afferma Grazia Neri, «contenuto, tecnica e composizione». Così, in occasione della mostra, Michele Neri presenta il lavoro del fotografo toscano. «Massimo Sestini è il fotografo e l'uomo dell'exploit. Questa sua prima mostra è una breve sosta lungo la sua vita di corsa, dopo trent'anni di fotografie che raccontano spettacolarmente la grande Storia e migliaia di quelle piccole del nostro Paese e di tanto mondo. Se guardo le sue foto mi vengono in mente queste parole: giornalismo, prima mano, tecnologia, numeri, coraggio, tempo. Timidezza. Giornalismo, perché sono sue le immagini che raccontano gli eventi che hanno cambiato l'Italia: Rapido 904, Moby Prince, G8, Giubileo, attentati di Borsellino e Falcone. Prima mano. Ovvero l'articolata e onnipresente necessità di essere a tu per tu con quello che succede. Costi quello che costi. Denunce, attese su alberi, doppi giochi, finzioni, travestimenti, faccia tosta. È così che sono nate le famose paparazzate, da Lady D in bikini al matrimonio blindato di Eros Ramazzotti. Ma il concetto di paparazzata di Sestini è un concetto evoluto. Non si tratta di mettere a nudo il personaggio del gossip, ma di raccontare quello che non si dovrebbe vedere, soprattutto i retroscena del potere, della cultura, dell'economia. La foto rubata in Parlamento il primo giorno del governo Berlusconi, lo stesso, in compagnia di un Fede che inciampa rovinosamente nel giardino del Cavaliere. Muti che dirige la prima della Scala sorpreso dall'alto, in completo e rischioso silenzio. Tecnologia, perché siano computer, collegamenti volanti, sperimentazione digitale, luci, radiocomandi per fare scattare macchine nascoste in fioriere o sotto la sua famosa cravatta con il buco o l'indecente marsupio in vita, la sua carriera di testimone, fotogiornalista, collaboratore di decine di testate è sempre stata aiutata e ispirata da un costante aggiornamento tecnologico.
 


© Massimo Sestini. Genova, G8, polizia contro i dimostranti, 21 luglio 2001

 

Kazuyoshi Nomachi: Le vie del sacro (da Sguardi 92)

Per oltre quarant’anni, fin dal suo primo viaggio nel Sahara, Kazuyoshi Nomachi ha rivolto la sua attenzione alle più diverse culture tradizionali, intorno al tema della preghiera, della ricerca del sacro. Da fotografo documentario ha colto in immagini - apparse poi su riviste come National GeographicSternGeo - frammenti della spiritualità che percorre quei paesaggi di bellezza fuori dal comune, dove i ritratti e le figure umane assumono dignità e si fondono con il contesto in composizioni dominate da una luce abbagliante. La Pelanda di Roma ospita (fino al 4 maggio) una grande antologica del fotografo giapponese: circa 200 scatti, un viaggio nella sacralità dell’esistenza quotidiana di genti che vivono in terre tra loro lontanissime, un viaggio iniziato da lontano. Nomachi racconta che a venticinque anni, nel corso del suo primo viaggio nel Sahara, rimase così colpito dalla durezza delle condizioni di vita degli abitanti in quell’ambiente, che decise di abbandonare i progetti da fotografo pubblicitario fino allora portati avanti e di dedicarsi invece al fotogiornalismo. Inizio di un percorso da fotografo-viaggiatore che poi, quasi a fare da contrappunto alla lunga esperienza nel deserto, lo portò lungo il Nilo Bianco, dal delta fino alla fonte in un ghiacciaio dell’Uganda, poi lungo il Nilo Blu fino alla sorgente negli altopiani dell’Etiopia. Poi, dal 1988, è la volta dell'Asia. Delle aree occidentali della Cina, delle popolazioni che vivono nelle estreme altitudini del Tibet e del buddhismo, dell’intera area di cultura tibetana, delle terre del sacro Gange dove nacque l’Induismo. Dal 1995 al 2000 Nomachi accede alle più sacre città dell'Islam e viaggia in Arabia Saudita, avendo l’opportunità di fotografare il grande pellegrinaggio annuale alla Mecca e a Medina, divenendo il primo a documentare in modo ampio e approfondito il pellegrinaggio di oltre due milioni di musulmani verso le città sante. Dal 2002 visita anche gli altopiani delle Ande, il Perù e la Bolivia, per indagare l’intreccio fra cattolicesimo e civiltà Inca, ricerca che prosegue a tutt’oggi.
 


Una ragazza nomade con il volto cosparso di una sostanza protettiva durante un pellegrinaggio. Tibet, Cina 1990. © Kazuyoshi Nomachi.

 

Luca Campigotto, Nightscapes (da Sguardi 91)

Scrive Renata Ferri, curatrice di Nightscapes: «Immaginate un moderno vedutista capace di fondere tecnica esentimento. È Luca Campigotto, fotografo, veneziano, interprete dello spazio, sia esso urbano o selvaggio. Un viaggiatore instancabile, innamorato del mondo, capace di restituire alla fotografia una potenza evocativa che consente l’esperienza della percezione. Straordinariamente belle, queste immagini osano la magia del cinema: scenografie perfette in cui la luce disegna le architetture care all’autore. La narrazione si affida alla perfezione delle linee stagliate nello spazio. Avvolto nelle oscurità, Campigotto è uno spirito errante che cerca la luce come testimonianza di vita. Quella che espande i paesaggi inanimati e quella di piccole finestre accese o lampioni che vegliano sugli affollati deserti urbani. Tracce di esistenze che conservano misteri, possibili solo da immaginare. La fotografia di Luca Campigotto evolve in continue alternanze. Tra il colore, protagonista deciso di molte esplorazioni, perfetto e raffinato nella definizione di ogni minimo dettaglio, e il bianco e nero intenso e sublime che induce l’ombra a disegnare paesaggi di ricerche più oniriche; tra le peregrinazioni metropolitane e gli immensi scenari deserti; tra ciò che resta del passato e il futuribile. Nulla accade nelle immagini di Campigotto: la realtà è la potente occasione creativa, pretesto per un canovaccio narrativo in cui l’autore genera un racconto visivo lucido, mai freddo, capace di letture emozionali differenti che aprono la visione a un livello più profondo, liberando un’energia intrisa di sentimento dove l’altrove è pervaso di malinconica bellezza».
 


New York 2011 © Luca Campigotto

 

Alessandro Grassani: Migranti ambientali (da Sguardi 91)

Con Migranti ambientali: l’ultima illusione da qualche tempo Alessandro Grassani centra la sua attenzione su luoghi che stanno scomparendo a causa di disastri e inquinamento. Il 2008 ha segnato il punto di non ritorno: per la prima volta nella storia dell’uomo c’è più gente che vive nelle città che nelle campagne. Le metropoli crescono sempre più per l’arrivo dei profughi climatici, costretti a fuggire dalle zone colpite dai cambiamenti climatici e destinati a diventare - nel giro di pochi decenni - la nuova emergenza umanitaria del pianeta. Le Nazioni Unite stimano che nel 2050 la Terra dovrà affrontare il trauma rappresentato da 200 milioni di profughi climatici; tutte persone che, sempre secondo l’ONU, non "approderanno" nelle nazioni ricche, ma cercheranno nuove forme di sostentamento nelle aree urbane dei loro paesi d’origine, i cosiddetti slums, già sovraffollati e spesso poverissimi. Disastrose sono e saranno le conseguenze dal punto di vista sociale, economico e ambientale per queste città. Il 90% di questa migrazione avverrà nei Paesi meno sviluppati, cosi accadrà che i paesi che meno hanno contribuito ai cambiamenti climatici, saranno i più colpiti da questo fenomeno a causa della mancanza di fondi da investire in politiche alternative di sviluppo nelle zone non più abitabili. Il progetto include per ora tre capitoli: Ulan Bator-Mongolia, Dhaka-Bangladesh e infine Nairobi-Kenya. I primi due sono stati realizzati nel corso del 2011; il terzo è in corso d’opera. La scelta di questi tre luoghi è stata dettata dalla volontà di rappresentare le diverse tipologie di cambiamenti climatici che provocano le migrazioni ambientali, nelle aree geografiche più colpite da questo nuovo fenomeno: dall’estremo freddo della Mongolia, al processo di desertificazione in Kenya, passando per inondazioni, cicloni e innalzamento del livello del mare in Bangladesh.
 


© Alessandro Grassani

 

Stefano De Luigi: Sulle tracce di Ulisse (da Sguardi 99)

L’Odissea è considerata uno dei capolavori della letteratura Occidentale. È stata composta intorno all’VIII secolo a.C. e insieme all’Iliade è una delle più antiche e più influenti testimonianze della cultura occidentale. L’epopea trae le sue radici da una tradizione orale trasmessa da poeti e bardi itineranti che la declamavano, a volte accompagnati da una musica monotona, nei villaggi e nelle città del mondo antico. Nella società contemporanea la rivoluzione informatica ha drasticamente cambiato la trasmissione delle informazioni e del sapere. Come il computer è diventato protagonista della nostra vita, così gli smartphone dominano sempre più i vari mezzi di comunicazione. Uno di essi può funzionare contemporaneamente come radio, telefono, fotocamera, videocamera, microfono e, se necessario, come un telegrafo. Con uno smartphone in tasca tutti possono essere dei narratori. iDyssey è un progetto fotografico multimediale che mira a collegare tra loro i due estremi della nostra civiltà: passato e presente. La più antica testimonianza della nostra eredità culturale, raccontata e rivisitata con il più contemporaneo dei media. Un’Odissea contemporanea raccontata solo con l’ausilio di due iPhone. Esistono diverse teorie che ricostruiscono il viaggio di Ulisse, partito da Troia alla volta di Itaca. Nessuna di esse ha mai potuto essere confermata. Tra le tante (inclusa un’Odissea ambientata addirittura nel mar Baltico) Stefano De Luigi ha scelto di seguire quella di un grande ellenista francese, Victor Berard, narrata nel suo Dans le sillage d’Ullysse del 1933. iDyssey, quindi, segue parte dell’itinerario più comunemente accettato. Il progetto include a oggi dodici tappe, da Troia a Itaca, passando attraverso Turchia, Tunisia, Italia e Grecia: 1 Troia (le rovine e dintorni, Turchia); 2 Ismaros (Alexandropolis, Grecia, i Ciconi); 3 Djerba (Tunisia, mangiatori di loto); 4 Nisida (Italia, i Ciclopi, Polifemo); 5 Stromboli (Italia, Eolo); 6 Monte Circeo (Italia, Circe); 7 Cuma (Italia, ingresso dell’Ade); 8 Palinuro (Italia, sirene); 9 Canale di Messina (Italia, Scilla e Cariddi); 10 Trapani (Italia, Isola del Sole); 11 Corfù (Grecia, Feaci); 12 Itaca (Grecia, ritorno di Ulisse).


© Stefano De Luigi

 

Alessandro Barteletti: Street photography (da Sguardi 62)

La street photography ha una caratteristica unica. La presenza del fotografo non è giustificata da alcun evento particolare, il suo interesse è rivolto a scene di ordinaria quotidianità. È lì solo per documentare attimi e situazioni di assoluta normalità. Essere discreti è la regola numero uno. Nulla è o deve essere costruito. L'abilità sta tutta nel saper cogliere il momento giusto dal punto di vista più interessante. Senza interferire o alterare la situazione circostante. È come diventare parte di un film che si svolge in diretta. Davanti ai nostri occhi si susseguono un'infinità di fotogrammi unici e irripetibili di cui non possiamo essere registi. Dobbiamo limitarci a registrare quelli che reputiamo più interessanti nel preciso istante in cui sono in onda. Senza poter mandare indietro il nastro. In un contesto così incontrollabile, bisogna mettercela tutta per non lasciare nulla al caso. La scelta della giusta attrezzatura e una adeguata padronanza tecnica, in linea con il proprio modo di osservare, rappresentano un ottimo punto di partenza. Ai tempi della pellicola, la classica Kodak Tri-X era la scelta più comune e probabilmente la migliore. Una resa di carattere, 400 ASA e una latitudine di posa senza eguali ne facevano la compagna ideale in situazioni di luce continuamente variabile e esposizioni da improvvisare. Oggi, nell'era digitale, tutto sembra più facile. Si può verificare immediatamente il risultato e si può scattare tanto. In un discorso prettamente tecnico, soprattutto con le reflex digitali di ultima generazione, qualunque sia la qualità della luce, il risultato è sempre ai massimi livelli. Si tratta di un'evoluzione che ha modificato drasticamente il modo di lavorare al punto da poter ormai considerare la sensibilità come un terzo parametro, al pari di tempo e diaframma. Se non se ne fa un uso legato ad uno stile specifico, il flash diventa superfluo. Nell'ambito della fotografia di strada è un lusso. Ma la reflex, in un campo in cui la piccola e silenziosa Leica a telemetro ne era l'icona, è davvero la scelta migliore? La risposta è soggettiva. Personalmente, nel momento in cui ho dovuto togliere dalla borsa la M6, ho faticato a trovare una sostituta adeguata. Le Nikon D2H D3 che uso con enorme soddisfazione in altri generi di assignments, sono troppo vistose ed invadenti in strada. Ho sempre ritenuto importante lo scambio di uno sguardo o di un sorriso con le persone dopo averle inserite nell'inquadratura. È una forma di gratitudine e rispetto, spesso il pretesto per darsi la mano e scambiare due parole dopo lo scatto. Con un tipo di attrezzatura troppo presente ho la percezione che si interponga qualcosa tra me e il soggetto. Diventa quel tipo di scudo tanto decantato dai fotografi di guerra ma in questo caso acquisisce una valenza negativa. Alle reflex ho perciò affiancato una compatta, una Coolpix P5100 con la quale ho realizzato parte di alcuni tra i miei più recenti reportage. Il feeling è ottimo, la disposizione dei comandi ricorda da vicino quella delle sorelle maggiori. Ho provveduto a disattivare i beep acustici e l'illuminatore ausiliario dell'AF per renderla ancora più invisibile. Stesso discorso per tutti i filtri interni, dall'anti-noise al D-Lighting. Preferisco un file inalterato da correggere in post produzione e in questo senso l'assenza del RAW è forse l'unico vero difetto. Ma se la scelta finale ricade sul bianco e nero, un piccolo trucco per nascondere i difetti legati alla presenza di rumore alle sensibilità medio-alte - entro certi limiti, se desaturato, sembra grana - la differenza rispetto ai files di una reflex è pressoché impercettibile in caso di stampa o pubblicazione.
 


© Alessandro Barteletti - Ground Zero, New York City, 2007

 

Monika Bulaj: Genti di Dio, viaggio nell'altra Europa (da Sguardi 23)

Profumo di legno bagnato e incenso, folle impazzite all'assalto dell'acqua benedetta, mormorii e silenzi di monasteri, donne invasate dalle lunghe gonne, foreste del Nord, labirinti d'acque, comignoli e lumini, greggi sotto la neve, montagne costellate di fuochi, lingue perdute, incantesimi. E ancora pellegrini in viaggio, santuari anneriti dalle candele, cimiteri ebraici, zingari e violini, carri a cavalli, icone, genuflessioni, ritmo carovaniero di litanie. È il mondo segreto di Monika Bulaj, viaggiatrice delle periferie d'Europa. Nella sua prima mostra di foto e testi sulle Genti di Dio, ci aveva mostrato, tra Baltico e Danubio, le frontiere della spiritualità orientale. Con questa seconda mostra va oltre, cerca le frontiere interne, immateriali, delle fedi. Compie un viaggio parallelo, esplora i territori franchi di coabitazione tra monotesimi. Mondi in bilico fra cristanesimo, islam e ebraismo, cattolicesimo e ortodossia. Per gli stereotipi che rompe, questo nuovo viaggio nel sacro di Monika Bulaj è forse la cosa più dissacrante che ci sia. Ci mostra musulmani che festeggiano il sabat, ebrei che leggono il Corano, musulmane che segnano la croce sul pane prima di metterlo in forno e quelle che pregano la Madonna, cristiani che pregano gli alberi e la luna e sgozzano le capre nei templi, feste della fertilità cui accorrono islamici e cristiani, sciiti che festeggiano con i sunniti l'apertura delle moschee. Ma anche l'orizzonte fisico si amplia, va molto oltre il mondo carpatico, si spinge lontano, in una nebulosa di luoghi ignorati, arriva ai confini del Mar Caspio, scende lungo il Bosforo, si addentra nella Istanbul più segreta, risale sui monti della Bulgaria dobe suonano le zampogne, si perde tra Tibisco e Danubio nella terra dove vivono gli zingari narrati dai film di Kusturica, risale a Nord verso l'Ucraina occidentale, nei monasteri dove sopravvive l'ortodossia più antica, più passionale, più radicata al grembo della grande madre Russia. Luoghi di fede passionale, mistica. Centri di resistenza quasi clandestina contro l'agressione dei pensieri unici e delle intolleranze. Mondi viscerali, nemici dei dogmi e delle gererchie, ma anche straordinari anticorpi allo scontro tra fondamentalismi.
 


© by Monika Bulaj - Slovacchia

 

Pier Paolo Mittica: Ashes / Ceneri (da Sguardi 96)

Pierpaolo Mittica è un fotografo particolarmente attento alle tematiche sociali e ambientali, agli oppressi, alle persone che non hanno diritto di parola, ai temi ecologici.
 Fino all’11 gennaio la Galleria Harry Bertoia di Pordenone propone Ashes / Ceneri (un titolo che fa riferimento ai devastanti effetti sociali ed ecologici causati dallo sfruttamento degli uomini e dell’ambiente, ma che in positivo indica l’urgenza di una svolta epocale e di una rinascita, a partire dalla conoscenza di ciò che è stato provocato da scelte politiche ed economiche) una mostra che documenta dieci ordinarie emergenze. Balcani: dalla Bosnia al Kosovo, 1997-1999; Incredibile India, 2002-2005; Chernobyl l’eredità nascosta 2002-2007; Vite riciclate, 2007-2008; Kawah Ijen - Inferno, 2009; Piccoli schiavi, 2010; Fukushima No-Go Zone, 2011-2012; Karabash, Russia, 2013; Mayak 57, Russia 2013; Magnitogorsk, Russia 2013. Dieci indagini che rappresentano squarci di realtà, notissime o quasi sconosciute, dove la sofferenza, l’abbruttimento, la violenza sono regolare accettata quotidianità. Per lo scrittore cileno Luis Sepúlveda «le fotografie di Pierpaolo Mittica possono essere ben definite da alcuni versi del poeta bosniaco Izet Sarajlić: "Sono tra quelli che ritengono/ che del lunedì si deve parlare il lunedì / il martedì potrebbe essere già troppo tardi". Ed è proprio pensando a quei versi che ho iniziato un viaggio attraverso le sue foto, un viaggio privo di ordine, molto personale, che comincia da un’immagine catturata in Bosnia Erzegovina nel 1997, e che dal bianco e nero urla il suo terribile discorso rivolto alla memoria dell’umanità. La foto mostra in primo piano i resti di una macchina per scrivere e sullo sfondo le rovine della città distrutta. Guardando quella foto, la mia prima reazione è stata di esclamare che si trattava indubbiamente della macchina per scrivere del poeta Izet Sarajlić, e ancora adesso mi rammarico di non potermi sedere insieme a lui nella Salerno che tanto amava per chiedergli se quella era la sua "arma inutile che sparava parole/ nella notte più buia di Sarajevo". […] Le immagini di Pierpaolo Mittica hanno la forza della contemporaneità, ci dicono che non dobbiamo attendere che la storia ufficiale passi al setaccio tutto ciò che invece dobbiamo fare urgentemente diventare parte della nostra memoria recente. Oggi, mentre scrivo queste righe, i piccoli schiavi del Bangladesh sono al lavoro. Oggi, in questo momento, migliaia di esseri umani di tutte le età, molti dei quali ciechi e malati di cancro, si stanno infilando nel cratere del vulcano Ijen, in Indonesia, per estrarne lo zolfo. In un viaggio dai resti di una macchina per scrivere assassinata in Bosnia fino a Fukushima, Pierpaolo Mittica ci conduce attraverso la nostra stessamemoria e la rende più forte, più ostinata e più ribelle. Le sue immagini sono il marchio d’identità della nostra epoca e, allo stesso tempo», conclude Luis Sepúlveda, «un invito a far diventare parte della nostra memoria personale quell’altra memoria che ci mostrano: la dolente memoria contemporanea dell’umanità».
 


© Pier Paolo Mittica. Kawah Ijen - Inferno. Indonesia 2009

 

Louise Hawson: 52 Suburbs Around the World (da Sguardi 83)

Nel 2009/2010 mi sono resa conto di essere una straniera nella mia città, Sydney. Così ho passato un anno a esplorare e fotografare un (nuovo) quartiere di Sydney ogni settimana in cerca delle bellezze dei sobborghi, condividendo le mie scoperte su un blog, 52suburbs.com.au. Il blog ha avuto molto successo e nel 2011 si è trasformato in un libro e in un'importante mostra, ed è stato ispirazione per questo secondo progetto, 52 Suburbs Around the World. Perché? Perché avendo scoperto come sia incredibilmente interessante curiosare nei cortili di una grande città, ricercando la bellezza sia nell'ambiente urbano che nelle persone, non vedo l'ora di farlo ancora, ma questa volta su scala mondiale. La mia voglia di esplorare il lato non-famoso di una città deriva dal desiderio infantile di essere sorpresa e di fare scoperte, piuttosto che s

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