Life, I grandi fotografi (da Sguardi 42)
Per tutto il XX secolo i fotografi della rivista Life hanno raccontato con le loro immagini ogni aspetto della vita umana. Vedere la vita, vedere il mondo era il motto impresso sul primo numero di Life e veramente, con il loro stile inconfondibile, i fotografi di questa rivista hanno impresso una svolta nella maniera di comprendere l'attualità, di vederla e di raccontarla attraverso le immagini. Life I grandi Fotografi è una produzione inedita, messa a punto proprio per questa occasione, un insieme di circa 150 fotografie tra le più celebri realizzate dai fotografi di Life (di staff o collaboratori assidui) racconteranno la nascita, l'evoluzione e lo stabilizzarsi di una visione che è diventata decisiva per tutto il Novecento: il mondo alla maniera di Life. In esposizione, le immagini migliori dei fotografi di staff e di alcuni altri celebri collaboratori della rivista: da Eisenstaedt a Bourke-White, da Mydans a Parks, da W. Eugene Smith a Robert Capa. La testimonianza del talento, della creatività e del coraggio di questi autori è racchiusa in questa mostra. All'esposizione antologica viene associata anche una preziosissima, selezione di stampe vintage di Life: Used in LIFE. Con questo timbro venivano contrassegnate, sul retro, le stampe che erano state effettivamente usate per la pubblicazione sulla rivista e sotto questo titolo sono raccolti i vintage utilizzati dagli anni 30 agli anni 50 per la pubblicazione della rivista e scelte per Forma da Howard Greenberg, tra i galleristi più noti e affermati di New York e grande conoscitore di LIFE. Il volume che accompagna la mostra è pubblicato da Contrasto e contiene le opere migliori dei fotografi di staff e di alcuni altri collaboratori della rivista: 99 tra i più grandi fotografi della storia, fino a Morse e a McNally, il cui recente servizio sul Ground Zero si inserisce nella grande tradizione di Life. "I fotografi che lavorano per Life riprendono il mondo che li circonda e prestano una particolare attenzione alle persone che lo abitano e alle loro attività. Ciascuno di noi è convinto di saperlo fare meglio di chiunque altro (ma forse non tutti abbiamo ragione). Molte delle nostre foto restano impresse nella memoria e diventano veri classici. Per quale motivo? Credo perché conservano la capacità di sorprendere. La parola scritta diventa rapidamente obsoleta: una notizia vecchia è un ossimoro. Invece le fotografie vecchie continuano a richiamare la nostra attenzione, e credo sia proprio questo lo spartiacque tra le ambizioni dei fotografi e quelle dei giornalisti. L'ambizione di creare opere che non perdano mai d'interesse è la base portante di questo libro". (John Loengard)
The Photojournalist. Dennis Stock ritratto da Andreas Feininger, New York 1951
Fotografo: Andreas Feininger. Crediti: by Andreas Feininger © Time Inc.
Miti: Do you remember Life? (da Sguardi 16)
Per decenni Life è stata, per milioni di americani, "il" magazine che portava notizie e immagini da tutto il mondo.
Esempio e modello di fotogiornalismo, reportage, anche all'estero, in Europa.
Un mito, insomma. Uno di quelli buoni. Sebbene il magazine abbia cessato le pubblicazioni nel 1999, questo non ha segnato la fine di una delle più importanti istituzioni giornalistiche americane. Nel 2001 Life ha iniziato a pubblicare di nuovo sotto forma di Life Books, su argomenti che variano dall'11 Settembre 2001 alla storia della Macy's Thanksgiving Day parade. Sguardi segnala gli ultimi due Life books, ordinabili via internet dal sito di Life: 100 Photographs that Changed the World (una selezione di cento tra le più significative immagini apparse nelle pagine del magazine) e The War in Iraq, storia per immagini di quella terra martoriata fino alla caduta di Saddam Hussein. Prima di lasciare spazio alle immagini vogliamo ricordare alcune considerazioni di uno dei redattori capo della rivista, Ralph Graves, contenute nel volume Life 1946-1955, che spiegano il genere di fotografie che i fotografi della rivista dovevano cercare, il metodo da usare, valido - con ogni evidenza - ancora oggi: "Salvo rare eccezioni, le persone reali non si rilassano in presenza di un obiettivo, specie se si tratta di un obiettivo di Life. Mentre sperano di assumere il loro aspetto migliore, sono rigide e nervose. I loro sorrisi sono un po' tirati, le loro espressioni un po' false. Indossano gli abiti migliori, anche per fare il bucato. Non sono affatto loro stessi. Un fotografo deve dedicar loro del tempo, vivere con loro, trovarsi ogni giorno sul posto sino a non essere più notato. La gente deve abituarsi allo scatto dell'otturatore sino a non sentirlo più del tutto. Solo allora cominceranno a venir fuori delle buone fotografie. Ma anche allora il fotografo dovrà continuare a guardarsi intorno, cercando con pazienza infinita l'episodio, l'argomento, i momenti di rabbia, d'ilarità, d'amore, che alla fine danno vita a una fotografia".
© Life
125 anni di National Geographic, la grande avventura (da Sguardi 90)
Quando il 13 gennaio del 1888 un gruppo di trentatre uomini si incontrò al Cosmos Club di Washington, DC, per discutere come incrementare e diffondere la conoscenza geografica, nessuno ancora pensava che la National Geographic Society sarebbe diventata una delle organizzazioni scientifiche e pedagogiche più famose al mondo. Oggi, a distanza di 125 anni dalla sua fondazione, la mostra fotografica "La grande avventura" (al Palazzo delle Esposizioni di Roma, fino al2 febbraio) vuole celebrare la storia di questo marchio che negli ultimi anni si è radicato in molti paesi del mondo. E infatti insieme ai 125 anni della Society la mostra festeggia anche i 15 anni di National Geographic Italia. Tra imprese memorabili e personaggi leggendari, tra ricerca in laboratorio e spedizioni nei luoghi più sperduti del Pianeta, tra le culture di grandi popolazioni e quelle di tribù sconosciute, tra la bellezza della vita animale e di quella vegetale, tra l'impegno per la conoscenza e quello per la salvaguardia di Madre Terra, "La grande avventura" ripercorre le tappe di un lungo viaggio. Dentro l'inconfondibile cornice gialla della rivista sono state raccontate vicende epiche: la scoperta leggendaria della città perduta di Machu Picchu, l'avventurosa spedizione di Robert Peary al Polo Nord, gli incontri memorabili tra Jane Goodall e gli scimpanzé, le straordinarie imprese sottomarine di Jacques Cousteau e James Cameron. Attraverso le immagini dei suoi più grandi fotografi, la mostra ripercorre i momenti più importanti della storia della Society. Dai primi scatti fotografici apparsi sul magazine ai giorni nostri, con l'evoluzione della comunicazione e delle tecnologie che grazie a Internet e alla Tv garantiscono oggi un seguito di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, di cui trenta milioni di lettori del magazine e oltre un milione di lettori e "navigatori" in Italia. Ma se è cambiata la comunicazione, la Society non ha cambiato invece il suo obiettivo, la propria missione: esplorare il Pianeta e diffondere una maggiore consapevolezza dell'uomo nei suoi confronti. La mostra farà conoscere e capire da vicino l'impegno e la professionalità del lavoro della comunità di persone - fotografi, giornalisti, impiegati, tecnici, ricercatori, scrittori - della National Geographic Society.
Eliza Scidmore, Giappone 1900 circa - Le fotografie del Giappone colorate a mano venivano fornite alla rivista,
che aveva iniziato a pubblicare questo tipo di immagini due anni prima, da Eliza Scidmore
Daria Bonera: Touring National Geographic Traveler, stupore e narrazione (da Sguardi 86)
La rivista di cui sei photoeditor è nata dalla collaborazione tra Touring Club Italiano e National Geographic Society. La storica rivista dei soci Touring si è rinnovata divenendo l'edizione italiana del National Geographic Traveler Magazine. È un'eredità molto importante. Quanta libertà hai come photoeditor? C'è spazio per la produzione e se sì quanto? Che proposte cerchi? Che elementi deve avere un reportage per interessarti?
L'anno scorso, quando è nata questa collaborazione sono stata nella leggendaria sede del National Geographic a Washington e ho potuto conoscere i redattori e focalizzare quali sono i punti indispensabili da tenere presente. Ho anche libertà, senza dimenticare il nostro lettore e cosa potrebbe interessargli. Scelgo fotografi che raccontino come sono oggi i luoghi rappresentati e che lo facciano in modo originale e sorprendente. Da quando è nata la collaborazione con National Geographic Society, cerchiamo di produrre il più possibile, budget permettendo. Cerco reportage di città o luoghi italiani, ma con un taglio diverso oppure, rimanendo in Italia, località meno conosciute. Altrimenti, ho una predilezione per l'Est e il Medio Oriente. Il prossimo mese pubblicheremo un reportage molto interessante su Mazara del Vallo e la sua immigrazione di Lorenzo Maccotta. Devono essere emotivi, narrativi, intensi, onesti, con un'interpretazione sia giornalistica che personale. […]
Durante workshop e lezioni, ti è capitato di incontrare fotografi interessanti con cui poi hai effettivamente lavorato? Normalmente in che modo cerchi nuovi fotografi?
Mi capita, durante le letture portfolio, di conoscere fotografi che poi ho fatto lavorare sia per la mia agenzia che per la rivista con la quale collaboro, Touring National Geographic Traveler. Ho pubblicato reportage già realizzati, oppure ne ho commissionati di nuovi. Cerco nuovi talenti sulle riviste cartacee e online in Italia e all'estero, festival, mostre, portfolio review, ma anche dai social network tipo Behance, Facebook, e ricevo molte email di proposte da fotografi, illustratori, videomaker. […]
Che consiglio daresti a un giovane interessato a diventare photoeditor?
Gli consiglierei di abituarsi al fatto che molti gli diranno che è difficile e di cambiare mestiere. Invece oggi ancora più di prima, con la crisi e la precarietà che rendono tutto più difficile, tanto vale fare quello in cui credi. Lavorare come photoeditor per giornali online è una delle possibilità per il futuro. Prima di proporsi a una redazione, consiglierei un'esperienza all'estero, meglio se in Francia, Germania o Stati Uniti, dove ci sono più riviste e un buon livello qualitativo e di organizzazione: New Yorker, New York Times Magazine, Time, National Geographic Magazine, Monocle, IL - Intelligence in Lifestyle, Internazionale, Mare, 6Mois e Polka Magazine sono per me le più interessanti.
Sudafrica © Claudio Morelli per Touring
Vanity Fair: Portraits 1913-2008 (da Sguardi 57)
L'arte del ritratto, un modello di comunicazione, una scuola di rappresentazione. Fino al 26 Maggio la National Portrait Gallery di Londra presenta la prima mostra - Vanity Fair Portraits: Photographs 1913-2008 - che mette assieme rare stampe vintage con classici contemporanei dalle pagine di Vanity Fair e dal leggendario archivio Condé Nast. Una storia fotografica del ritratto - "genere" alla base della filosofia editoriale del magazine - di celebrità come Albert Einstein, Charlie Chaplin, Jean Harlow, Arthur Miller, Pablo Picasso, Fred Astaire, Cary Grant, Katharine Hepburn, Margaret Thatcher, Madonna, Tom Cruise, Robert De Niro, Scarlett Johansson, Keira Knightley, ritratte da fotografi leggendari come Edward Steichen, Cecil Beaton, Baron De Meyer, Man Ray, George Hurrell, fino ad Annie Leibovitz, Helmut Newton, Nan Goldin, Herb Ritts, Bruce Weber e Mario Testino. Fotografie diventate icone. Grandi soggetti e grandi fotografi. Una storia lunga 95 anni. Alcuni dei più significativi ritratti fotografici del 20° secolo sono stati realizzati per - o pubblicati su - Vanity Fair. 150 immagini, selezionate dal primo periodo del magazine (1913-1936) e dal periodo contemporaneo, quello del rilancio (le pubblicazioni di Vanity Fair furono sospese nel 1936 e poi riprese nel 1983), e mostrate per la prima volta assieme. Attori, musicisti, sportivi, scrittori, artisti, stilisti, businessmen. Tra i ritratti vintage mostrati nell'esibizione vi sono le immagini di James Joyce, D.H. Lawrence, Ernest Hemingway, George Bernard Shaw, Claude Monet, Louis Armstrong, Josephine Baker, Virginia Woolf.
Gloria Swanson by Edward Steichen, 1924
Internazionale: decimo anniversario (da Sguardi 16)
Se in Italia c'è una rivista che racconta il resto del mondo, questa è Internazionale. Nato nel 1993, l'Internazionale è oggi una presenza riconoscibilissima nello scarno panorama editoriale italiano che guarda anche a cosa succede fuori dai propri, angusti, confini. Così inizia l'editoriale scritto dal suo direttore, Giovanni De Mauro, in occasione dei dieci anni di Internazionale, lo scorso novembre 2003: storia, bilancio e proiezione di una rivista indispensabile per chi vuol saper del mondo. «Le carte geografiche sono bellissime. E danno molte informazioni anche su chi le ha fatte. Basta entrare nell'aula di una scuola di New York o di Tokyo per scoprire che al centro, sulle carte appese al muro, ci sono l'America o l'Estremo oriente, non l'Europa. In Australia e in Nuova Zelanda, poi, sono sempre più diffuse le carte geografiche con il sud in alto. Ed è proprio in Australia che siamo andati a prendere la carta geografica che regaliamo in questo numero. In effetti che il nord sia sopra non è giustificato da alcuna ragione scientifica. È solo una convenzione. E come tutte le convenzioni è importante, perché determina il modo in cui vediamo e immaginiamo il pianeta in cui viviamo.
Ma non c'è bisogno di essere australiani per mettere il sud in alto: perfino Dante, nel De vulgari eloquentia, descriveva un'Italia dove il nord è in basso.
Raccontare il mondo anche a testa in giù, cioè cercare di fornire una visione diversa da quella solita, è proprio quello che abbiamo cercato di fare in questi dieci anni con Internazionale. […] Due vere e proprie rivoluzioni hanno segnato questi dieci anni e ci hanno modificato profondamente. La prima è quella di internet. Immaginate di dover fare un giornale come Internazionale senza internet. All'inizio avevamo una piccola rete di corrispondenti che da Hong Kong o da Mosca ci mandavano per fax gli articoli ritagliati dai quotidiani locali. Alcune riviste ci arrivavano per posta, altre in edicola, sempre con tempi lunghi se non lunghissimi. Poi è arrivato il web. Quasi dall'oggi al domani, abbiamo avuto a disposizione in tempo reale un'enorme edicola mondiale a cui attingere. È stato così per noi ma anche per tutti gli altri. Per i giornali italiani, innanzitutto, che sempre più spesso pubblicano articoli dalla stampa straniera o si ispirano a essi. E naturalmente anche per i lettori. Prima, chi era interessato allo Sri Lanka o al Burkina Faso non aveva fonti fresche e facilmente raggiungibili. Oggi basta avere un computer e un collegamento, e si ha accesso a un'enorme quantità di notizie dettagliatissime e di prima mano. Selezionare è diventato cruciale, ed è stata questa l'idea che ci ha consentito di crescere grazie all'improvvisa disponibilità di informazioni che si è riversata su tutti noi con internet. Fornendo un quadro generale e soprattutto scegliendo nel grande mare della stampa mondiale quegli articoli, quelle inchieste e quei reportage che possono sfuggire anche al lettore più attento.
L'altra rivoluzione ha il nome di una data. Se negli Stati Uniti l'11 settembre del 2001 è soprattutto il giorno di una ferita profonda, in Europa e in Italia è stato il momento in cui un altro mondo è entrato nelle nostre case senza bussare alla porta, facendo irruzione attraverso la tv. L'11 settembre ha aumentato il bisogno di informarsi, di capire e di ascoltare i punti di vista diversi. E nel suo piccolo lo dimostra anche Internazionale, che da allora ha raddoppiato le copie vendute.
Queste due rivoluzioni, così diverse e lontane, hanno prodotto cambiamenti non reversibili e i loro effetti si faranno sentire ancora a lungo.
© Internazionale
Burn: La rivista di David Alan Harvey (da Sguardi 69)
"Evolution and revolution are my keywords for living the photographic life'", una presentazione tra le righe e contemporaneamente forte nella sua dichiarazione d'intenti. David Alan Harvey introduce così il suo Burn, magazine on line di fotografia emergente. Sorprendentemente giovane per il successo che già riscuote, Burn è stato lanciato nel dicembre del 2008 come spin off del blog Road Trips del fotografo Magnum. Una vita passata in viaggio a scattare foto delle culture più diverse, dal Vietnam al Messico, dalla gioventù francese alla passione e al profondo legame con la cultura ispanica nelle Americhe. Tanti libri, infinite storie, lo sguardo di Harvey sembra vivere e alimentarsi di una curiosità senza fine sul mondo. Membro della celeberrima agenzia Magnum dal 1997, il suo lavoro è sempre stato accompagnato da un inesauribile desiderio di condividere le proprie esperienze. Essere mentore, educare lo sguardo, di più, insegnare a guardare, è parte del suo essere fotografo. Il mondo che sta dietro la fotocamera di Harvey è vasto ed eterogeneo tanto quanto quello che gli sta davanti. Quando aveva dodici anni, la sua famiglia diventò la sua prima storia. "Off For A Family Drive", il suo primo libro. Il bianco e nero sbiadito della sua infanzia in Virginia, poi le prime esperienze narrate con gli scatti della convivenza con una famiglia nera di Norfolk. Tutto quello su cui cade lo sguardo del fotografo è una storia da narrare. «Qualche volta penso: hey, basta pensare alla storia. Poi però non riesco a farne a meno. Tendo a essere assorbito dalla narrazione, che sia Cuba, o il lavoro sulla cultura hip hop, o il mio progetto sui ritratti di donne. È qualcosa che sento istintivamente di fare. Tendo a legare insieme le immagini». La fotografia è documentare la realtà che ci circonda, è vedere le storie che si connettono e si legano intorno alla nostra. La fotografia è, altresì, interpretazione, dialogo, incontro-scontro con quello che vediamo. Il nostro occhio come filtro dal quale narrare quello che viviamo. Sembrano essere questi i presupposti di Burn: lasciare spazio alle storie e ai suoi autori. Burnmagazine è un giornale giovane, ma già maturo per l'inesauribile universo di storie narrate sulle sue pagine virtuali. La prova del fuoco l'ha superata pochi mesi fa, vincendo un Lucie Award, prestigioso premio internazionale, sbaragliando concorrenti dalla fama indiscussa e dal lungo e consolidato passato editoriale come Aperture o Foam. Ad attraversare le pagine di Burn non sono solo i lavori di fotografi emergenti, le foto di grandi firme si mescolano spesso al suo flusso costante di immagini. E, così, Martin Parr fa capolino con le sue storie bizzarre, a fianco al bianco e nero struggente di James Nachtwey o alle istantanee su Cuba dell'ultimo libro di Alex e Rebecca Norris Webb. Aperto anche a progetti multimediali, per confermare una convinzione già molto diffusa che la fotografia possa sposarsi egregiamente con altri strumenti mediatici, il magazine di Harvey lascia spazio a reportage di stampo classico, cosi come a visioni metafisiche e colorate. Evoluzione erivoluzione.
© Alejandro Chaskielberg
Franco Carlisi: Gente di Fotografia (da Sguardi 54)
Portfolio, incontri-interviste, saggi critici, articoli di tecnica, presentazione di libri, segnalazione di mostre e rassegne. Come si riconosce, e distingue, la formula editoriale di Gente di Fotografia
Gente di Fotografia già dal primo numero ha assunto una sua precisa identità: siamo una rivista di immagini perchè riteniamo che la libertà e il piacere delle immagini restino il fondamento della fotografia, ma approfondiamo anche una riflessione necessaria sulle poetiche della fotografia e sulle sue implicazioni sociali, filosofiche ed estetiche. Molte delle riviste nazionali parlano più di macchine fotografiche che difotografia. Altre dicono di interessarsi alla fotografia internazionale riducendo, però di fatto, la loro attenzione alle espressioni artistiche che provengono dalle metropoli della parte privilegiata del mondo. Come se ci si potesse innamorare solo in riva alla Senna o si potesse raggiungere una particolare intensità del sentire solo all'ombra dei grattacieli di Manhattan. Anche quando si parla di fotografia cinese, molto in voga in questo momento, non si fa altro che proporre uno sguardo perfettamente omologato: fotografi cinesi che fotografano come un occidentale. Del resto questo comportamento tradisce un atteggiamento assolutamente provinciale della gran parte degli editor italiani che, se non guardassero a ciò che succede oltreoceano come un musulmano guarda a La Mecca, godrebbero di quella libertà di pensiero che gli consentirebbe di apprezzare quanto di interessante nasce e si evolve nei dintorni di casa loro. Invece ciò che esula dalla loro esperienza quotidiana e mediatica viene ritenuto esotico magari, ma comunque altro, rispetto a sé, e quindi poco interessante. Noi di Gente di Fotografia abbiamo fatto tesoro dell'esperienza dell'amico Mario Giacomelli e crediamo si possa essere grandi fotografi anche senza le k nel cognome. Da sempre abbiamo dato grande visibilità agli autori italiani emergenti che diversamente non avrebbero avuto alcuna possibilità di farsi conoscere. Molti sono i fotografi che, in questi anni, abbiamo accompagnato ad una concreta affermazione professionale attraverso la pubblicazione e attraverso le nostre rassegne. Ciò naturalmente non ci ha impedito di pubblicare le anticipazioni sulle tendenze creative a livello internazionale.
Qual è l'idea - le idee - di fotografia che portate avanti attraverso la rivista?
Pensiamo ad una fotografia in grande vitalità che ai suoi significati specifici di documentazione erappresentazione della realtà continua ad affiancare accezioni sempre diverse. Siamo consapevoli, infatti, che le nuove tecnologie e la globalizzazione producono un mutamento della percezione della realtà e quindi della visione. E che a ciò corrisponda una ricerca fotografica sempre più attestata sulle possibilità dell'invenzione dell'immagine che sulla ripresa della realtà. Pensiamo ad una fotografia frutto dell'interazione del fotografo con la realtà ma anche ad una fotografia come altrove dell'animo o del pensiero. […]
Che rapporto stabilite con i fotografi? Vi cercano, li cercate? Se c'è una preferenza, privilegiate la pubblicazione di raccolte di immagini o di lavori particolari?
Riceviamo diverse centinaia di portfolio in visione ma non rinunciamo a continuare a cercare. Una ricerca, più che di nuovi soggetti , di un nuovo modo di sentire, di guardare. Naturalmente, come tutti, anch'io ho delle preferenze ma queste non influenzano in maniera determinante le scelte di Gente di Fotografia. Abbiamo infatti istituito un comitato di redazione che seleziona i lavori da pubblicare seguendo criteri di omogeneità ed originalità. La singola foto non viene presa in considerazione. Cerchiamo lavori che esprimono valore autoriale.
Cover Gente di Fotografia n. 43 (Nicola Vinci)
Rosanna Checchi: Editor Zoom Magazine (da Sguardi 37)
Quale definizione daresti, oggi, di Zoom?
Siamo un punto di riferimento importante: Zoom è uno strumento di informazione per molti soggetti operanti nell'ambito della fotografia. Lo è per i galleristi, per far conoscere i loro eventi; per gli art-director, per le loro ricerche; per i fotografi, con i loro progetti; per gli amanti della fotografia che desiderano, anche da semplici spettatori, una panoramica sul mondo dell'immagine. Zoom è molte migliaia di contatti al mese con autori, galleristi, istituzioni. Oggi sempre di più siamo anche al di fuori delle semplici pagine stampate, come consulenti per segnalare autori e progetti espositivi. Voglio ricordare la mostra dedicata ad Enzo Ferrari per il centenario della sua nascita. E anche ®evolution, una d