Vittorio Storaro |
Con l'uscita in questi giorni del terzo volume Gli
elementi/The Elements (precedenti volumi:
La Luce/The Light,
nel 2001, e I Colori/Colors,
nel 2002) arriva a compimento la trilogia
che Vittorio Storaro - direttore della
fotografia di molti capolavori cinematografici, tre
volte Premio Oscar per Apocalypse
now di Francis Ford Coppola, Reds
di Warren Beatty e L'ultimo Imperatore
di Bernardo Bertolucci - ha voluto dedicare alla scrittura
con la luce.
"Scrivere con la luce" è infatti il nome
della collana, edita da Electa
in collaborazione con l'Accademia
dell'Immagine dell'Aquila (dove Storaro insegna da
molti anni), definita dall'autore "non solo libro ma
progetto di una vita",
"enciclopedia di un visionario,
un ricercatore, uno studioso" di quanto filosofi, pittori,
scienziati di tutto il mondo hanno speso in ricerca intorno
al mistero della visione.
Tre volumi, insieme di scritti e di immagini frutto di
circa trent'anni di esperienze, sintesi della ricerca storico-culturale
su quanto ha ispirato figurativamente
Storaro, di ciò che ha lasciato nel tempo il passaggio
di filosofi, pittori
e cineasti, bisogno di raccontarsi
andando al di là del puro tecnicismo dell'immagine,
tra riflessioni teoriche sull'arte e sulla scienza, tra
foto di scena e opere d'arte, cercando di rivelare l'importanza
che arte figurativa e cultura
umanistica giocano nel linguaggio filmico.
In occasione dell'uscita del volume Gli elementi/The
Elements, che sarà presentato a Roma sabato
20 dicembre alle ore 11 con una conversazione
tra Storaro e il sindaco di Roma Walter Veltroni (nella
Sala della Protomoteca del Campidoglio), Sguardi
rende omaggio alla ricerca
di Storaro sulle immagini in movimento
e l'universo dello spettro cromatico,
riportando di seguito alcuni brani dell'intervista (concessa
al sito di Electa) dal cinemato-grafo,
come egli stesso ama definirsi, Storaro: "autore della
cinemato-grafia, della foto-grafia cinematografica".
"Autore",
vale a dire libero ingegno creatore, della "foto-grafia"
cioè dello "scrivere con la luce". Questa
definizione racchiude il tema centrale del suo pensiero:
la direzione della luce.
L'ultimo Imperatore - © Vittorio
Storaro |
Non mi sono mai sentito a mio agio con la definizione direttore
della fotografia. Sin dai primi lavori ho sempre
sentito il bisogno di esprimere la mia individualità
- sia pure in un'opera comune, come è quella cinematografica
- ho sempre cercato una definizione diversa. Chi fa questo
mestiere è co-autore
dell'opera cinematografica,
responsabile delle sue ideazioni. Il film è un'opera
a più mani realizzata da una serie di co-autori e
diretta dall'autore principale, che è il regista.
Sono andato all'origine della
parola: foto-grafia, letteralmente
scrittura con la luce, che è poi,
guarda caso, il titolo della collana di libri che sto pubblicando
con Electa. Chi fa foto-grafia
scrive con la luce la storia
del film, come il compositore la scrive con le note, come
lo sceneggiatore o lo scrittore la scrive con le parole.
Il linguaggio della luce, e
quindi di tutti i suoi componenti, ha una sua potenzialità,
può esprimere sentimenti, emozioni, esattamente come
le note di uno spartito o le battute di una sceneggiatura.
Noi siamo dei visionari, deriviamo
da una serie di visioni, dalla
storia della pittura. Ma se
un pittore racconta una storia in un'unica immagine - e
anche per la fotografia pura e semplice è così
- la cinemato-grafia, ed è
questa l'espressione in cui maggiormente mi riconosco, ha
invece qualcosa di più: il movimento.
Si esprime attraverso un racconto, con un inizio, uno svolgimento
e una fine. Quindi scrivere con la
luce è raccontare una storia cinemato-grafica
attraverso la luce e tutti i suoi componenti. I tre libri
che compogono la collana ("La luce", "I colori",
"Gli elementi") sono a loro volta la storia di
questo percorso, in realtà di più percorsi,
con uno scopo fondamentale: ampliare gli orizzonti. Io ho
visitato molte scuole in Italia e poi ho insegnato in seminari
in tutto il mondo.
Apocalypse Now - © Vittorio
Storaro |
E ho visto che in tutti gli istituti, le accademie, le
università che si occupano di cinema, nel corso di
studi dedicato alla fotografia insegnano solo materie
tecniche. Manca una visione più ampia che
comprenda l'essenza dei significati, il valore della parte
più creativa. Non viene data la possibilità
di risalire all'origine dell'idea
creativa perché non sono forniti gli strumenti
culturali, i riferimenti per poterlo fare. Per quanto mi
riguarda sin dall'inizio della mia carriera ho sentito questa
mancanza, e sin dall'inizio ho cercato di colmarla tramite
una ricerca lunghissima, da
autodidatta. Tutte le mie letture,
le mie ricerche, sia sul piano della visione pittorica che
della filosofia, del ritmo musicale, della scrittura letteraria
- ma fondamentalmente anche un'analisi delle parole "ombra",
"luce", di un colore - sono confluite in una serie
di appunti, in una sintesi personale che ho utilizzato
in ogni film. Recentemente, grazie all'Accademia dell'immagine
dell'Aquila in cui insegno da sette anni a "scrivere
con la luce" e alla casa editrice Electa, che sta pubblicando
questa trilogia, ho potuto dare corpo
a trent'anni di ricerche. Tre
libri per trasmettere a tanti
giovani, e sto pensando ancora all'Accademia e ai suoi allievi,
qualcosa di simile a un'eredità tra padre e figlio,
tra insegnante ed alunno, per dare la possibilità
alla nuova generazione di partire da un gradino di consapevolezza
maggiore del mio. Guardiamo l'importanza della scultura
e della filosofia in epoca greca, della pittura nel Rinascimento,
della musica nel Settecento, della letteratura nell'Ottocento:
oggi l'immagine cinematografica è la summa
di tutte le arti. Per poterci esprimere in un modo più
consapevole, più conscio, più razionale, più
maturo dobbiamo conoscere anche le altre arti. Per arrivare
alla decima Musa bisogna prima
essere ispirati dalle altre nove.
I suoi libri evidenziano un
percorso di sperimentazione fatto di tappe successive e
anche di ripiegamenti, di pause. "Sperimentando",
come lei ha saputo fare, la Luce nelle sue diverse forme
e simbologie, lei ha vissuto e quindi trasposto nei suoi
film una suggestiva metafora dell'esistenza: Luce/Ombra,
Bene/Male, Vita/Morte, Yang/Yin…
Lady Hawke - © Vittorio Storaro |
Ognuno di noi sente l'esigenza di cercare,
e lo fa per tutta la vita, l'equilibrio tra elementi opposti.
Mi sono sempre stupito di come le entità siano separate,
nella vita: l'uomo e la donna, il marito e la moglie. Risalendo
indietro nel tempo all'essenza della visione - io sono un
"visionario" - all'inizio del Tutto, troviamo
un Uno che a un certo punto si è diviso in due
entità. Sto pensando a Esiodo e alla Teogonia.
Luce e ombra, quindi, e nell'uso dell'uno e dell'altro ho
visto la possibilità di simboleggiare tutti gli opposti,
tutti i contrari, tutte le diversità. Da qui un'analisi
sempre più approfondita mi ha portato a dividere
ulteriormente, separando la
luce dall'ombra,
e ho scoperto che nel mezzo c'era una signora che si chiamava
penombra. Poi ho visto che
la luce andava divisa anche in artificiale
o naturale e, ancora, in quella
che poteva simboleggiare il cosciente
o l'inconscio, il bene
o il male, il giorno
o la notte, la luna
o il sole. Nel tentativo di
dare dignità ed espressione a ogni singola entità
mi sono trovato a creare suddivisioni sempre nuove. Dopo
dieci anni di vita professionale e quaranta di vita vissuta
ho capito che dovevo fermarmi per un po'. Mi sembrava di
non sapere più dove andare, mi mancava una nuova
radice. Avevo bisogno di scavare, quel bisogno che hanno
i contadini di rivoltare la terra per seminare di nuovo.
Mi sono preso un periodo di pausa,
di riflessione, da dedicare a nuovi studi. L'unica maniera
per proseguire l'indagine della mia vita e approfondirla
era entrare nella luce stessa,
ed ecco il titolo del primo libro della collana. Quindi
ho scoperto i colori, l'argomento
del secondo libro. Usando una lente di ingrandimento sempre
più potente scoprivo nuove entità: "i
figli della luce e dell'ombra" di Leonardo da Vinci.
Questo dava un'ampiezza sempre maggiore al mio linguaggio
visivo finché, dopo L'ultimo
imperatore - ancora dieci anni di parte creativa,
di vita professionale e di vita normale, da solo e con la
famiglia, con la moglie, i figli, con gli amici, con tutto
quello che ci conforta nel vivere - ho visto che era il
momento di ricollegare tutto
quello che avevo diviso, di trovare elementi di unione.
Ecco allora una nuova pausa,
un nuovo studio sulla filosofia
greca, i quattro elementi e tutti gli elementi che insieme
formano la vita, in equilibrio soltanto tra loro. Ho capito
che dovevo cercare un punto di equilibrio
tra l'uomo e la donna, tra la luce e l'ombra tra il cosciente
e l'inconscio. Il terzo libro, Gli
elementi, vuole proprio essere il tentativo di rimettere
insieme per cercare di capire, o di almeno intuire, l'equilibro
tra le due grandi forze che
vivono dentro di noi. È il punto di partenza per
una ricerca più seria. Credo che per raggiungere
questo obbiettivo non basti una vita, ma già arrivare
capire quale è la direzione giusta sarà per
me una grande conquista.
Lei ha lavorato a fianco di
grandi registi come Bernardo Bertolucci, Luca Ronconi e
Francis Ford Coppola, solo per citarne alcuni. Quali sono
le personalità che hanno avuto maggior peso nella
sua formazione e nel suo percorso professionale?
Dick Tracy - © Vittorio Storaro |
Certamente tra le grandi guide c'è stato Bernardo
Bertolucci: un rapporto di comprensione profonda,
che ha riguardato sia i rapporti con l'esterno, sia l'inconscio
e l'intuizione irrazionale. Un'affinità umana. Allo
stesso tempo, Bernardo è stato anche una sorta di
una guida spirituale, che mi ha accompagnato in un tratto
di vita importate, di scoperta di me stesso. La seconda
grande guida, la prima tra gli stranieri, è stato
Francis Coppola. Lui mi ha
portato ad abolire la distinzione tra il privato e il pubblico,
tra il professionale e il familiare, cosa che in Italia
purtroppo sentivo. Coppola ha un rapporto speciale con la
realtà, riesce ad armonizzare il microcosmo, la famiglia,
con il macrocosmo, il grande mondo industriale, la grande
America, la dimensione che a me all'inizio spaventava. E
la terza guida, e non a caso la copertina di ciascun libro
è dedicata una di queste guide, è
Warren Beatty, che mi ha fatto capire veramente quanto
ogni opera andasse vista anche dal suo interno, essendo
lui insieme regista e protagonista.
Come è nata l'idea
di presentare in forma di libro il suo percorso individuale
e professionale?
Novecento - © Vittorio Storaro |
Il progetto nasce dal mio senso dell'ordine.
Nel 1985 mi trovavo in Russia per girare Pietro
il Grande. Alle tre del pomeriggio era già
calato il buio e la giornata di lavoro era finita. Ogni
giorno avevo più di tre ore libere, e così
mi sono detto: prima che l'età mi porti a dimenticare
quello che ho ideato per i
miei film, soprattutto ciò che non ho mai avuto occasione
di scrivere, è bene che metta nero su bianco. Tutto
è cominciato così. I libri li ho scritti di
mio pugno anche se, certamente, sono più uno scrittore
di luce che uno scrittore di parole. Ma molte cose non avrei
potuto farle spiegare da altri. I miei testi però
non bastavano, ci volevano anche delle immagini, e ho cominciato
a usare la macchina fotografica
con lo scopo specifico di illustrare visivamente
i testi.
Il suo richiamo all'arte è
costante. C'è un aggancio con il teatro, evidente
nel rapporto con Ronconi. E c'è sempre stato un rapporto
osmotico tra realtà dipinta, realtà rappresentata,
realtà cinematografata. Esiste un modo pittorico
di fare cinema come esiste un modo teatrale di rappresentare.
Ma ciò che lei cerca nella citazione artistica è
forse più sottile, possiamo parlare di "espressività
luministica". Dove sta andando adesso, quali sono gli
artisti che in questo momento stimolano la sua ricerca?
Roma Imago Urbis - © Vittorio
Storaro |
Il teatro mi ha sempre incuriosito.
Da quando ho cominciato ad esprimermi, fin dal mio primo
film mi sono reso conto che ero come zoppo,
procedevo con la tecnologia ma non con la parte espressiva.
Studiando colmavo le mie lacune e, subito, utilizzavo ciò
che avevo appreso nel mio lavoro. Talvolta era il lavoro
stesso a fornirmi nuovi stimoli. C'è stato un momento
in cui mi sono domandato come mai l'immagine, la luce, in
campo cinematografico fosse così più progredita
rispetto all'immagine teatrale, a parte rarissimi casi come
le regie di Strelher negli anni Sessanta e Settanta. Inoltre,
mi mancava l'esperienza di un rapporto diretto con il pubblico,
attuabile solo in teatro. Per questo, dopo aver lavorato
con Luca Ronconi all'"Orlando Furioso" per la
Rai, mi sono occupato di due opere teatrali. Ed è
stato allora che ho capito l'importanza di una ben precisa
fase del mio lavoro, spesso l'ultima in ordine di tempo,
che consiste nel captare fotograficamente
l'immagine. In questa fase tutto il marchingegno
tecnologico, l'obiettivo, la pellicola, la luce,
diventava in realtà un fondamentale completamento
espressivo, perché dal tipo di mezzo che io
usavo e da come lo usavo dipendeva la definizione di un
contenuto. Questo mi ha aiutato a capire meglio qual era
la mia professione e il valore dell'esperienza cinematografica,
che, tra l'altro, ti fa conoscere moltissime realtà
diverse, e penso, ad esempio, al mio viaggio in Cina
per girare L'ultimo imperatore.
A questo proposito devo ringraziare un mio bravissimo professore
di fotografia, che ci diceva: "Ragazzi non si
può, e non si deve, conoscere tutto nella vita, l'importante
è imparare a trovare quello di cui man mano avrete
bisogno". In un certo senso, i progetti di cui io avevo
bisogno mi sono venuti incontro,
secondo un percorso che dentro di me ormai era tracciato
e si alimentava di conoscenze: con il soggiorno in Cina
per L'ultimo imperatore avevo
conosciuto la pittura e la cultura di quel paese; con Pietro
il Grande il mondo della pittura russa; con il progetto
su Wagner, il mondo della musica
tedesca tra Ottocento e Novecento. Un altro esempio: non
conoscevo le opere di Francis Bacon
prima di Ultimo tango a Parigi.
L'intuizione, sul piano figurativo, io e Bertolucci l'avevamo
avuta durante la fase preliminare, quando io lo raggiungevo
ogni fine settimana a Parigi per preparare il film. Avevano
appena inaugurato una mostra
su Bacon e, prima di iniziare la lavorazione, Bernardo mi
propose di andarla a vedere. Sembrava che questo artista
stesse percorrendo esattamente la stessa strada che stavamo
percorrendo noi, la visione delle sue opere ci ha chiarito
le idee sul film. Andando in Jugoslavia ho scoperto il mondo
dei primitivi iugoslavi, andando
a Parma per girare La strategia del
ragno o Novecento ho
scoperto Ligabue, ho constatato
la presenza di una grande passione per le arti figurative
anche in persone molto semplici. L'emozione che gli artisti
primitivi riuscivano a tirar
fuori nell'uso dei colori è
simile a quella dei miei inizi, quando l'intuizione non
aveva ancora il supporto della
cultura figurativa. Nell'ultimo periodo, e non è
un caso, ho tentato di capire l'origine
delle intuizioni, che per gli antichi erano i messaggi
delle Muse. Le Muse, in realtà,
potrebbe essere il titolo del quarto volume di Scrivere
con la luce, e l'argomento sarebbe senz'altro quell'energia
misteriosa che è stata definita un tuffo
nel sovracosciente. In conclusione, nel momento in
cui noi abbiamo un'idea, scriviamo una frase piuttosto che
un'altra, tracciamo la linee di un disegno, chi ci ha ispirato?
Talia, Euterpe oppure Vittorio ha pescato nel suo sovracosciente?
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