© Sebastiao Salgado, Magnum-Contrasto
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Oltre 50 esposizioni (sparse nella Roma monumentale e in musei, accademie e palazzi), doppio tema (Roma e le comunità), una prima mondiale (il lavoro dedicato alla capitale realizzato appositamente per FotoGrafia da Josef Koudelka), fotografi celebrati (tra gli altri Sebastião Salgado, Don McCullin, Ferdinando Scianna) e fotografi del tutto sconosciuti, sguardi a confronto (su scenari di guerra o Cina, Cile, Afghanistan), raccolte storiche (sulla Roma dell'800 o le migrazioni italiane), nuove forme espressive al confine con le arti visive. Questo e molto altro propone l'edizione 2003 del Festival internazionale FotoGrafia di Roma, ideato due anni fa da Marco Delogu, fotografo e direttore artistico della manifestazione, e fortemente voluto da Walter Veltroni, sindaco della capitale. A Delogu "Sguardi" ha chiesto di raccontare come si costruisce e gestisce un evento di tale portata, quale idea della fotografia animi una rassegna così articolata e quale sia la ricerca che orienta le sue immagini di fotografo (una selezione delle quali è presente nella galleria che accompagna l'intervista).
© Ferdinando Scianna,
Magnum-Contrasto
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Com'è nato il festival?
Da una mia idea notturna. Ho scritto subito una lettera al Comune e ho poi incontrato il sindaco che ha sposato con entusiasmo il progetto. Non avevo mai lavorato con istituzioni, ma un festival del genere lo si può fare solo con un'istituzione come il Comune e con un sindaco comeVeltroni. Davanti a mostre enormi che costano un sacco di soldi e sono viste da poche centinaia di persone, ho sempre pensato che quello sia un modo per buttare soldi pubblici. Io penso invece che un festival di fotografia come questo, che costa relativamente poco e che in una città come Roma propone per un mese e mezzo tantissime mostre in spazi fantastici non fatti per la fotografia, ha una sua utilità alta e con diversi livelli di fruizione. Mi piace molto, per esempio, il fatto che nel festival ci siano mostre di grandi fotografi come Salgado o Koudelka e altre di fotografi sconosciuti.
Qual è il tema di quest'anno?
Credo che questa edizione abbia un'identità molto forte. L'idea iniziale era di lavorare soltanto sul tema delle comunità. Dopo uno scambio di opinioni con il sindaco è venuta fuori l'idea di inserire alcune mostre su Roma. Avevo un po' di terrore di occuparmi di Roma, perché temevo di cadere nella banalità. E invece il fatto d'aver chiesto a Koudelka di realizzare un lavoro sulla città espressamente per il festival ha dato una marcia in più sia al tema Roma che al festival stesso. Un'altra idea interessante è stata metter accanto alla mostra di Koudelka istantanee scattate dagli stessi appartenenti alle diverse comunità presenti nella capitale.
© Lauren Greenfield
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In generale, penso che è una ricetta troppo facile chiamare tre grandi nomi e basta, anche perché a volte ho visto lavori di attualità di grandi nomi che non mi sono piaciuti affatto. Abbiamo scelto di non inserire né fotografie di moda, né fotografie di pubblicità; sono due ambiti della fotografia che non ci interessano particolarmente, più che altro perché hanno già un grado di esposizione altissimo, ne sono piene riviste, manifesti, cataloghi. Ci ha interessato di più, per esempio, il lavoro che una bravissima fotografa di moda come Elaine Constantine ha fatto a Manchester sugli anziani che ballano; o esporre le opere di Larry Towell sulle comunità di Mennoniti tra Canada e Messico.
Il successo negli ultimi anni di mostre e rassegne
fotografiche fa pensare che in Italia lo spazio
e l'attenzione per la fotografia stiano crescendo.
È realmente così?
Penso di si, se due anni fa mi avessero detto che il festival sarebbe andato così bene forse avrei avuto qualche dubbio. Penso che ci siano segnali veramente molto forti, di numeri, di attenzione, di feed-back generale. All'inaugurazione della mostra di Koudelka c'erano cinquemila persone e la prima domenica la mostra è stata visitata da duemila persone. Alla Centrale Montemartini, per l'inaugurazione in un sabato afoso di maggio, saranno arrivate tra mezzogiorno e l'una tre-quattrocento persone; mentre la prima domenica sono arrivate ottocento persone. Vuol dire che l'attenzione c'è. È certo un lavoro duro, che durerà anni e avrà sicuramente i suoi alti e bassi. Ma non è un caso che mi abbiano chiamato da due tre posti per fare scenografie teatrali con fotografie proiettate su grandi schermi.
© Josef Koudelka, Magnum-Contrasto
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Il futuro del festival?
Consolidarlo, dargli sempre una personalità molto forte nel tema (quello del prossimo anno ancora non c'è). E, più in generale, fare qualche mostra in meno con un livello però più alto. Credo che facendosi a Roma, perciò con un pubblico ampio e anche giovane, il festival debba anche essere molto aperto. Avere una doppia velocità, presentare fotografi affermati e fotografi non ancora conosciuti. Come ho fatto quest'anno: assieme a Koudelka ho chiamato un ragazzo parigino di 22 anni che non aveva fatto niente fino a oggi, Raphael Dallaporta, che ha fatto un lavoro sui caravan forse un po' concettuale ma con un rigore impressionante per una persona di quella età, perché per realizzare le sue foto ha aspettato sempre la stessa luce nello stesso posto. Voglio iniziare a lavorare subito all'edizione del 2004 e mi piacerebbe trasformare la struttura del festival anche in una struttura di produzione che lavori dodici mesi l'anno. Che riesca a proporre una serie di appuntamenti non soltanto a maggio ma anche nel corso dell'anno. E che sia in grado di fare cose a diversi livelli, essere presente in realtà romane piccole o periferiche, come organizzare una discussione sulla fotografia di reportage
per esempio.
© Marco Delogu
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© Marco Delogu
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Su un piano più personale, qual è la tua idea di fotografia?
Un'idea di bellezza estetica e documentativa molto asciutta. Una fotografia che colpisca immediatamente, nella sua semplicità. Gli estetismi, gli effetti ricercati, mi danno fastidio. Io faccio ritratti, soprattutto. E faccio una ricerca su gruppi di persone che hanno forti esperienze o un linguaggio in comune: dai contadini ai carcerati, dai fantini del Palio ai cardinali.
Da dove viene quest'attrazione verso i gruppi?
Dalla vita e basta. Mi interessa il rapporto tra l'appartenenza al gruppo e l'individuo che ne è testimone. Il carcere mi ha attratto perché molti della mia generazione l'hanno sfiorato e toccato più di una volta. I cardinali perché, poco prima che morisse, ho conosciuto uno zio che lo era. I cavalli perché è una passione innata, mio padre aveva dei cavalli e quando sono in mezzo a loro sto bene. Gli etruschi perché vado spesso nella zona dove vivevano. Gli scrittori, anche se non penso costituiscano un gruppo, perché è una mia piccola passione. Adesso sto finendo un lavoro su Rebibbiafemminile e penso di aver fatto foto con più libertà.
Vuoi attivare uno sguardo più libero?
© Marco Delogu
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Sicuramente, penso che sia il prossimo passaggio. In futuro, vorrei fare un progetto senza avere troppi limiti. Ho fatto da poco un piccolo catalogo sulla statua del Satiro danzante, a colori (io in genere lavoro in bianco e nero, ma non ne faccio un credo rigido). Una cosa che mi piace tantissimo della statuadel Satiro è che come la fotografi sembra una cosa diversa e quella è per me proprio un'idea di bellezza. Penso che più prendi confidenza col lavoro e più ti dai delle libertà. Penso anche che, a volte, sia inutile dare un significato forte alla base. Una volta ho atto una foto a dei girasoli che erano un po' in controluce e secchi; non ha nessun significato ma quando la riguardo mi piace ancora; per me è un piacere estetico, come mangiarsi un barattolo di nutella.
Chi è
Marco Delogu è nato a Roma, dove vive e lavora, nel 1960. Il suo lavoro si concentra principalmente su ritratti di gruppi di persone con una forte esperienza in comune (contadini veneti della bonifica, carcerati, compositori classici contemporanei, zingari, fantini del palio, cardinali in pensione e scrittori); recentemente ha iniziato un lavoro di fotografie senza persone. Sue mostre personali sono state esposte in numerose gallerie e musei in Italia e all'estero (tra cui Ircam, Centre Georges Pompidou a Parigi, Villa Medici, Palazzo delle Esposizioni e Galleria Comunale di Arte Moderna e Contemporanea a Roma, Warburg Institute a Londra, Henry Moore Foundation a Leeds, Musée de l'Elyseé a Losanna). Tra i suoi libri: Cardinali (Bruno Mondadori, Milano 2001), Senex (Leonardo International, Milano 2002), I trenta assassini (Graffiti, Roma 2000), Cattività (Stampa Alternativa, Roma 1999), Fuori Tutti (Einaudi, Torino 1996), Nature (Graffiti&Stampa Alternativa, Roma 2000), Compositori (e/o e IRCAM-Centre Georges Pompidou, Roma Parigi 1997), Marco Delogu (Fazi, Roma 1994). Le sue fotografie sono state pubblicate nelle principali riviste italiane e straniere.
© Marco Delogu
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© Marco Delogu
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