Entrare in contatto
Uno dei maggiori problemi, in viaggio, e per il fotografo - doppio, perciò, per chi viaggia e fotografa - è quello dell’invasività di chi entra a far parte di un ambiente altro. Fatto inevitabile, questione irrisolvibile fino in fondo, da affrontare volta per volta. Se, da una parte, bisogna non essere aggressivi ma umili di fronte al soggetto, senza avere però troppo timidezze, dall’altra è importante mostrare più rispetto possibile, cercare di stabilire un contatto minimo (Francesco Cito racconta che, arrivando in Palestina, rinunciò a uno scatto importante che gli si offriva davanti agli occhi, perché – prima – sentiva di dover cominciare a creare una relazione di fiducia con i suoi interlocutori locali). Farsi addirittura scordare (quando si ha tempo), diventare in qualche misura invisibile.
© Antonio Politano
Malaysia, Borneo Sarawak: nel Sepilok
Orang-Utan Rehabilitation Centre alcune decine
di orang-utan vivono allo stato semi-selvatico
e vengono progressivamente reintrodotti
nel loro habitat naturale
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© Antonio Politano
Inghilterra, turisti a Stonehenge
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Il problema - appunto - è il tempo a disposizione, quello che abbiamo nei nostri spostamenti (che scegliamo e ci diamo, facendo i conti con impegni professionali e privati) è in genere limitato. Tranne scelte radicali, siamo tutti turisti e viaggiatori allo stesso tempo, non illudiamoci e tiriamoci fuori. Ma troppo spesso si vedono legioni di turisti-viaggiatori che, appena arrivati sul bordo del Grand Canyon o nel cuore di una festa induista, si ingegnano a trovare freneticamente l’angolazione migliore, anziché vivere il momento. È naturale, per chi ama fotografare, farsi tentare dagli aspetti più emozionanti e spettacolari di ciò che progressivamente si vede e scopre viaggiando. Non bisogna però viaggiare costantemente con un mirino al posto degli occhi, «fermarsi, fare una fotografia e proseguire» come scriveva Susan Sontag.
Un ragionevole suggerimento è quello di sforzarsi di guardare innanzitutto con gli occhi, percependo e riempiendosi - prima - dell’emozione che si sta vivendo e - solo dopo - iniziare a scattare, studiando soggetti, angolo di ripresa, luce e così via. Se si limita la tendenza a immortalare per portare a casa lo scalpo di un luogo, fotografare in viaggio, oltre che permettere immagazzinare ricordi dei posti visti e delle situazioni vissute, diventa un’occasione di espressione, creativa, del proprio sguardo, che - citando due grandi scrittori francesi ( «Il solo vero viaggio, la sola immersione nella giovinezza, si farebbe non con l'andare verso nuovi paesaggi, ma con l'avere occhi diversi», Marcel Proust; «L'importanza sia nel tuo sguardo non nella cosa guardata», André Gide) - rimane in fin dei conti la cosa più importante. Anche in un viaggio.
© Antonio Politano
Fiji, Laguna Blu: foto ricordo
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© Antonio Politano
Malaysia, Borneo, Sarawak: cartello
all’entrata di un parco “non fare altro
che foto, non lasciare altro che impronte”
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Consapevoli del nostro possibile impatto, si deve aumentare il rispetto davanti ai soggetti potenziali, mostrare attenzione, discrezione. A volte basta un sorriso, un gesto gentile, amichevole, magari scherzare, mostrare la propria buona fede, alzare leggermente la macchina per chiedere il permesso di fotografare rapidamente; altre volte, se si vede che non provano fastidio, scattare discretamente e poi se è il caso sviluppare un rapporto.
© Antonio Politano
India, Benares: divieto di fotografare in riva al Gange dove avvengono le cremazioni
Le persone che diventano potenziali soggetti delle immagini - nella propria città come ai confini del mondo - possono essere indifferenti e amichevoli o infastiditi se non ostili e aggressivi. Se si capisce che si crea disagio, ritirarsi in buon ordine, non offendere la sensibilità altrui. Le sensibilità sono diverse, in particolare davanti a una macchina fotografica. Alcuni, soprattutto nel sud del mondo, non desiderano legittimamente vedere obiettivi puntati su di loro (pare che il capo indiano Cavallo Pazzo, per esempio, a differenza di Toro Seduto e Geronimo, rifiutò sempre di essere fotografato per non far catturare mai il proprio spirito). Altri chiedono soldi: voi prendete una cosa a noi - l’anima, un’immagine - lasciateci qualcosa in cambio. Il concetto di privacy muta a seconda dei contesti, delle culture, e sfiora la questione della liberatoria del soggetto ("Il sottoscritto … autorizza la stampa e la pubblicazione della fotografia scattata da… in qualsiasi forma, tempo e luogo") che a volte, specialmente per i ritratti, sarebbe forse utile far firmare.
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