Sebastião Salgado
Per alcuni Sebastião Salgado è “il più grande fotogiornalista al mondo”. Un testimone del nostro tempo, con il suo bianco e nero di ritratti potenti che narrano di vite quotidiane e ultimi della Terra, lavoratori o rifugiati, deserti e selve, fino al suo recente Genesi (esposto fino all’11 maggio presso la Casa dei Tre Oci di Venezia, dopo un primo passaggio a Roma, vedi Sguardi dello scorso maggio). Una giornalista francese, Isabelle Francq, ha raccolto per la prima volta in un libro - Dalla mia Terra alla Terra, Contrasto, pp. 160, euro 19,90 - “le riflessioni scritte in prima persona” del fotografo brasiliano, esponendone le convinzioni, trascinandoci in paesi lontani, territori di immensa bellezza ma anche di profonde ingiustizie, dal Brasile al Ruanda, dall’India all’Antartide, ricostruendone il percorso dalla nascita dell’Instituto Terra ai reportage di Genesi, dall’agenzia Magnum Photos fino ad Amazonas Images.
Brasile, 2005 - © Sebastião Salgado/Amazonas Images
Scrive nella prefazione Isabelle Francq, «guardare una foto di Sebastião Salgado non vuol dire solo fare l’incontro dell’altro, ma anche incontrare se stessi. Vuol dire fare esperienza della dignità umana, capire ciò che significa essere una donna, un uomo, un bambino. Probabilmente Sebastião nutre un amore profondo verso le persone che fotografa. Altrimenti come potremmo sentirle così presenti, vive e fiduciose? Come potremmo provare quel sentimento di fraternità? È da molto tempo che il suo lavoro mi colpisce. Mi piacciono le sue immagini classiche, le luci sempre straordinarie delle sue foto, la forza che trasmettono e al tempo stesso la tenerezza che infondono e che si raccorda alla parte migliore di me. I casi della vita mi hanno dato l’opportunità di incontrare Sebastião e sua moglie Lélia. Questo duo mi affascina perché, dietro il successo internazionale di Sebastião, c’è una coppia rara. Una storia d’amore e di lavoro in cui ciascuno svolge il proprio ruolo, ciascuno ha il proprio posto e sa tutto quello che deve all’altro. Insieme, hanno costruito una famiglia, hanno fondato la loro agenzia, Amazonas Images, hanno creato Instituto Terra, un progetto ambientale per ripristinare la foresta della fascia atlantica brasiliana, cui sono destinati gran parte degli introiti provenienti dal lavoro e dalla vendita delle stampe delle collezioni.
Fazenda Bulcão, 2013 - © Sebastião Salgado
Anche se le immagini di Sebastião hanno fatto il giro del mondo, mi sono resa conto che la sua storia personale e le radici politiche, etiche ed esistenziali del suo impegno fotografico erano sconosciute. Ho voluto allora porre rimedio a questa mancanza, facendo sentire la voce di Sebastião attraverso la mia penna di giornalista. Lui ha avuto la cortesia di accettare, poco prima della presentazione del suo progetto Genesi - una serie di reportage dedicati ai luoghi incontaminati del pianeta. E si è reso disponibile fra un aereo e l’altro, fra un reportage e l’altro, nonostante la preparazione di due libri e le inaugurazioni della mostra ai quattro angoli del mondo. Con una gentilezza e una semplicità disarmanti, ha ricostruito davanti a me il suo percorso, ha esposto le sue convinzioni, mi ha fatto partecipe delle sue emozioni. Da parte mia, ho provato un immenso piacere ad ascoltarlo e ora vorrei condividere con i lettori la sua maestria di narratore e l’autenticità di un uomo che sa coniugare militanza e professionismo, talento e generosità».
Dalla mia terra alla terra di Sebastião Salgado - Isabelle Francq, 2014, Contrasto Due
Di seguito, riportiamo le conclusioni di Salgado, poste alla fine del libro: «Ho terminato la realizzazione dei reportage di Genesi a quasi settant’anni. Mi hanno sfinito fisicamente. Ho affrontato climi molto duri, dai più freddi ai più caldi, e poi, soprattutto, ho percorso a piedi distanze enormi. In città, abbiamo l’abitudine di camminare su superfici piane, mentre quando si è nella foresta con gli indios, si cammina su terreni instabili, si scavalcano tronchi d’albero. A volte, ve ne sono di talmente grandi che per passare, bisogna sedercisi sopra e scivolare rotolando dall’altra parte. Si cade molto spesso. Gli indios, invece, non cadono mai. Il primo giorno in cui si cammina nella foresta, si è stremati: si sente che si sono attivati muscoli che non lavoravano più da quando si era bambini. Certi muscoli, poi, non sapevo nemmeno di averli. Riassumendo, direi che se per la mente è uno stato di grazia, per il corpo è un castigo. Dopo otto anni, ero stanco sì, ma interiormente rigenerato. Per In cammino, avevo affrontato quanto vi è di più duro e violento nella nostra specie e non credevo più nella possibile salvezza del genere umano. Realizzando Genesi ho cambiato idea.
Shamans, Xingu, 2005 - © Sebastião Salgado
Per prima cosa, ho incontrato il pianeta. Avevo già girato il mondo, ma questa volta ho sentito che ci stavo entrando dentro. Ho contemplato la nostra terra dalle cime più alte agli abissi più profondi: sono stato ovunque. Ho scoperto la parte minerale, vegetale e animale e poi, ho potuto vedere noi esseri umani come eravamo all’inizio dell’umanità. Una contemplazione molto confortante, perché l’umanità delle origini è molto forte, particolarmente ricca di qualcosa che poi abbiamo perso diventando urbani: il nostro istinto. È proprio il nostro istinto che permette di sentire e prevedere molte cose, un cambiamento di temperatura o altri fenomeni climatici attraverso l’osservazione del comportamento animale. In realtà oggi, stiamo abbandonando il nostro pianeta; perché la città è un altro pianeta. Ho visto ciò che eravamo prima di lanciarci nella violenza della città, dove il nostro diritto allo spazio, all’aria, al cielo e alla natura si è perso fra i muri delle case. Abbiamo eretto barriere che ci separano dalla natura. Di colpo, non siamo più in grado di vedere, di sentire… Di osservare un uccello dal vetro della finestra e immaginare che sia l’innamorato di un altro uccello con cui fa l’amore, che ami i suoi piccoli, che si sia costruito il nido su quell’albero, che la sua vita dipenda dal vento. Non sappiamo più che ha un apparato fatto di pelle e piume in grado di proteggerlo dai raggi del sole, dalla pioggia e dalla neve. Non vediamo più, non sappiamo più queste cose.
Gold Serra Pelada, Brazil, 1986 - © Sebastião Salgado/Amazonas
Frequentando i popoli che vivono come noi abbiamo vissuto, ho riscoperto questo genere di meraviglie. E alla fine mi sono sentito molto arricchito. Se nel mio libro La mano dell’uomo ero fiero di mostrare che noi umani siamo un tipo di animale molto abile a produrre, ho visto anche che con il nostro modo di vivere abbiamo fatto di tutto per distruggere ciò che garantisce la sopravvivenza della nostra specie. Non credo esista un grande creatore che ha ordinato la natura e l’intero universo vivente. Credo molto di più all’evoluzione e mi sento un discepolo di Darwin. Credo ci siano delle leggi e che le cose si costituiscano attraverso la dialettica, l’accumulo dell’esperienza e la maturazione. Tuttavia i processi di maturazione non evolvono tutti in senso positivo. Non siamo ancora capaci di spiegare il primo istante dell’inizio, ma possiamo già spiegare scientificamente il seguito. Genesi mi ha dato l’opportunità di misurare l’età del mio pianeta. Nel Sahara ho visto pietre tagliate 16.000 anni fa, in Venezuela montagne che hanno 6 miliardi di anni. Ci si rende conto che la vita possiede un’altra dimensione. In fondo, non è che un breve passaggio.
Penisola di Yamal, Siberia, 2011 - © Sebastião Salgado/Amazonas Images
Genesi mi ha fatto prendere coscienza che a forza di allontanarci dalla natura per via dell’urbanizzazione, siamo diventati animali molto complicati e che diventando estranei al pianeta, diventiamo estranei a noi stessi. Ma non si tratta di un problema irrisolvibile; il rimedio passa attraverso l’informazione e sono felice di aver potuto dare il mio contributo. Mi piacerebbe far capire che la soluzione al pericolo corso dagli uomini e da ogni specie del pianeta non consiste nel tornare indietro, ma nel tornare alla natura. Del resto è quello che con Lélia facciamo in Brasile, ripiantando la foresta. Solo gli alberi sono capaci di assimilare tutta l’anidride carbonica che produciamo. L’albero è l’unica macchina che trasforma l’anidride carbonica in ossigeno. Quindi, la foresta assimila e trasforma il nostro inquinamento in legno: è straordinario. Tanto più che quando si pianta una foresta, la maggior parte dell’anidride carbonica viene assorbita nei primi vent’anni, quando gli alberi stanno crescendo.
Galápagos, Ecuador, 2004 - © Sebastião Salgado/Amazonas
Con Lélia e nostri amici di Instituto Terra, abbiamo piantato 2 milioni di alberi. Abbiamo calcolato che, attualmente, siamo riusciti a catturare 97.000 tonnellate di carbone. Ma ciascuno può fare qualcosa, secondo le proprie possibilità. Basta sentirsi coinvolti. Lélia e io non siamo ricchi. Ci siamo rifugiati in Francia, abbiamo lavorato. La fortuna a volte ci ha aiutato e oggi siamo fieri di poter ripiantare questa foresta grazie al frutto del nostro lavoro e a coloro che ci hanno sostenuto. Ma soprattutto, grazie alla nostra energia, che proviene da una certezza: tornare al pianeta è l’unico modo per vivere meglio. Il mondo moderno, urbanizzato, è castrante, con tutte le sue regole e le sue leggi. Soltanto nella natura ritroviamo un po’ di libertà. Ecco che cosa abbiamo voluto mostrare con Genesi, i nostri libri e una serie di mostre presentate in tutto il mondo.
Penisola Antartica, 2005 - © Sebastião Salgado/Amazonas
È strano il modo in cui siamo arrivati a occuparci di ambiente. A volte mi chiedo per quale caso fortuito e mi rispondo che è stato il momento che vivevamo. Esattamente come in precedenza era stato il momento giusto per occuparci delle trasformazioni industriali e poi delle migrazioni. Per Lélia come per me, sarà sempre fondamentale condurre una vita che sia partecipe della propria epoca. Sarà sempre fondamentale restare attivi. Se ci chiediamo come siamo arrivati fin qui, guardando indietro ci rendiamo conto che è stata semplicemente la nostra vita a condurci dove siamo. La mia fotografia non è una forma di militanza, non è una professione. È la mia vita. Adoro la fotografia, adoro fotografare, tenere in mano la fotocamera, giocare con le inquadrature e con la luce. Adoro vivere con la gente, osservare le comunità e ora anche gli animali, gli alberi, le pietre. Per me la fotografia è tutto questo e non posso dire che siano decisioni razionali quelle che mi portano in giro a vedere il mondo. È un’esigenza che proviene dal profondo di me stesso. È il desiderio di fotografare che mi spinge di continuo a ripartire. Ad andare a vedere altrove. A realizzare sempre e comunque nuove immagini».
Genesi, 2013 Taschen Editore
Sebastião Salgado a Che tempo che fa, 01 febbraio 2014
Chi è
Sebastião Ribeiro Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, in Brasile. A 16 anni si trasferisce nella vicina Vitoria, dove finisce le scuole superiori e intraprende gli studi universitari. Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick. Dopo ulteriori studi a San Paolo, i due si trasferiscono prima a Parigi e quindi a Londra, dove Sebastião lavora come economista per l’Organizzazione Internazionale per il Caffè. Nel 1973 torna insieme alla moglie a Parigi per intraprendere la carriera di fotografo. Lavorando prima come freelance e poi per le agenzie fotografiche Sygma, Gamma e Magnum, per creare poi insieme a Lèlia la agenzia Amzonas Images, Sebastião viaggia molto, occupandosi prima degli indios e dei contadini dell’America Latina, quindi della carestia in Africa verso la metà degli anni Ottanta. Queste immagini confluiscono nei suoi primi libri. Tra il 1986 e il 2001 si dedica principalmente a due progetti. Prima documenta la fine della manodopera industriale su larga scala nel libro La mano dell’uomo, (Contrasto, 1994) e nelle mostre che ne accompagnano l’uscita (presentata in 7 diverse città italiane). Quindi documenta l’umanità in movimento, non solo profughi e rifugiati, ma anche i migranti verso le immense megalopoli del Terzo mondo, in due libri di grande successo: In cammino e Ritratti di bambini in cammino. (Contrasto, 2000). Grandi mostre itineranti (a Roma alle Scuderie del Quirinale e poi a Milano all’Arengario di Palazzo Reale) accompagnano anche in questo caso l’uscita dei libri. Lélia e Sebastião hanno creato nello stato di Minas Gerais in Brasile l’Instituto Terra che ha riconvertito alla foresta equatoriale - che era a rischio di sparizione - una larga area in cui sino stati piantati decine di migliaia di nuovi alberi e in cui la vita della natura è tornata a fluire. L’Instituto Terra è una delle più efficaci realizzazioni pratiche al mondo di rinnovamento del territorio naturale ed è diventata un centro molto importante per la vita culturale della città di Aimorès. Genesi inizia come progetto nel 2003 e dopo nove anni di lavoro viene ora presentato in tutto il mondo.
Lélia Deluiz Wanick Salgado e Sebastião Salgado - © Ricardo Beliel