© Henri Cartier-Bresson/Magnum
Photos/Contrasto,
Eunuco della corte imperiale
dell'ultima dinastia, Pechino, 1949
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Se ce n'è uno, per molti, è lui. Di maestro, qualcuno che - attraverso le sue opere - indica una maniera di essere, un modo mirabile di esprimersi, di cui tener conto, con cui confrontarsi. Come ha scritto Beaumont Newhall, storico della fotografia, «è più di mezzo secolo che sono abbagliato dalla fotografia di Henri Cartier-Bresson. Quasi ogni sua foto che conosco è un'esperienza visiva. Attraverso il suo obiettivo, riesce a cogliere la frazione di secondo in cui il soggetto è rivelato nel suo aspetto più significante e nella sua forma più evocatrice».
Una mostra (a Roma, Palazzo Incontro, fino al 6 maggio) e un volume omonimo (Contrasto, 144 pp., 50 fotografie, 28 euro) forniscono un'ulteriore - preziosa - occasione per accostarsi al mondo in bianco e nero di Cartier-Bresson. Immagini e parole è il titolo: 44 fotografie accompagnate dal commento di intellettuali, scrittori, critici, fotografi, amici. Una selezione aggiornata con nuovi contributi rispetto al progetto nato qualche anno fa, quando un gruppo di amici festeggiò il compleanno di Cartier-Bresson chiedendo ad addetti ai lavori e non di scegliere e commentare la propria immagine preferita tra le tante scattate da Cartier-Bresson. Ne è nata una scelta di foto che è anche una panoramica sintetica dell'opera. Un'occasione unica per contemplare e comprendere Cartier-Bresson, la sua poetica legata agli "attimi decisivi" che riusciva a cogliere con la sua macchina fotografica quando, come affermava, si riesce a «mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l'occhio». Un'occasione, grazie ai commenti - tra gli altri di Gae Aulenti, Bruce Davidson, Ferdinando Scianna, Milan Kundera, Jean Baudrillard, Ernst Gombrich, Leonardo Sciascia, Alessandro Baricco, Antonio Tabucchi - per approfondire il potere comunicativo, le peculiarità stilistiche, il ruolo della fotografia. Ricordando che, per lui, «una sola cosa conta: l'istante e l'eternità, l'eternità che, come la linea dell'orizzonte, non smette di arretrare».
© Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos/Contrasto,
Ile de la Cité, Parigi, 1952.
Tra gli scritti presenti in mostra e nel volume riportiamo le parole di Jean Clair davanti all'immagine delle quattro donne in preghiera davanti alla vallata di Srinagar, nel Kashmir indiano del 1948: «L'occhio del fotografo ha distinto, nella flagranza del mondo e nella lontananza della geografia, un'assemblea che ci parlava, qui da sempre». Oppure quelle di Mario Giacomelli, davanti a un paesaggio della Castiglia che avrebbe potuto scattare lui: «È una delle immagini della natura che più mi ha scioccato alla sua apparizione, solo l'animo di un grande sensibile può trovare cose così grandi, coprirle come una leggera seta grigia, perché nessuno di questi figli della natura non abbiano a perdersi, perché ogni piccolo albero come piccola pecorella, pascoli fra questi segni, macchie, che in lontananza completano la grazia che Henri Cartier Bresson ha voluto donarci. Grazie grande maestro». O ancora le parole di Avigdor Arikha davanti all'immagine di una Pechino durante gli ultimi giorni del Kuomintang nel 1949: «Si direbbe che possieda un compasso nell'occhio. In effetti, ogni immagine fotografata da H.C-B. è rigorosamente definita nelle sue proporzioni, nella dinamica e nelle divisioni di neri e bianchi. I soggetti si offrono a lui miracolosamente, come a comando. Vengono formulati in anticipo. Il fatto è che, come un'aquila, il suo occhio - occhio di pittore - è particolarmente vigile. In un soggetto qualsiasi, riesce a vedere di cosa questo soggetto sia fatto e, in questo modo, nessun soggetto è uguale all'altro».
© Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos/Contrasto,
L'Isle-sur-la-Sorgue, Francia, settembre 1988.
Cartier-Bresson, come è noto, fu tra i fondatori dell'agenzia Magnum nel 1947. Di un foglio di provini scriveva che è «un po' come il taccuino di uno psicoanalista, quasi come un sismografo che registra il momento. Tutto rimane scritto – tutto ciò che ci ha sorpreso, quel che abbiamo catturato in volo, quel che ci siamo persi, quel che è scomparso o un evento che si sviluppa fino a diventare un'immagine che è puro giubilo… Estrarre una buona fotografia da un foglio di provini è come scendere in cantina e prendere una buona bottiglia da condividere». Un grande libro, come formato, valore e prezzo (sempre edito da Contrasto, 508 pp., 435 foto b/n e a colori, 98 euro), svela e ripercorre, attraverso i fotografi di Magnum (dallo stesso Cartier-Bresson a Robert Capa, da Elliott Erwitt a René Burri fino ai più giovani), il processo di selezione della foto migliore.
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Thomas Hoepker, 11 settembre 2001, New York, USA, settembre 2001 © Magnum Photos |
Di seguito riportiamo la parte iniziale dell'introduzione: «Questo volume, attraverso l'opera dei fotografi di Magnum, ripercorre la storia di un metodo di lavoro tanto diffuso da sembrare un passaggio inevitabile e fondamentale del processo fotografico: l'utilizzo del foglio di provini a contatto come prova del proprio operato, come strumento per la selezione e come indice dell'archivio di negativi. I provini a contatto – stampe a grandezza naturale di spezzoni di un rullo o di una sequenza di negativi – rappresentano il primo sguardo che il fotografo posa su ciò che è riuscito a catturare su pellicola, e forniscono una visione unica e intima del suo metodo di lavoro. La serie dei fogli di contatti prende nota di ogni passo lungo la strada che porta all'immagine finale, dandoci l'impressione di essere lì, fianco a fianco con il fotografo e di vedere con i suoi occhi. Diversi secondo i differenti stili degli autori, i provini a contatto documentano la costruzione di una fotografia. Una determinata immagine è frutto di uno scatto calcolato oppure di un momento di fortuna? Il fotografo ha notato immediatamente il potenziale della scena che aveva di fronte e ci ha lavorato per realizzare un'immagine soddisfacente, oppure il fantomatico "istante decisivo" ha fatto la sua parte?
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René Burri, Ernesto "Che" Guevara, L'Avana, Cuba, gennaio 1963 © Magnum Photos |
I provini a contatto, oggi un oggetto reso obsoleto dall'avvento del digitale, restano uno degli aspetti più affascinanti della fotografia stessa, un'incarnazione del senso del tempo che si sviluppa, una traccia durevole del movimento attraverso lo spazio, l'autenticazione visibile della fotografia come rappresentazione fedele della realtà. Organizzato secondo un ordine cronologico, questo libro include tutti i formati di pellicola in bianco e nero e a colori, dal 35 mm, che nel ventesimo secolo era alla base della pratica fotogiornalistica, alle panoramiche fino al grande formato. L'intento è di trasmettere al lettore la sensazione di quel momento in cui il fotografo vede il proprio lavoro per la prima volta e di far comprendere come avviene il processo di selezione.
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Trent Parke, La settima onda, Sydney, Australia, gennaio 2000 © Magnum Photos |
Esistono programmi che, al computer, simulano il foglio di provini a contatto da immagini digitali, ma si tratta di entità profondamente diverse, pallide traduzioni di ciò che il fotografo ha visto piuttosto che un tracciato della sua reale esperienza. Ecco perché abbiamo scelto di escludere il lavoro in digitale da questo volume e il libro vuole essere, per usare le parole di Martin Parr, un "epitaffio dei provini a contatto". Le foto qui raccolte, grandi icone della fotografia e altre sorprese meno conosciute, raccontano più di settant'anni di storia e sono una prova del ruolo chiave che il fotogiornalismo ha giocato nel documentare eventi storici del nostro tempo, come la guerra, i bombardamenti nella Seconda guerra mondiale, il momento di rinascita e contestazione politica e culturale degli anni '60, le guerre nei Balcani. Lungo il corso della storia, si intrecciano le foto originali e sperimentali che mostrano la varietà del lavoro prodotto all'interno della comunità dei fotografi di Magnum».
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