Stato d'Italia è un viaggio lungo tre anni attraverso il nostro Paese, alla ricerca di storie, cronache e volti della crisi economica e sociale che stiamo vivendo: dagli sbarchi di Lampedusa alla vita nei palazzi della politica romana, passando per Rosarno e la rivolta dei braccianti africani, fino ai ragazzi di Taranto che vogliono rimanere lontani dai fumi delle acciaierie Ilva. Un progetto di Laura Eduati, Emiliano Mancuso e Andrea Milluzzi, a cura di Renata Ferri: tre anni di reportage sullʼItalia di oggi raccontati da un affiatato gruppo di giornalisti, che con parole e immagini ci raccontano un viaggio nelle vite e nelle storie del presente, con occhio giornalistico e poetico. Dal 28 marzo all’8 maggio la Galleria Fotografica Fnac di Milano ospita la mostra delle fotografie di Emiliano Mancuso che ripercorrono alcuni dei più importanti fatti di cronaca della recente storia italiana. Ad accompagnare la mostra il libro Stato d'Italia edito da Postcart, con le foto di Mancuso e i testi oltre che di Eduati e Milluzzi, di Angela Mauro e Davide Varì.
Roma, 2009, Via dei Fori Imperiali, un busto trasfigurato dai vandali.
© Emiliano Mancuso
Nella prefazione del libro, Lucia Annunziata scrive che «al di là della retorica e delle tante tentazioni di autocelebrazioni, il mestiere è alla fine solo quello di fare una domanda e trovarne la risposta. Operazione semplice da enunciare e quasi impossibile da portare a termine. Le domande giuste sono poche – e nascono dalla capacità di conoscere molto bene un fatto o una storia o una persona. Per il resto, quello che va sotto il nome di giornalismo è il più delle volte solo chiacchiera: montata con abilità, abbellita dalle coloratissime bolle di tanti aggettivi e tanti giudizi, ma alla fine comunque senza nessuna consistenza. Non è una tentazione di oggi – “Scoop” di Evelyn Waugh, il più realistico libro scritto sul giornalismo, è datato 1938. La natura di questo lavoro infatti spesso appare forte soprattutto nella sua capacità di sedurre e farsi sedurre attraverso la reinvenzione della realtà. Uso non a caso il termine “reinventare” e non “falsificare”. Il falso è operazione più chiara, e dunque anche meno insinuante, e colpevole. Quando si scrive (o si dice) qualcosa che non è vero lo si fa consapevolmente; il falso per altro è smascherabile ed è anche un reato, dunque punibile per legge. La reinvenzione invece è difficile da identificare (e dunque da respingere) perché spesso si presenta nelle vesti del giusto: la convinzione di dover raccontare quello che ci pare sia la realtà o quella che dovrebbe essere o anche solo quella che vorremo che sia.
Lampedusa, Agrigento. Un gruppo di migranti attende di essere trasferito
con un ponte aereo in un centro di accoglienza sulla terraferma.
© Emiliano Mancuso
La tentazione è lì, mascherata da un senso di giustizia, dalla convinzione che il modo come noi vediamo le cose sia alla fine parte essenziale del nostro dovere – nello stesso posto troviamo infatti poi la tentazione di diventare non il mezzo ma il costruttore della realtà. La conclusione di questo percorso è quello che oggi domina il panorama del nostro lavoro – un giornalismo arma di guerra fra opposte fazioni, e giornalisti diventati protagonisti/star. Il giornalismo è invece un mestiere di artigiani – è l’abilità di raccogliere e distinguere, e presentare gli elementi raccolti per i nomi che hanno, non per quelli che vorremmo avessero. Il giornalismo è ordine, è elenchi, è ricerca, senza sapere dove questa ci porta. In questo senso la sua metafora e il suo strumento sono davvero il viaggio – fuori e dentro di noi, nella certezza che non si vede nulla se non si impara a guardare. Da questa convinzione nasce la mia breve raccomandazione per questo libro e per i giornalisti che lo hanno messo insieme. Nelle loro pagine c’è qualcosa di raro nel nostro universo oggi: c’è un viaggio, ci sono occhi che guardano davvero e c’è il silenzio profondo attraverso cui sono presentate, come una meditazione, le parole e le immagini. Un silenzio che traccia un sentiero nella devastante rissa in cui il giornalismo italiano ci immerge ogni giorno. Non è un caso forse che il libro nasca da un gruppo che ha lavorato per passione, senza soldi e senza padroni. Ma quello dei padroni – che è poi il tassello rilevante di ogni discorso sulla verità della informazione - è un discorso lungo, che faremo un’altra volta».
Padova. Tv locale La9, 'Notturno erotico', la trasmisisone va in onda
dopo l'una di notte. © Emiliano Mancuso
Nella postfazione del volume, la curatrice Renata Ferri scrive: «Cosa voglio raccontare? Questo si chiede sempre un fotografo quando affronta un nuovo progetto. C’è un tempo perfetto per la fotografia documentaria, è quello del cambiamento: tensioni, stati di crisi, guerre, rivolte, migrazioni, diaspore, emergenze ambientali e umanitarie. I fotografi, li conosco bene, sono aperti, curiosi, guardano sempre molto lontano. Il mondo è sempre a portata di mano, non ci sono confini e ostacoli al desiderio di andare a vedere; solo la censura e la violenza, figlie dei regimi totalitari creati dagli uomini, possono impedire loro il movimento della curiosità. Ho conosciuto Emiliano Mancuso come studente appassionato, poi l’ho visto crescere e diventare un fotografo della buona razza, quella dei viaggiatori. Ho seguito la sua lunga esperienza in Amazzonia e poi il bel lavoro ‘Terre di Sud’ (Postcart, 2008). È tornato a trovarmi per affrontare un nuovo progetto. Cercava una terra da esplorare, un luogo di cui ci si era dimenticati, un corpo ferito di cui parlare. Abbiamo fatto tre o quattro volte il giro del mondo. Quell’anno ci sarebbero state le Olimpiadi di Pechino e in America sarebbe stato eletto il primo Presidente di colore della storia, il Kosovo si proclamava Repubblica indipendente dalla Serbia, in Kenya gli scontri tra governo e opposizione incendiavano il Paese causando morti e migliaia di sfollati e nel Pakistan senza pace Benazir Bhutto veniva uccisa in un attentato in mezzo alla folla.
Roma. 14 dicembre 2010, Montecitorio. Il premier Silvio Berlusconi prima
del voto di fiducia. © Emiliano Mancuso
Tutto accadeva sotto i nostri occhi e dovevamo solo scegliere cosa e dove andare a vedere. Eppure più lo studiavamo e cercavamo di comprenderlo e più avevo la sensazione che i grandi eventi internazionali ci stessero allontanando da qualcosa. Il nostro Paese stava scivolando in un’altra grande crisi politica, economica, sociale e culturale che ci avrebbe ancora una volta messo di fronte alle nostre scelte, alle domande sul futuro, alla voglia di fuggire o restare e rimboccarci le maniche. Nel 2008 Prodi era stato mandato a casa per cinque voti. Fini e Berlusconi avevano inventato il Popolo delle Libertà (mai nome fu più azzeccato per legittimare l’assoluta licenza di fare e disfare con spregio delle regole e, ancor peggio, della legge). L’emergenza rifiuti in Campania assumeva la forma di una vera e propria rivolta. Le piazze studentesche, dopo anni, si risvegliavano contro la riforma Gelmini. C’era un’aria pesante. Non dobbiamo andare lontano. È tempo di stare qui, di guardare e di capire. E la fotografia può aiutare. Strumento narrativo efficace, sa come farlo: immediata, personale, coinvolta e partecipe. Pone domande, induce al dubbio. Registra i cambiamenti. Punta al cuore, lo sappiamo. Emiliano parla la sua lingua, quella della fotografia documentaria che ama e che segue. Usa il bianco e nero che rafforza la difficoltà di questo tempo. Filtra e sceglie, così come fanno gli autori dei testi. Un lavoro corale che abbiamo svolto diligentemente, un compito necessario, guardando la realtà e scegliendone dei frammenti, selezionando storie che hanno naturalmente dato vita a capitoli del nostro presente.
Treviso. Paesaggio della provincia veneta. © Emiliano Mancuso
Ci siamo trovati con tre anni di lavoro in mano, ridurli in un libro ci ha portato notti insonni e discussioni su come e cosa rappresentare. Scremando abbiamo abbandonato singole immagini. Scelte necessarie e dolorose rinunce. Il risultato è un viaggio nell’Italia di oggi che sembra tanto quella di ieri. Una fotografia capace di commuovere e di comprendere, quella che autenticamente cerca di raccontare il mondo, scevra dai vizi commerciali, lontana dalle sirene del mondo dell’arte, si potrebbe definirla impegnata ed è ancora un aggettivo che mi piace usare. Questo lungo viaggio non rinuncia mai allo sguardo sulla condizione umana, sul lato vulnerabile degli individui. È questa l’unica sincerità possibile. Il capitolo Montecitorio mette in scena la rappresentazione del teatro della politica e dei suoi attori. Maschere del nostro presente, protagonisti tanto discussi e tanto lontani dal Paese reale. Selezionando le immagini, sorridiamo pieni di amarezza per esserci consegnati così a lungo a questi potenti in balia di loro stessi e dei loro scandali. I paesaggi struggenti e violati aprono alla visione del territorio, alternano le storie di disagio e di umana difficoltà. Tutto il volume scorre come un movimento circolare nel tempo presente, denso di citazioni e di riferimenti alla fotografia neorealista italiana. C’è davvero un Paese che va a due velocità: un’Italia antica con facce di ieri e problemi irrisolti e una che guarda altrove e cerca di assomigliare a quello che non è. Le storie dei senzacasa, dei disoccupati, degli immigrati, sono frutto di quell’ “occhio testimone” di cui abbiamo bisogno per la nostra coscienza e la nostra memoria. La memoria, quella che la fotografia sa conservare così bene e che così romanticamente ci congiunge con la storia passata, recente o remota che sia: di questa, ora più che mai, abbiamo bisogno. Questo libro è un tentativo di comprendere chi siamo stati, ma soprattutto chi saremo.
Maierato, Reggio Calabria. Strada interrotta a causa delle frana
del febbraio 2010. © Emiliano Mancuso
Siamo in trasformazione: ricominciamo a dire o a urlare ciò che non ci va più bene. Sovvertiamo previsioni e ordini: il capitolo finale sulla ‘sorpresa’ delle elezioni amministrative di Milano registra il cambiamento e lascia il volume aperto. Un libro di contrasti: come potrebbe essere altrimenti? Questo Paese è diviso, non solo politicamente ma culturalmente, affannato in cerca di un’identità che non lo veda frantumato con anime contrapposte. Le storie che abbiamo scelto si sono svolte tutte in un presente lungo tre anni. Le conseguenze di ogni singola problematica sono ancora presenti e temo lo saranno a lungo. Ho vissuto molte vite seguendo questo lavoro. Più di quante potessi immaginare. Ogni evento, anche piccolo, mi sembrava fosse necessario. Ho guardato al presente come se fosse già pagina di un libro immaginario. Tutta l’attualità del Paese è passata attraverso i miei occhi come un lungo film e alla fine, quando mi sono messa a comporre questo affresco, ho visto cose nuove. Ne ho preso coscienza solo guardandole dopo. Mi hanno commosso quelle piccole storie. Ho cercato un nesso tra capitoli e luoghi, volti e notizie, seguendo un filo invisibile e soggettivo. Non sta a me dire se questo è riuscito. Sono certa che mancano molte cose, fatti, testimonianze, persone. Sono convinta che la scelta è stata chirurgica ma sono anche consapevole che niente può dire tutto. Qui e ora. Con urgenza e passione, con le immagini che parlano e dunque senza aggiungere altro».
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