Immagini scattate girando tra le città sante delle religioni monoteistiche, per provare a raccontare la dimensione collettiva della religiosità nell'epoca globale e mediatizzata attraverso elaborati giochi di riflessi creati prima dello scatto fotografico. “All'infuori di me. La folla e l'esperienza religiosa” è il percorso di ricerca di Andrea Pacanowski esposto al Museo di Roma in Trastevere fino al 22 aprile. Una selezione di di 40 fotografie curata da Diego Mormorio, critico e storico della fotografia, che qui di seguito presenta il lavoro di Pacanowski e spiega il meccanismo del complesso lavoro di realizzazione delle sue immagini.
All'infuori di me, Roma, 2011
© Andrea Pacanowski
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All'infuori di me, Gerusalemme, 2011
© Andrea Pacanowski
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«Fotografo per educazione e pittore per vocazione, Andrea Pacanowski conduce la luce per vie traverse, usando tele, colori e molti accorgimenti, al fine di creare fotografie che vanno al di là dell'ordinarietà della fotografia. Per essere, invece, scatti poggiati su pitture che sono reti dove vengono intrappolate le immagini al loro passaggio attraverso l'otturatore della macchina fotografica. Egli è pittore in quanto fotografo e fotografo in quanto pittore: autore di immagini che non sono né fotografie né pitture, ma metapitture fotografiche e fotografie metapittoriche. La sua arte vive di superfici riflettenti diverse da quelle che già dall'Ottocento hanno popolato la fotografia e che hanno avuto straordinaria presenza nell'arte sperimentale e d'avanguardia dei primi decenni del Novecento. Non hanno freddezza o durezza. Risultano anzi morbide, vellutate, tanto che la mano sente il desiderio di accarezzarle. Sono quadri costruiti in un modo del tutto particolare. E la loro costruzione già origina la forma del soggetto che vi si rispecchierà. Le immagini di Andrea Pacanowski sono il segno di un'idea poetica dell'esistenza, trasfigurata dal gesto creativo, che ha la forza di portare al di là dello specchio, dove Alice attende di essere raggiunta. Sono immagini che vivono nell'incanto originato dalla trasformazione che le cose subiscono lungo la via del rispecchiamento che, come tutte le vie è, in realtà, sempre e fondamentalmente cammino della trasfigurazione. Il mondo, infatti, è momentaneità fisica osservata da un occhio esso stesso momentaneo, il quale, nella volontà di chi veramente vuole percepire la realtà, aspira a vedere allo stesso tempo l'eternità e l'attimo.
All'infuori di me, Fes, 2011 © Andrea Pacanowski
Sempre e inesorabilmente, l'eternità si presenta al mondo sotto la forma dell'attimo – e a ogni attimo si fa diversa e sostanzialmente immutabile. Ragione per cui ogni immagine fotografica è un calarsi nell'eterno, restando però sempre dentro la precarietà della vita. Un dialogo. Così come è fondamentalmente un dialogo il lavoro che viene presentato qui da Andrea Pacanowski, col felicissimo titolo di All'infuori di me. Perché, in fondo, cosa sono il mondo e la vita se non un dialogo tra noi e gli altri, tra il fuori e il dentro, o meglio, tra l'esterno e il profondo? L'infuori di me è quello che istante dopo istante, nella vita di tutti i giorni, si fa esperienza e, dunque, coscienza: possibilità di confronto. Le fotografie di Pacanowski che il pubblico si trova di fronte a un primo frettoloso sguardo potrebbero sembrare ottenute per via digitale o, come si usa dire, in post-produzione. In realtà, esse sono state eseguite in analogico, con l'uso cioè della “vecchia” pellicola. Il fotografo non riprende direttamente i soggetti, ma le immagini che si riflettono sulla superfici che ha preparato precedentemente. Queste superfici possono essere di tela, di legno, di vetro o altro. Trattate con vernici, gesso, silicone o altre materie, vengono successivamente graffiate e, nel caso dell'uso del vetro, il prodotto si ottiene giocando sul rapporto tra parte dipinta e quella lasciata trasparente.
All'infuori di me, Fes, 2011 © Andrea Pacanowski
Si tratta di pitture che possiamo ricondurre all'espressionismo astratto e che meriterebbero di essere esposte – con pieno significato – per loro conto. Il negativo ottenuto per questa via può essere stampato su diversi tipi di supporti e, in alcuni casi, su una superficie sulla quale Pacanowski ha operato un ulteriore intervento pittorico. Si tratta, dunque, di un lungo e complesso lavoro di realizzazione. «Non mi è mai piaciuta la via breve», dice infatti Pacanowski, quasi alludendo a metafore alpinistiche. Ed è una frase fondamentale per capire il suo lavoro fatto di instancabilità e di volontà creativa. Pacanowski è affascinato da questo incontro tra la pittura astratta e la precisione fotografica, che origina forme riconoscibili e al tempo stesso indefinite. Una sorta di evanescenza che fa pensare al mito di Narciso – alla bellezza riflessa sull'acqua. Una bellezza che proprio nell'evanescenza si fa più toccante e desiderabile (Evanescente. Così doveva essere il ritratto fotografico della madre che Baudelaire, senza risultato, desiderò di avere). Il fruitore delle immagini di Pacanowski si trova costretto a fare i conti con questa fusione tra precisione e indeterminatezza già al primo sguardo. Viste da vicino, le stampe di grande formato di questo autore rivelano infatti solo astratte macchie di colore. Mentre si definiscono nella lontananza. In essa emerge la trama. Seppur evanescenti, si presentano come figure riconoscibili.
All'infuori di me, Roma, 2011
© Andrea Pacanowski
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All'infuori di me, Roma, 2011
© Andrea Pacanowski
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Pacanowski ha cominciato il suo percorso creativo giovanissimo, come assistente di Alberta Tiburzi, che prima di diventare fotografa era stata una famosa modella. Pacanowski lo riconosce pubblicamente: è stata lei a trasmettergli, diciottenne, il piacere di usare la luce.
Ma ancora più a monte, la sua formazione ha risentito profondamente dell'insegnamento del padre Davide, famoso architetto polacco di famiglia ebraica, la cui madre era scultrice e le cui sorelle erano una pittrice e l'altra musicista. È stato nella vivace atmosfera culturale della sua famiglia che Andrea Pacanowski ha trovato le sollecitazioni per divenire un apprezzatissimo fotografo di moda. Per anni egli ha vissuto il suo mestiere con molto profitto e soddisfazioni, riuscendo ad esprimere in esso la propria forza creativa. Lentamente, però, ha cominciato ad avvertire che questa forza non poteva trovare più applicazione nella moda. Troppe cose la frenavano. Avvenne così che quel mondo che inizialmente lo aveva attratto cominciò a risultargli stretto. Il suo nuovo cammino creativo si è definito lentamente, dentro una vera e propria crisi esistenziale. La risalita è cominciata con un autoritratto. Era il suo riflesso su una parete di casa: «È stata – dice Pacanowski – quasi una visione». Sei mesi dopo ha iniziato a sentirsi dentro una nuova leggerezza, autore di alcune delle sue più riuscite immagini, dove l'elemento compositivo – che è l'architettura della fotografia – è fondamentale. Nelle sue composizioni, Andrea Pacanowski cerca infatti di evitare ogni casualità, puntando all'ordine e al rigore con precisa determinazione. Come gli antichi Greci, vede in essi la misura dell'opera d'arte. Egli applica questa determinazione a tutti i suoi soggetti. I quali risultano estremamente vari e, comunque, sempre riconducibili alla bellezza della visione – al presentarsi della felicità.
All'infuori di me, Gerusalemme, 2011 © Andrea Pacanowski
Mentre guardo insieme a Pacanowski le sue immagini, sento che esse mi ricordano qualcosa che non riesco a individuare. Ad un certo punto egli mi parla del fascino che hanno esercitato su di lui le antiche vetrate delle chiese. Improvvisamente mi torna in mente quella bellezza luminosa e mi si chiarisce il collegamento. Luce e colore sono gli elementi del felice sposalizio delle immagini di Pacanowski, che si mostra limpidissimo nel lavoro che viene qui presentato, All'infuori di me. Al di là dei molti ragionamenti che il tema può alimentare, il punto da cui muove l'autore è la fascinazione delle folle per gli eventi religiosi. Egli ha ripreso alcune manifestazioni delle tre più importanti confessioni monoteistiche – ebraica, cattolica e islamica – senza alcun intento documentativo, ma col suo solito interesse artistico: coloristico e compositivo. La materia in oggetto è per lui un elemento puramente visivo. Nel suo sguardo non c'è alcun pregiudizio né alcuna volontà di giudicare. C'è solo il piacere di vedere. Vedere come le masse, col loro partecipare a un rito, condividono un'esperienza che formalmente si presenta quasi come un'opera d'arte. Le immagini che Pacanowski offre al nostro sguardo sono come un fiume che scorre placido e sul quale scivolano le più variegate ombre. Dobbiamo solo guardarle, accarezzare i colori e sentirci da essi accarezzati. Tutto il resto è inutile, e forse anche dannoso».
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