Maestri 1

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Cinque grandi italiani
Basilico, Berengo Gardin, Fontana, Jodice, Scianna

Dobbiamo essere grati a chi ha pensato e realizzato Fotografia Italiana, una serie di cinque film documentari prodotti da Giart-Visioni d'arte in collaborazione con Contrasto, firmati da Alice Maxia con la regia di Giampiero D'Angeli (in vendita in libreria e on-line a 14,90 euro l'uno o a 64,50 euro il cofanetto completo). Perché in un colpo solo, davanti a uno schermo tv o al monitor del proprio computer, si ha la possibilità di immergersi nella vita e arte di cinque tra i più grandi fotografi contemporanei italiani: Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Franco Fontana, Mimmo Jodice e Ferdinando Scianna.

Dobbiamo esser grati, davvero, perché ogni film - della durata di circa 50 minuti ciascuno - è, da una parte, il racconto, scandito da foto celebri e meno note, di una ricerca di espressività e di una via professionale; e, dall'altra, una sorta di workshop concentrato nello studio del fotografo e in luoghi per lui significativi, senza voci fuori campo, con l'artista che parla di sé e del proprio mondo stilistico. Anche noi rispettiamo questo metodo virtuoso - lasciar la parola all'autore, senza intromissioni e giudizi - riportando alcune delle parole colte nei racconti dei cinque maestri, invitandovi – soprattutto – a disporvi all'ascolto e alla visione dei cinque film documentari.

 

Gabriele Basilico

Gabriele Basilico, nel suo studio o a spasso per Milano, racconta che «quando ci si muove nello spazio si è come rabdomanti che cercano qualcosa che non si vede», «una composizione che astrae un po'». Parla della sua formazione, prima liceo artistico, poi architettura al Politecnico di Milano, dell'inclinazione naturale nel rappresentare e interpretare lo spazio. Dell'aver cominciato a fotografare da studente, del riconoscimento di Berengo Gardin come maestro, del «rispetto nei confronti del soggetto che vale anche per le architetture, lo spazio», nei cui confronti è necessario attivare «comprensione, attenzione, concentrazione, senza stravolgere lo sguardo, al di là di qualsiasi dramma», dell'interesse per le «traiettorie di sguardi dall'alto, e dal basso, per dare l'esperienza visiva dello sguardo urbano» o per «la luce doppia, ombra e sole». Il suo oggetto preferenziale è «la città, come grande corpo dilatato da osservare». È importante «l'esercizio della contemplazione, non lo sguardo veloce, ma stare in un posto e guardare di più». Alcuni suoi luoghi: la Milano dominata dal Pirellone, la Beirut ferita ma viva delle macerie post-guerra, la San Francisco della Silicon Valley. «Il senso di vuoto per cercare lo spazio che racconta un pezzo di storia», il mestiere «del fotografo, un lavoro emozionante e difficile».

Gabriele Basilico
Gabriele Basilico



Gianni Berengo Gardin

Gianni Berengo Gardin si sente «sono solo un testimone di quello che vedo» che «cerca di essere il più obiettivo possibile nel fotografare la realtà». Testimoniare, documentare «il mondo che mi circonda, come viviamo, chi siamo». «Ho un archivio di 1 milione e 300 mila scatti, l'archivio è come il buon vino, negli anni migliora». «Mi piace molto sentire la presenza dell'uomo». Cita, mostrando delle immagini, il lavoro sulla religiosità in Italia, il lavoro sui manicomi,  il lavoro sulla Luzzara di Cesare Zavattini, il lavoro sulle italiane. «Amo molto fotografare l'Italia, pur avendo viaggiato molto, perché la conosco bene, conosco le persone, la famiglia, i giovani». I suoi amori? «Prima la Leica, poi le donne, poi i gelati, è più forte di me». «Per fare una buona foto di reportage bisogna sempre prevedere quello che sta per succedere, in modo  da essere pronto a scattare nel momento decisivo». «Voi vi illudete di fare le foto con la macchina fotografica, ma le foto si fanno con gli occhi, con la testa, con il cuore», riecheggia l'insegnamento di Henri Cartier-Bresson. «Lo decide il fotografo quel che è il momento decisivo, ciascuno decide qual è il proprio». «Certe volte studi, altre agisci istintivamente». Rievoca il lavoro sulla Gran Bretagna, la celebre immagine della macchina in riva al mare. «Una delle cose che ho imparato da Salgado, Koudelka, è che nelle fotografie deve succedere qualcosa, non deve essere una foto statica». «Credo che la fotografia sia più vicina alle parole, alla scrittura, che alla pittura». Didascalie sì: «la fotografia dice tanto, tantissimo, ma va sempre puntualizzata con anno, il posto, cosa succede».

Gianni Berengo Gardin
Gianni Berengo Gardin


Franco Fontana

Secondo Franco Fontana «per interpretare il paesaggio devi praticamente diventarlo e il paesaggio diventa te. In questa simbiosi, non illustri ma inventi, crei». Per lui «il colore è sensazione fisiologica, emozione, interpretazione e mezzo di conoscenza». Il suo lavoro mira a scuotere le abitudini mentali che rendono cieco lo sguardo. «Cancellare per eleggere la parte che interessa». «Fotografate quel che non vedete per dar significato a quel che vedete». «Il teleobiettivo mi permette di ritrarre, crea una situazione che l'occhio non è abituato a vedere, è un invisibile che diventa visibile». «Io vado a caccia delle mie immagini, il mio fucile è la macchina fotografica». «Scatto d'istinto, vedo la preda e la colpisco. Quella è la mia verità, una volta compresa la sviluppo e la faccio diventare un lavoro». «L'emozione va fermata immediatamente perché è viscerale». «Finché non la fotografi una cosa non esiste». Attraverso gli anni, il percorso è quello, «la stessa mano, stessa tecnica, stesso linguaggio, alfabeto». Dalle foto «delle scorrerie della domenica fatte con gli amici nella campagna modenese» e «delle incursioni fino a Praga» al salto nella professione a tempo pieno «per dar qualità alla vita» perché fa quel gli piace e si mantiene. Le radici? «Negli spazi materici del paesaggio». Cita «le grandi campiture, senza case, senza alberi, della Puglia e della Basilicata che rappresentano il 90% della sua testimonianza sul paesaggio», in Usa le campiture «erano le superfici colorate dei paesaggi urbani». Per lui, «la fotografia è tutto un movimento, come la vita». «I colori esistono, io li interpreto». «Io vado a trovare, non a cercare, so già cosa cerco».

Franco Fontana
Franco Fontana



Mimmo Jodice

Mimmo Jodice crede che «sicuramente chi guarda le mie fotografie guarda i miei pensieri». «La fotografia è un linguaggio, le mie foto non raccontano della realtà che ci circonda, c'è azzeramento della quotidianità». Nascono da progetti, da riflessioni, «è un modo di esprimere pensieri più che raccontare eventi, sanno di tempi lunghi, di attesa». «Io mi perdo a guardare lontano, con tempi lunghi. L'infinito, per me, è un bisogno spirituale». «L'orizzonte è il momento massimo». La fotografia? «Nessuna predestinazione, scoperta occasionale, per l'arte». «La fotografia è stata un innamoramento, il momento magico è stato l'arrivo a casa di un piccolo ingranditore, per stampare in  proprio, esplode la magia, esplode l'amore, così ho iniziato a dedicarmi totalmente alla fotografia». «Sperimentare più che documentare, credendo fortemente che la fotografia avesse diritto a essere considerato un linguaggio dell'arte». «Verificare tutte le possibilità espressive, dal punto di vista tecnico e/o concettuale, più che in ripresa in camera oscura». Le fughe prospettiche, frutto di angolazioni diverse da quelle ortogonali. La grande sagacia in camera oscura. Ricerca formale, fotografia come linguaggio dell'arte. L'esperienza nell'insegnamento, «primo docente di fotografia nelle accademie di belle arti italiane». L'impegno: «ho iniziato a fare inchieste a Napoli, a fotografare la realtà dolente di Napoli», ricognizioni negli ospedali, indagini sulle scuole, nelle fabbriche, nelle periferie. Poi ancora Napoli, «rivedere la città fuori dalla realtà, una dimensione di sconfitta, da qui nascono i lavori come Vedute di Napoli, rimuovo l'elemento centrale della figura umana e restano dei fantasmi, c'è questa voglia di urlare dalle amarezze, dalle delusioni, dalle sconforto nei riguardi della città». Ma Napoli ha voluto dire anche «il mondo antico, l'archeologia, la memoria del passato». Luoghi dalla bellezza sconvolgente, ricchi di suggestione. «Io vivo nel passato». «Le mie fotografie in partenza sono momenti di suggestione, che cerco di trasferire ad altri attraverso le fotografie, ma poi bisogna trovare tutte le strategie possibili per l'immagine che alla fine risulti così come l'abbiamo pensata». Fotografie che «non appartengono alla quotidianità, sono sospese nel tempo». «È maturata questa mia maniera di guardarmi intorno, anche a Tokyo, Parigi, Boston, città ferme, congelate». «Io vedo, mi emoziono e poi questa emozione diventa fotografia». «Tutte le mie fotografie le stampo io e la ragione è che è possibile intervenire per rafforzare tutti quegli elementi già visti in ripresa ma che in sede di stampa possono essere migliorati».

Mimmo Jodice
Mimmo Jodice



Ferdinando Scianna

Per Ferdinando Scianna «il fotografo guarda cercando di vedere, ogni tanto vede qualcosa». «Le mie immagini sono costruite attorno alla struttura dell'ombra». «Mestiere nato da un istinto di fuga». «Fotografia vuol dire scrittura di luce o scrittura con la luce, forse entrambe le interpretazioni sono valide». La peculiarità della fotografia? Catturare «una fetta di visibile, una fetta di tempo, l'irrevocabilità dell'istante». Quella del fotografo è «una maniera di vivere curiosa, schizofrenica, di vivere nel presente, sapendo di costruire memoria». Il suo primo libro, a 21 anni, sulle feste in Sicilia: «da questo libro è nato tutto». «Il rapporto tra le immagini e le parole è molto importante, ma chi lo ha detto che un'immagine vale mille parole?» Quindi il libro come destinazione e il racconto come scopo. «A me interessava ciò che mi succedeva intorno, la vita quotidiana». Raccontatore della vicenda umana, emigrato a Milano e poi a Parigi. I lavori come "Quelli di Bagheria" e la fotografia di moda, «non era più la moda che isola il mondo, ma il mondo che viene coinvolto nella moda». Dolce&Gabbana, «quel che volevano da me: "il nostro look con il suo feeling"». «Trasgredivo al mio tabù fondamentale e cioè intervenivo nel mondo». «La prima legge del decalogo bressoniano è il fotografo deve essere invisibile, non si deve intervenire sulla realtà, io invece  dicevo mettiti qui, mettiti lì». Con la sua musa, la top model Marpessa un racconto, la storia di un rapporto tra un fotografo e una modella. «Il punctum di Barthes, sul crinale tra la verità e la fiction, caratteristica della migliore moda che ho fatto». La candidatura a Magnum Photos, primo fotografo italiano a farne parte. Impegno sociale, grinta espressiva e fotografia di moda. »Ossessionato da un'idea di curioso», cita Oscar Wilde: "il mistero sta nel visibile, non nell'invisibile".

Ferdinando Scianna
Ferdinando Scianna


www.giart.tv

Chi sono

Gabriele Basilico
Gabriele Basilico (Milano, 1944) è noto per le sue ricerche sul paesaggio urbano. Dopo il primo progetto Milano, ritratti di fabbriche viene invitato, unico italiano, a partecipare alla Mission Photographique de la D.A.T.A.R, organizzata dal governo francese dal 1983 al 1988. Nello stesso periodo realizza Porti di mare (1982-88) e nel 1991 la campagna fotografica su Beirut. Negli anni '90 riprende la ricerca sul territorio italiano, e in particolare sulle trasformazioni del paesaggio urbano. Nel 1996 la giuria internazionale della VI Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia gli attribuisce il premio Osella d'Oro e nel 2000 riceve il premio dell'I.N.U., Istituto Nazionale di Urbanistica, e nel 2007 è l'unico fotografo ad esporre alla Biennale Internazionale d'Arte di Venezia. Le sue opere fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private italiane e internazionali ed ha esposto nei più prestigiosi musei del mondo.
© Gabriele Basilico
 
Gianni Berengo Gardin
Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930) ha iniziato a occuparsi di fotografia nel 1954. Dopo aver vissuto a Roma, Venezia, Lugano e Parigi, nel 1965 si è trasferito definitivamente a Milano. Ha collaborato con le principali testate della stampa illustrata italiana ed estera, ma si è principalmente dedicato alla realizzazione di libri, pubblicando oltre 220 volumi fotografici. Gli sono stati conferiti premi prestigiosi come il Premio Scanno, il Premio Brassai, il Premio Oscar Goldoni, fino al Lucie Award alla carriera nel 2008 a New York, primo italiano dopo Henri Cartier Bresson, Gordon Parks, William Klein, Willy Ronis, Elliott Erwitt.
© Gianni Berengo Gardin
 
Franco Fontana
Franco Fontana (Modena, 1933) ha segnato in misura importante la storia della fotografia italiana in particolare per la sua scelta del colore. Comincia la sua attività di fotografo nel 1961 a livello amatoriale e nel 1963 espone alla Biennale Internazionale del Colore a Vienna. Nel 1968 si ha una svolta nella sua ricerca fotografica, che lo porta a diventare un maestro riconosciuto internazionalmente della fotografia a colori e ad esporre nei più importanti musei. Ha firmato importanti campagne pubblicitarie e nel 2006 ha ricevuto la laurea honoris causa in design dal Politecnico di Torino, oltre a numerosi premi internazionali.
© Franco Fontana
 
Mimmo Jodice
Mimmo Jodice (Napoli, 1934) inizia a lavorare con la fotografia negli anni Sessanta. Dopo le prime sperimentazioni, che indagano le numerose possibilità espressive della fotografia, la sua attenzione si rivolge soprattutto alla realtà di Napoli nei suoi aspetti sociali, storici e paesaggistici. Con le "Vedute di Napoli" del 1980 ha inizio un profondo rinnovamento del suo linguaggio espressivo. Alla fine degli anni Ottanta inizia una serie di lavori sul mito del Mediterraneo. Dopo il premio Antonio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei nel 2003, il conferimento della laurea Honoris Causa in Architettura aggiunge un prestigioso tassello alla carriera di una delle personalità artistiche più interessanti nella realtà culturale nazionale ed internazionale.
© Mimmo Jodice
 
Ferdinando Scianna
Ferdinando Scianna (Bagheria, 1943) inizia a fotografare negli anni Sessanta raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d'origine. A soli ventun'anni pubblica, con saggio di Leonardo Sciascia, "Feste religiose in Sicilia", che ottiene il Premio Nadar. Dopo essersi trasferito a Milano, comincia a lavorare per il settimanale "L'Europeo" come fotoreporter, inviato speciale, poi corrispondente da Parigi, dove vive per dieci anni. Il suo lavoro è molto apprezzato da Henri Cartier-Bresson, che lo invita ad entrare in Magnum Photos, della quale diviene membro nel 1989. Fotografo tra i più versatili, dal 1987 in poi Scianna alterna il reportage in tutto il mondo con i lavori di moda e pubblicità, riscuotendo successo internazionale.
© Ferdinando Scianna

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