Vivo da sempre in Calabria e ho imparato ad osservare il suo paesaggio, geografico, antropico e sociale, da punti di vista sempre diversi. Per me raccontare questa difficile regione attraverso la fotografia ha significato l'unico possibile strumento per interiorizzarla, per entrare in relazione attiva con la sua gente, le sue istituzioni, il suo paesaggio, ossia per viverla con pienezza superando, almeno parzialmente, frustrazioni e sottomissioni. Poco alla volta la mia urgenza espressiva è diventata un lavoro, una professione che svolgo ininterrottamente da quasi venticinque anni.
© Giulio Archinà - Autoritratto, Bianco 2006
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In tempi come questi - in tempi in cui le emergenze di questo territorio (tra frane e ‘ndrangheta, politiche inadeguate e malasanità) sono quanto mai all'ordine del giorno - si tende a dimenticare come la Calabria sia anche un giardino fertile abbracciato da due mari, ad est lo Ionio ed a ovest il Tirreno. Dalle coste si raggiungono quattro gruppi montuosi, splendidi e totalmente diversi l'uno dall'altro: il Pollino, la Sila, le Serre e l'Aspromonte. Per capire meglio il paesaggio di questa regione, ne ho rivisitato dall'alto il territorio servendomi di un deltaplano a motore. È un progetto decennale, ormai, che continua ad appassionarmi e cui dedico molte energie. Dal cielo, arrampicato sullo stretto seggiolino che si erge alle spalle del pilota, con pazienza e inesauribile senso di meraviglia, ho fotografato tutta la Calabria, raccogliendo un archivio che ora conta oltre centomila scatti.
© Giulio Archinà - San Giovanni in Fiore, centro storico (CS), 2005
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Il deltaplano a motore è il mezzo ideale per questo tipo di riprese fotografiche. Non si tiene in aria grazie al motore, quindi le vibrazioni possono essere ridotte al minimo e poi non c'è abitacolo e quindi nessuna barriera tra te e la terra. Di contro in ogni volo si deve combattere con il meteo e con il freddo. A bordo non c'è strumentazione se non quella essenziale al motore, quindi si pratica un volo a vista dove le competenze metereologiche del microclima di ogni versante o crinale sono fondamentali. Per di più l'assenza di un abitacolo che ti ripari dal vento e dal freddo è un dettaglio assolutamente non trascurabile se si tiene conto che ogni 120 metri circa di altitudine la temperatura si abbassa di un grado. L'esposizione ai quattro venti e a correnti anche gelide, quando si giunge a 3000 m. di altitudine s.l.m., con temperature vicine allo zero in agosto (ma che in inverno possono scendere tra i 10 e 20 gradi sotto lo zero termico), fanno sì che il freddo sia il protagonista e l'ostacolo principale allo scatto. In queste situazioni estreme la cura dell'attrezzatura e della persona rivestono un grande rilievo. Bisogna esercitare una grande padronanza sulle proprie reazioni alle sollecitazioni delle variazioni altimetriche e alle escursioni termiche, curare l'abbigliamento che deve essere caldo e impermeabile, ma non troppo pesante da impedirti i movimenti liberi del busto e delle braccia. Anche uno spiffero di vento che entra inavvertitamente in una manica è come una frustata che ti colpisce il braccio. Si deve poi possedere una naturalezza e una manualità essenziale nell'utilizzo dell'attrezzatura fotografica, tanto più in queste condizioni.
© Giulio Archinà - Boschi a San Marco Argentano (CS), 2005
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Io uso con soddisfazione una Nikon D 300 con l'80/200, 2,8 originale ed una Kodak DCS 14 pro, quindi una pieno formato, con il Nikkor 18/35 3.5. In volo risulta molto difficile cambiare obiettivo. Solo se si è a bassa quota, in buone condizioni climatiche, ciò riesce praticabile, ma è necessario considerare quanto sia importante non correre in alcun modo il rischio che qualcosa voli via risucchiato dal vento. Innanzitutto potrebbe finire nell'elica del motore che è distante circa 40 cm e poi ogni piccolo oggetto che cada da una grande altezza si trasforma in un proiettile a terra. Quindi ogni componente dell'attrezzatura va ancorato con funicelle al corpo. Si deve eliminare ogni fronzolo, via i tappi copriobiettivi, le custodie di memory card e quant'altro potrebbe essere un pericolo e un intoppo a mani particolarmente intorpidite dal troppo freddo; sul deltaplano ogni memoria, ogni batteria, deve essere accessibile senza troppo sforzo e, possibilmente, custodita in viaggio sotto la protezione di una zip. Sono abbastanza soddisfatto del mio corpo Nikon D 300 e degli obiettivi, particolarmente resistenti ai mille urti a cui inevitabilmente sono sottoposti, e che - nonostante la garanzia del loro funzionamento sia valida fino allo zero gradi centigradi - funzionano correttamente anche a temperature ben più basse, diversamente dalla Kodak DCS 14 che, forse per il consumo elevato di alimentazione, si blocca puntualmente vicino allo zero termico. Per il resto l'autofocus è d'obbligo come l'automatismo a priorità di tempi, tempi di otturazione da 1/500 ad 1/1500 secondo velocità, angolazione di volo rispetto al vento, ovvero secondo sensibilità. A tutti piacerebbe che fosse diverso, e poter esercitare una maggiore scelta sulle focali o sui tempi, ma sovente gli occhi ti lacrimano talmente tanto che non riesci neanche ad inquadrare la parte più interessante del viaggio.
© Giulio Archinà - Teatro greco a Sybaris (CS), 2006
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Fotografare dal deltaplano è incantevole, nel senso che l'incanto e la meraviglia di un paesaggio così vario come quello calabrese non può forse essere esperita in modo così incondizionato che dall'alto. Forse può dirsi lo stesso per ogni scatto, ma ogni volta che mi capita di ritornare sullo stesso luogo, siano i boschi della Sila, o le coste del Tirreno, o anche le fiumare o le cittadine più interne delle Serre, tutto è sempre diverso. La stagione, l'ora del giorno, il clima cambiano radicalmente la prospettiva del viaggio. Volare in deltaplano permette di entrare in relazione profonda con la terra. Dapprima si resta paralizzati dalla meraviglia scatenata dal punto di vista inusuale, poi, poco alla volta, appena la ricerca diventa più approfondita, si impara a entrarci in rapporto. La prima relazione che si stabilisce è con l'aria. È lei che ti sostiene, che ti spinge o che ti respinge. Il rispetto è la prima regola che si impara. In deltaplano non si viaggia a priori del clima, del tempo metereologico, ma in armonia con esso; bisogna quindi imparare a interpretare. Il concetto di distanza assume valenze inconsuete. In un attimo voli sostenuto da una corrente che ti porta dove desideri in un altro ti infrangi contro una corrente che non ti fa passare. In volo bisogna sapere accettare i no, e aspettare che la terra ti accolga di nuovo fra le sue meraviglie. Il rapporto di passione e di fiducia che si instaura poi con il pilota è importante, si deve condividere la passione per il viaggio, la voglia di raggiungere la meta, la capacità di saper rinunciare e non spingersi troppo oltre e la caparbietà di riprovarci con fiducia. Io volo solo con un pilota ed è un viaggio che compiamo insieme, lui con la sensibilità delle sue braccia, io con quella del mio occhio, non possiamo parlarci, non possiamo guardarci, dobbiamo intenderci con un gesto e muoverci in sintonia per bilanciare una virata per assecondare il vento, per capire i nostri limiti e quelli del mezzo.
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© Giulio Archinà - Girotondo a Bianco (CS), 2004
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