«La pioggia continua a cadere senza interruzione, con una violenza tale che si fatica a mantenere gli occhi aperti. Di tanto in tanto controllo le sacche di plastica dove ho racchiuso l'attrezzatura fotografica e mentre mi tengo ben saldo con una mano al bordo dell'imbarcazione chiamata hang yao, con l'altra cerco di svuotare la barca con una specie di secchiello. Avevo letto prima di partire qualcosa riguardo i monsoni ma non pensavo raggiungessero tale intensità. Mi volto a controllare il thailandese alla guida che con un sorriso alza il pollice verso l'alto e sembra quasi non avvertire l'acqua che continua il suo vitale lavoro. Dopo circa due ore di navigazione sul fiume Kok, finalmente ci accostiamo ad un villaggio sulla sponda destra, un uomo ci lancia una cima e con estrema destrezza assicura la barca a due tronchi di legno, tiriamo un sospiro di sollievo, raccogliamo le nostre cose ormai fradice e ci immergiamo nel fango sino al ginocchio».
© Gianni Iorio - Hong Kong, Cina
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Thailandia 1989. È stato questo il mio esordio in Asia. Fin da allora lo sentivo come un posto speciale: non che ci fosse un motivo specifico per questo sentimento, era un moto spontaneo venuto chissà da dove. Non so se siano state le suggestioni dei libri di fotografia che ho ricevuto in regalo per i miei diciotto anni, fatto sta che almeno una volta l'anno dovevo tornarci, e ancora oggi mentre preparo l'attrezzatura fotografica prima di partire con mia moglie Norma per un nuovo viaggio provo le stesse sensazioni, direi quasi un richiamo della foresta. Già dai primi paesi che ho visitato, il solo fatto di poter camminare con al collo le mie Nikon cariche e una sacca di tela stretta alla vita piena di pellicole mi faceva sentire libero. Libero di raccontare con le fotografie qualcosa che non sarei riuscito a comunicare altrimenti. Le modelle sulle passerelle, gli still-life e la pubblicità erano alle mie spalle, erano il lavoro: ora, finalmente, avevo davanti a me quel mondo che desideravo raccontare.
© Gianni Iorio - Centro di riabilitazione, Phnom Penh - Cambogia
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Le strade sterrate di Phnom Penh invase da una moltitudine di persone e da carretti sgangherati che alzano una nube tanto polverosa da rendere l'aria irrespirabile e la vista impenetrabile, i vecchi malati e i giovani mutilati accovacciati tra gli stracci che chiedono l'elemosina per i marciapiedi di New Delhi, i bambini abbandonati in cerca di cibo che vagano e giocano tra i liquami per le vie di Vrindavan, ad ovest del Gange. A tutto questo facevano da contrappunto le fiabesche marce degli elefanti carichi di legna che avanzano maestosi per le strade di Pinnawela, in Sri Lanka; i sari delle donne di Kathmandu dai colori iperrealistici; la mistica dei sadhu di Hampi in India e dei monaci buddhisti del Myanmar; i paesaggi metafisici del vulcano Bromo a Giava, fino alle preghiere colorate che dondolano sospese nel vento gelido all'entrata dei templi in Ladakh.
© Gianni Iorio - Kuala Lampur, Malaysia
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Col passare del tempo, intorno alla fine degli anni '90, ho iniziato ad avvertire i primi segnali di cambiamento in quello che mi era sembrata una terra dai cicli immutabili. Un cambiamento dapprima impercettibile, come un fiume carsico, poi sempre più prorompente: l'ho incontrato sulle strade di Singapore lustrate a lucido, sulle spiagge di Phuket invase dal turismo di massa e infine l'ho visto straripare, contagiando tutto ciò che incontra: l'innalzarsi furtivo delle Petronas Tower, lo show pirotecnico per esibire lo skyline notturno di Hong Kong, le minigonne mozzafiato delle ragazze cinesi che passeggiano lungo i viali di Guilin, il lavorio incessante, giorno e notte, di migliaia di operai per la trasformazione fulminea di Shanghai in una megalopoli futuristica, un nuovo mondo tecnologico e ultramoderno che coesiste accanto a quello arcaico e rurale che avevo conosciuto, con i suoi drammi, le sue magie, le sofferenze indicibili seppur dignitose.
© Gianni Iorio - Gunung Bromo, Java - Indonesia
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Grandi trasformazioni sono in atto, ma allo stesso tempo permangono quelle stridenti contraddizioni che nel bene e nel male ne hanno segnato l'anima per millenni e che affondano nel mito le proprie radici. Questa era l'Asia che avevo dentro e che ho trovato ogni volta. In tanti anni, quasi senza accorgermene ne ho coltivato gli sguardi e fotografato i mutamenti, la natura, i luoghi e le persone. Una terra che, dopo vent'anni, ha ancora la forza di stupirmi.
© Gianni Iorio - Stupa di Bodhnath - Nepal
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Chi è
Gianni Iorio nasce a Roma nel 1959. L'esordio professionale avviene nell'ambito del fotogiornalismo. Volge poi la propria attività e ricerca verso lo still-life e il ritratto, per approdare alla fine degli anni ‘80 nel campo della moda e della fotografia geografica e naturalistica. Frequenti sono i viaggi in gran parte del mondo prevalentemente nel Sud-Est Asiatico. Numerose le sue pubblicazioni su riviste internazionali e nazionali, enti e istituzioni. Oggi è free-lance e collabora con l'agenzia SIE, Simephoto, Masterfile e con il Gruppo Espresso. Nel 2007 allestisce con l'UNICEF una mostra itinerante sul dramma dei bambini cambogiani che terminerà nel febbraio 2008. Nel 2007 vince il Premio Chatwin per la fotografia.
© Gianni Iorio - Habaraduwa, Sri Lanka
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