Il Palazzo Venezia di Roma ospita dal 31 gennaio al 25 febbraio la personale di Gianni Galassi "Extralight, fotografie 2002-2006", 60 immagini a colori e in bianco e nero. La mostra, con la supervisione del Soprintendente al Polo Museale Romano Claudio Strinati, è a cura di Miriam Castelnuovo. Di seguito, presentiamo la risposta dell'autore alla nostra sollecitazione sul tipo di lavorazione a posteriori che attiva per arrivare all'intensa resa finale delle sue immagini piene di ombre e luce satura, e una parte del testo critico della curatrice.
© Gianni Galassi - Cantiere edile - Formello (Roma) - 2005
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«Sono nato nel 1954, nel '60 già fotografavo e sei anni dopo ho sviluppato la mia prima stampa positiva. Questo per dire che la mia formazione è tipicamente fotochimica. Per i miei lavori ho sempre utilizzato pellicola in bianco e nero 35 mm. (con apparecchi Nikon e Leica) che trattavo personalmente in camera oscura. Solo per l'attività professionale mi sono servito di pellicola piana invertibile a colori 4"x5" (con apparecchi Linhof e Arca Swiss) e, meno frequentemente, 6x6 (con apparecchi Rollei e Hasselblad). Questo perché il trattamento fotochimico del colore non consentiva neppure lontanamente il controllo e la flessibilità offerti, invece, dal bianco e nero.
© Gianni Galassi - Serbatoio - Milano - 2004
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Un medium che, una volta liberatomi dalle inevitabili costrizioni del lavoro commerciale (dagli anni '80 mi occupo di cinema e televisione), ho avuto l'opportunità di esplorare in una direzione decisamente più chiaroscurale che in passato. Il passaggio al digitale è avvenuto per gradi. Per qualche anno ho continuato a usare il negativo bianco e nero, che dopo lo sviluppo scansionavo a 4000 dpi con uno scanner per pellicole. Aggiungo che l'individuazione di una pellicola dotata di una grana compatibile con lo scanner, e del fattore di sovraesposizione e di sviluppo "alleggerito" necessari all'ottenimento di negativi sufficientemente "molli" da generare un file gestibile, è stata tutt'altro che una passeggiata. E sui due anni che mi ci sono voluti per capire almeno vagamente come funzionava Photoshop, preferisco sorvolare. Di base, quello che cercavo era la possibilità di continuare a realizzare immagini in bianco e nero utilizzando la camera oscura digitale. Uso intenzionalmente questa definizione, perché il trattamento di post-produzione (non amo il termine fotoritocco, perché nel nostro lessico il ritocco è un'altra cosa) al quale sottopongo le mie fotografie non prevede interventi che non facessero parte del mio vecchio bagaglio di fotografo fotochimico. Con la pellicola piana conoscevo già la possibilità di cambiare emulsione, sensibilità e sviluppo ad ogni scatto, e l'apparecchio a banco ottico mi aveva abituato all'eliminazione delle linee cadenti e al rigore nella costruzione geometrica dell'immagine.
© Gianni Galassi - Monumento all'Olocausto - Berlino - 2005
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E per chi ha familiarità con le carte sensibili multigrado e gli ingranditori a testa filtrante, le curve e i livelli di Photoshop non sono certo una novità, sul piano espressivo. In sostanza - ed è questo, al di là dei tecnicismi, il nocciolo del discorso - il mio era e rimane linguaggio fotografico. La più recente maturazione delle reflex digitali, che farei coincidere con l'introduzione del sensore Sony da 6,1 megapixel adottato da tanti apparecchi, tra i quali alcuni firmati Nikon, mi ha convinto a passare alla cattura elettronica dell'immagine. Il buon senso suggerisce di scattare a colori anche le inquadrature destinate al bianco e nero (meglio applicare i filtri in post-produzione che in ripresa), e presto mi sono accorto di aver operato un'interessante contaminazione, applicando la mia visione monocromatica (basata principalmente sulla valorizzazione dell'ombra come forma e volume) alla ripresa policroma. Insomma, il bianco e nero fatto col colore. Conclusione, sono due anni che ho abbandonato la pellicola. E non ne sento minimamente la mancanza. Per guadagnare dinamica verso lo spettro del rosso non attivo mai il bilanciamento automatico del bianco. In pratica lavoro come se avessi sempre in macchina una pellicola per luce diurna. Questo mi permette di catturare la dominante che la luce solare genera nelle ore della giornata che prediligo: quelle che seguono l'alba e precedono il tramonto. Grazie ull'uso esclusivo del formato RAW, che sovraespongo leggermente e poi sottosviluppo in fase di conversione, evito lo sfondamento delle alte luci e ottengo un maggior dettaglio (e un minor rumore) nelle ombre. Lavorando con decisione su maschere, curve e livelli, ripristino nell'immagine gli intensi rapporti tra luce e ombra che avevo individuato al momento dello scatto. E la dominante rosso-arancione, presente soprattutto sulle superfici bianche e grigio chiare, assume automaticamente quell'enfasi che è diventata ormai la cifra stilistica di tutto il mio lavoro degli ultimi cinque anni».
© Gianni Galassi - Cantiere edile - Valdorcia - 2005
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«… L'esperienza soggettiva dell'autore si unisce alle sollecitazioni che provengono dall'esterno e che si mescolano vicendevolmente man mano che il lavoro prosegue, alla ricerca di qualcosa di definitivo. Difficile stabilire un fermo immagine, quando ti accorgi che ciò che stai inquadrando è in continua evoluzione formale, tanto più se riferita ad una propria spazialità prospettica, che ne determina il movimento attraverso la luce. In questo modo, un'architettura urbana o industriale, diventa per la prima volta un'opera d'arte con una vita propria e per cui ignora anche i margini di supporto che Galassi ha scelto per delimitare la sua stessa immagine.
© Gianni Galassi - Facciata - Roma - 2004
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La luce, con i suoi riflessi sulle superfici metalliche o su quelle di cemento armato e molti altri materiali, è l'elemento che dà la tensione a queste costruzioni, mentre lo spazio, quando è altro e vive autonomo oltre l'immagine inquadrata, gioca con un'influenza particolare sulle strutture che circonda. Nei paesaggi, il volontario collocarsi dell'opera in un determinato spazio, già prestabilito da Galassi nel momento stesso in cui sceglie quel soggetto, è anche il risultato di un continuo indagare sulle funzioni del vuoto e della sua leggerezza, che superando la consistenza dei materiali, dà vita ad inaspettate gradazioni ritmiche, giocate sui toni dei chiari e degli scuri delle ombre. I vuoti entrano a far parte di un'inquadratura come fossero i silenzi, le pause del suo proprio respiro, in attesa che qualcosa muti sotto lo sguardo attento e avido di cambiamenti inaspettati … ».
© Gianni Galassi - Deposito - La Spezia - 2004
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Chi è
A 5 anni Gianni Galassi riceve dal padre, appassionato di fotografia, la prima fotocamera. A 12 apprende i primi rudimenti di camera oscura. Prende corpo in quel momento la predilezione per il bianco e nero. A 16 anni concilia gli studi con l'attività di assistente fotografo specializzato in riprese industriali. Nel contempo dà inizio a una ricerca personale nel campo della fotografia fine-art, che proseguirà anche dopo l'avvio dell'attività in proprio che lo vede specializzarsi nello still-life e nell'arredamento, con l'impiego di apparecchi a banco ottico. Gli anni successivi si riveleranno cruciali per la sua formazione estetica. Le fotografie di Hervé, di Robert Frank, di Mario Giacomelli e di Berndt e Hilla Becher sono i suoi riferimenti artistici.A 24 anni espone i suoi lavori alla Galleria "Il Diaframma" di Milano. In seguito realizza per il regista Marco Tullio Giordana i sopralluoghi fotografici del film "Maledetti vi amerò". Ed è la produzione di un documentario sulla manifestazione dedicata dalla Biennale di Venezia alla fotografia ad allargare i suoi orizzonti creativi. Seguiranno altri documentari, insieme a numerosi spot per aziende italiane e straniere. Dopo varie esperienze come sceneggiatore e aiuto regista, si specializza nel campo della post-produzione, dando vita insieme a tre soci a uno studio specializzato in montaggio video e in doppiaggio e sonorizzazione di film e telefilm. In seguito all'adozione del digitale Galassi inizia a esprimersi anche con il colore.
www.giannigalassi.com
© Gianni Galassi - Chiesa - Roma - 2004
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