C'è un'Africa italiana, non più Libia, Somalia, Etiopia ed Eritrea. Ma quella degli immigrati africani, maghrebini e subsahariani, che vivono qui, i lavoratori stranieri e i loro familiari diventati nuovi cittadini di questo paese. C'è una rappresentazione tradizionale che la racconta: le immagini tragiche degli arrivi clandestini, le condizioni di vita spesso difficili, i conflitti. Ma c'è anche un'Africa normale, quella che gli stessi immigrati africani in Italia (intorno a 600 mila, poco più dell'1 per cento della popolazione italiana, localizzati per il 70 per cento nelle province del Nord) stanno costruendo: piatti e vestiti tradizionali, feste e danze, i figli a scuola, il lavoro, le cerimonie religiose, la quotidianità assieme a tutto l'esotico del nostro immaginario collettivo, dal vudu al cuscus, dai tamburi al griot-cantastorie.
© Marco Ambrosi
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Marco Ambrosi, Matteo Danesin e Aldo Sodoma, pubblicitari di professione, membri del collettivo Zoo_Com, mossi dal desiderio di rendere la fotografia uno strumento di ricerca e relazione sociale, hanno iniziato nel 2003 un progetto comune che considera la fotografia una possibilità di narrazione: una narrazione durante la quale si rendono dicibili e visibili situazioni che non sarebbero raccontabili in nessun altro modo. Così, da tre anni, stanno portando avanti un'indagine sull'immigrazione africana in Italia, soffermandosi sugli aspetti della vita quotidiana delle comunità africane che si sono stabilite nel territorio veronese e frequentano la Chiesa Pentecostale. "Non è semplicemente un'indagine condotta fotografando", dice Ambrosi, "la macchina fotografica ha aperto e consentito relazioni, ha fatto succedere delle cose che hanno fatto bene a noi che fotografiamo e a chi viene fotografato".
© Aldo Sodoma
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Il risultato è Portraits in black. Ritratti in nero. L'immigrato africano in Italia, la mostra a cura di Gigliola Foschi formata da circa 90 immagini e da installazioni sonore (voci narranti e musiche), proposta dal 15 ottobre al 7 gennaio dal Centro internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri di Verona. La mostra è accompagnata da un catalogo bilingue (pp. 144, euro 30) in vendita presso il Bookshop del Centro.
© Matteo Danesin
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Alcune anticipazioni della mostra, di grande interesse culturale e attualità, sono già state pubblicate ed esposte in Polonia, Germania, Spagna, Francia, Inghilterra e Singapore e hanno ricevuto importanti riconoscimenti tra i quali l'International Photo Awards e il Premio Internacional de Fotografia Unicaja.
© Marco Ambrosi
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Di seguito, un estratto del testo critico di Gigliola Foschi: «C'è un soggetto, l'immigrato, il clandestino, e c'è un modo ormai quasi canonico di fotografarlo: imbarcazioni stracariche di corpi, occhi supplicanti, operatori sanitari e sociali accorsi ad aiutarli, centri di accoglienza affollati, spesso simili a prigioni. L'immigrato, in queste immagini, si trasforma in una massa indistinta, priva d'identità e cultura. Una massa che impietosisce alcuni e conferma in altri la paura dell'invasione. Come fotografare gli immigrati evitando simili stereotipi? - si sono chiesti i membri del collettivo Zoo_Com: Marco Ambrosi, Matteo Danesin e Aldo Sodoma. In che modo riuscire a mostrarli come persone dotate di un'identità individuale e di una cultura capace di interagire proficuamente con la nostra? Il percorso scelto non è stato quello di realizzare un affresco generico sulla vita degli immigrati, cosa che avrebbe rischiato di mostrare situazioni già più o meno note. I tre autori hanno invece preferito lavorare su una realtà specifica, delimitata, ma significativa: quella degli immigrati africani aderenti al cristianesimo pentecostale. In particolare ghanesi e nigeriani residenti a Verona e nella sua provincia. Una scelta che intende aprire uno spiraglio di comprensione proprio su un mondo dell'immigrazione fra i meno compresi e fra i più segnati dai pregiudizi: l'Africa. Un continente il più delle volte considerato solo come luogo di fame, malattie e tribù in conflitto tra loro. E gli africani, poi, a che religione appartengono? Per molti sono solo musulmani o animisti, ovvero "primitivi". E' invece poco noto all'opinione pubblica che molti africani sono cristiani appartenenti a chiese evangeliche pentecostali. Quelle chiese, emerse dal mondo protestante, che formano oggi un movimento mondiale di proporzioni enormi, con centinaia di milioni di credenti in continua vertiginosa crescita soprattutto in America Latina, in Estremo Oriente e appunto in Africa. Documentare la realtà dell'immigrazione africana a partire da una comunità pentecostale significa quindi fare una operazione d'importanza duplice: da una parte indurre a guardare l'africano come a un "diverso vicino" (in quanto africano, ma anche cristiano) e non più come a un "diverso lontano"; dall'altra introdurre lo spettatore in un mondo religioso che - con la sua fede cristiana profonda ed emotivamente intensa - appare sempre più diffuso e importante, e tuttavia ancora scarsamente conosciuto».
© Matteo Danesin
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