Dieci nuovi paesi
sono entrati nell'Unione Europea
nel maggio 2004: Cipro,
Estonia, Ungheria,
Lettonia, Lituania,
Malta, Polonia,
Repubblica Ceca, Slovacchia
e Slovenia.
La Magnum Photos ha proposto
al Centre Pompidou di Parigi
di realizzare una "missione fotografica"
sul tema dei "nuovi europei".
Così, dieci fotografi
della Magnum (Carl De Keyzer, Martine
Franck, Alex Majoli, Peter
Marlow, Martin Parr, Mark
Power, Lise Sarfati, Chris
Steele-Perkins, Donovan Wylie,
Patrick Zachmann) hanno scelto di esplorare
ciascuno un diverso paese con una motivazione e un approccio
del tutto individuali. Dopo una prima tappa al Centre Pompidou
di Parigi lo scorso settembre, la mostra Euro
Visions. I nuovi europei visti dai fotografi della Magnum,
a cura di Diane Dufour e Quentin Bajac, viene presentata
dalla Triennale di Milano fino al 12 febbraio.
© Lise Sarfati/ Magnum Photos
Lituania 2004 |
Come spiegano i due curatori "le regole
erano semplici: invece di un illusorio e vano "ritratto"
di un paese, come quello solitamente offerto in questo genere
di missioni, ai fotografi è stato chiesto di dar
conto della propria esperienza personale.
Per la loro esplorazione, oltre
alla fotografia, gli artisti
hanno potuto utilizzare film,
video, appunti
scritti, commenti orali
e altri mezzi. Nell'enunciare
la missione, la commissione ha fatto riferimento a un libro
pubblicato da Henri Cartier-Bresson nel
1955, esattamente cinquanta
anni fa, Gli Europei. Le Euro
Visions di oggi evidenziano una differenza
piuttosto che una continuazione
rispetto a quegli europei del passato. Il continente descritto
da Cartier-Bresson diventa un'area geografica più
circoscritta, ossia una parte della Comunità
Europea, e alla sua visione individuale si sostituisce
una polifonia di dieci autori.
I progetti in mostra non forniscono
un inventario dei rispettivi
paesi un anno dopo la loro entrata nell'Unione Europea.
Non è questo l'intento della mostra. Dal nord al
sud Europa essi mostrano un'area in rapida trasformazione.
I tratti distintivi dei singoli paesi tendono a lasciare
il posto a stili di vita e
comportamenti più globali, un fenomeno che porta
a cambiamenti radicali e a
contrasti brutali che a volte
sfociano in tensioni e perdita di punti di riferimento.
E tutto ciò è ancora più impressionante
poiché la maggior parte dei nuovi paesi membri
faceva parte del vecchio blocco asiatico. Prese individualmente,
tuttavia, le opere presentate in questa mostra rivelano
spesso, a volte consapevolmente e altre inconsapevolmente,
il persistere di alcune caratteristiche
nazionali o geografiche. Attraverso una lettura storica
e sociologica delle immagini vengono alla luce le realtà
economiche e le politiche locali.
Alcuni fotografi hanno seguito certe loro
ossessioni personali o hanno
affrontato temi ricorrenti
nella loro opera, offrendo in tal modo una visione del tutto
soggettiva dei paesi visitati.
I ritratti dei paesi costituiscono
così una sorta di autoritratto
mascherato dei loro autori. Infine sia nell'approccio
ai soggetti che nei metodi utilizzati nella presentazione,
i dieci progetti invitano paradossalmente a pensare ai limiti
del mezzo fotografico. Essi
indagano la posizione e lo stato dell'osservatore e mettono
in dubbio la nozione di "bella foto"
e di "immagine accurata". A
diversi gradi si nota una tendenza verso la finzione.
Cinquanta anni dopo il libro di Cartier-Bresson questi "nuovi
europei" offrono l'occasione di fare il punto sulla fotografia
documentaria, sui suoi interessi e sulle idee di
un gruppo di fotografi della Magnum che hanno contribuito
largamente alla sua evoluzione".
© Martine Franck/ Magnum Photos
Repubblica ceca. Ida Fárová 2004 |
Opere esposte e racconti
degli autori
I testi dell'esposizione sono stralci di interviste realizzate
dai curatori della mostra con ogni singolo fotografo.
Carl de Keyzer (Belgio)
Malta / 14 prove colore, formato
87 x 114 cm,
60 ritratti fotografici proiettati su tre schermi distinti.
In quanto belga e fiammingo, mi riconosco molto bene nella
storia di Malta: un piccolo paese invaso da quasi tutto
il mondo come il Belgio. La mia idea è stata quella
di rendere visibile questa storia travagliata, fatta di
conquiste e occupazioni, questo "melange" di culture, questa
mescolanza che si riscontra nella diversità fisica
degli abitanti, e ancora più in particolare nei volti.
Evidentemente si tratta di un'utopia. Tutti i concetti che
ho messo in opera sono delle utopie: si sa da subito che
non si arriverà mai ad un risultato che corrisponda
perfettamente all'idea di partenza. Si ha l'obbligo di porre
dei limiti, di forzare la situazione, circoscrivendola.
Amo manipolare la storia o turbarne la rappresentazione
per forzare lo spettatore a porsi delle domande. Sono venuto
a Malta in estate, l'isola era invasa da turisti attirati
tanto dal clima quanto da questa dimensione storica, decantata
dai depliant turistici, prima risorsa dell'isola. Dopo così
tante invasioni successive, i nuovi invasori sono veramente
i turisti. Ho provato a stravolgere i miti legati all'isola:
la grotta di Calipso, l'ordine di Malta, talvolta in modo
giocoso. Non mi sono mai considerato un giornalista. Il
mio intero percorso è un percorso di finzione, di
menzogna. Allo stesso tempo rimango dell'idea che la realtà
possa creare delle situazioni e delle immagini molto più
ricche della finzione.
Martine Franck (Francia)
Repubblica Ceca / Proiezione.
Durata 17 minuti.
Montaggio: Martine Franck e Olivier Koechlin.
L'idea di partenza era semplice: mostrare attraverso tre
generazioni di donne ceche l'evoluzione di un paese, dopo
l'era comunista. Conoscevo Anna Fáravá senza
che fossimo intimi. Parlava francese, come le sue figlie,
Gabina e Isabelle, e le nipoti, Annabelle e Ines. Ma soprattutto,
l'ho scelta per la sua implicazione nella storia recente.
Con la firma della Carta 77, la sua vita è stata
sconvolta. Da un giorno all'altro si è trovata senza
lavoro, documenti, le sue figlie non hanno potuto accedere
agli studi superiori. Ero colpita dal carattere di tragedia
greca di questa vicenda, anche se non si è trattato
di una tragedia nel senso letterale del termine. D'altra
parte ha scosso in maniera considerevole la sua vita e soprattutto
quella delle figlie. Per loro l'Europa è arrivata
veramente troppo tardi. La forma ibrida del progetto, quella
di un film di fotografie, si è imposta rapidamente.
Avrei potuto appendere le fotografie al muro accompagnate
da citazioni, ma voce e suono hanno permesso ancora meglio
di dare un corpo ai personaggi. Ho voluto mostrare che non
esiste una repubblica ceca - l'idea un po' fantasiosa di
costruire il ritratto di un paese - ma che coesistono sempre
diversi mondi all'interno di una stessa società.
In questo caso tre generazioni segnate da un rapporto differente
con la storia del loro paese.
Alex Majoli (Italia)
Lettonia / Proiezione multischermo,
durata 7 minuti.
Montaggio: Alex Majoli e Lorenza Orlando
Quando Zane, il mio interprete in Lettonia, ha scoperto
le mie fotografie, le sue prime parole sono state: "Questa
è la Lettonia? Il mio paese è così?"
Io non capisco mai la tristezza delle mie foto. Semplicemente
non la vedo. La cosa che mi ha subito colpito è la
divisione fra le comunità lettoni e russe, le loro
reciproche incomprensioni dal momento che devono vivere
insieme. Volevo mostrare la Lettonia così come l'ho
vissuta, con i suoi paesaggi e i ritratti delle persone
reali, dai due aspetti, senza retroscena...come se fossero
sulla scena…ciascuno recitando un ruolo di uno spettacolo
diverso con la stessa scenografia. Si tratta di sapersi
"destreggiare" con il reale, sapendo e non sapendo cosa
fare con la fotografia. Sapere cosa si può scoprire
su se stessi quando si è nel nero.
Peter Marlow (Gran Bretagna)
Cipro / 114 stampe a colori,
formato 50x50 cm.
All'inizio, la mia idea era di esplorare la Linea verde
come un archeologo a Salamina o Kourion, 30 anni dopo che
è stata fissata come una frontiera definitiva. Al
primo approccio, la divisione di quest'isola mi è
sembrata assurda. Queste popolazioni, di entrambe le parti
della Linea verde, come hanno potuto sbagliarsi fino a tal
punto? Non volevo separare le parti turche e greche, dal
momento che per me sono molto vicine. La sola differenza
riguarda lo sviluppo economico. La ricchezza si trova attualmente
nella parte greca, ma era il contrario prima del 1974. Varosha,
un tempo il principale centro turistico, è attualmente
una vera e propria città fantasma. Ma da ogni parte,
le mentalità sono identiche e non si ha l'impressioni
di essere in due paesi diversi. Le foto sono disposte esattamente
nell'ordine nel quale le ho scattate nel corso del mio viaggio
e l'insieme provoca una certa confusione dal momento che
non si capisce se ci si trova al nord o al sud. Questo riflette
concretamente la mia percezione. Sono comunque assolutamente
cosciente delle differenze di interpretazione dell'una e
dell'altra parte. Per esempio, quella che da una parte è
percepita come un'"invasione" è per l'altra un "intervento".
Talvolta mi sono vergognato di essere britannico perché
ritengo che siamo all'origine di buona parte dei problemi.
Si tratta di una situazione complessa, ma non assurda. Anche
l'aeroporto internazionale, in stato di abbandono, con la
sua sala delle partenze senza nessuna partenza, è
più spaventoso che assurdo. Ho cercato di portare
uno sguardo clinico, ma senza portare delle risposte dal
momento che non ce ne sono.
Martin Parr (Gran Bretagna)
Slovenia / 15 stampe a colori:
2 stampe formato 100x130,
6 stampe formato 105x160 cm e 7 stampe formato 50x76 cm.
Credo che la Slovenia corrisponda all'idea che mi ero fatto.
Sapevo che era un piccolo paese. E che fra le nuove destinazioni
europee era la preferita degli Inglesi nel 2004. Tutto ciò
mi è sembrato molto interessante perché significa
che da una parte il turismo era in pieno sviluppo e dall'altra
che il paese è veramente apprezzato. Ho avuto così
voglia di andare a vedere a cosa assomigliasse. Certo, quando
si arriva si ha una sorta di effetto Disneyland: tutto è
così perfetto e Lubiana così carina. In questo
senso, è stato spesso difficile per me trovare il
difetto, quella vulnerabilità che cercavo e intorno
alla quale cercavo di articolare il mio lavoro. Ho scattato
migliaia di foto, ne ho stampate duecento, ne ho scelte
meno di venti per la mostra. Accostando queste foto, avevo
l'intenzione di costruire un puzzle, testimonianza dell'evoluzione
estetica, economica e finanziaria della Slovenia. Le mie
foto traducono il modo in cui la Slovenia costruisce un'immagine
di se stessa. Mi interesso alla interpretazione delle immagini
e mi considero volentieri un antropologo o un sociologo.
Infatti la Slovenia non è diversa dal resto del mondo,
e amo questa idea di andare da qualche parte e mostrare
una certa banalità, una somiglianza con il paese
vicino. Questo fa parte del mio lavoro. Da un altro punto
di vista, ho cercato di identificare i tratti specifici
della Slovenia e di concentrarmi su di essi. Perché
non si potrebbe cogliere l'anima di un paese e le sue contraddizioni
in una ventina foto?
Mark Power (Gran Bretagna)
Polonia / 14 stampe a colori
sotto diasec,
3 stampe formato 132x104 cm, 11 stampe formato 104x132 cm.
La Polonia è di gran lunga il più grande dei
nuovi paesi entrati nell'Unione europea. Se si somma la
popolazione degli altri nove, il totale è quasi equivalente
a quello della sola Polonia. Questo dettaglio è certamente
interessante, ma mi affascina soprattutto la storia straordinaria
e terribile di questa nazione. Per quanto il mio lavoro
non sia incentrato su dei siti storici specifici, in un
certo modo, il passato sottintende tutto il progetto. Io
resto risolutamente un estraneo ed è così
che mi colloco, ad una distanza rispettosa. In un certo
senso, il mio lavoro corrisponde ad un rilievo topografico
tradizionale, a qualche cosa che si avvicina al lavoro dei
pionieri della fotografia americana del diciannovesimo secolo
o dei fotografi viaggiatori dell'Inghilterra vittoriana,
ma in un contesto contemporaneo. In Polonia c'è un
senso dello spazio che io apprezzo molto. Si tratta di una
scala che non conosciamo in Gran Bretagna, dove tutto è
ammassato. In Polonia le distese piatte e senza limiti permettono
di vedere sempre più lontano e di distinguere sempre
più cose nello stesso momento. Amo anche il clima
predominante in questa parte dell'Europa: grandi cieli grigi,
bassi e colori saturi. Certi miei paesaggi assomigliano
a dei "quadri" senza attori, come una scena vuota che attende
che accada qualcosa. Ogni situazione deve essere vista in
modo autonomo, come una storia in se stessa.
Lise Sarfati (Francia)
Litania / Proiezione di diapositive
a colori, durata 12 minuti con accompagnamento sonoro
La proiezione rafforza un aspetto un po'immateriale, luminoso
e allo stesso tempo crea un dispositivo scenico: una sorta
di piccolo teatro, dove si scoprono dei personaggi, dei
personaggi incontrati e fotografati e che, per accumulo,
finiscono per formare uno spettacolino che diventa la storia
che lo spettatore vuole o non vuole raccontarsi. Quando
fotografo, non penso in termini di ritratti ma piuttosto
a una sorta di costruzione, a un tutto. La mia prima sensazione
è sempre lo spazio e la materia che lo modella, dopo
il personaggio. Uno scenario che ha una vita e un essere,
lui, che ne ha un'altra.
Chris Steele-Perkins (Gran Bretagna)
Slovacchia / 14 libri fotografici,
formato 30x30
Avendo scattato 4000 fotografie, mi è sembrato che
mostrarne un campionario limitato non sarebbe stato rappresentativo
della mie esperienza. Io desideravo che il visitatore errasse
in questa massa di documenti e trovasse la propria strada.
In un certo modo, ho lasciato al pubblico la responsabilità
di effettuare la selezione finale, e questo mi piace. Raggruppando
le foto in libri, secondo generi e archetipi evidenti, gli
facilito il compito. In più, molte immagini interagiscono
con le altre, e questo crea una infinità di racconti
possibili. Per me è un nuovo modo di lavorare, non
ho mai fatto niente di simile prima. Si tratta di una sorta
di gioco di riferimenti incrociati. Alcune immagini compaiono
in tre o quattro libri diversi. La realtà ha aspetti
molteplici e non la si può ridurre ad un archetipo,
sta a noi delimitarne i confini. Ogni immagine può
apparire sotto diversi titoli, è una semplice questione
di punti di vista. È chiaro che le foto descrivono
tutto ma non spiegano niente e, secondo me, questa ambiguità
è quello che costituisce la loro forza. Amo l'idea
che la stranezza delle immagini o la loro assenza di significato
immediato possa manifestarsi.
Donovan Wylie (Gran Bretagna)
Estonia / 39 stampe a colori,
formato 38x50 cm.
Volevo scegliere un paese che fosse simile al mio, l'Irlanda
del Nord: stessa dimensione, stessa popolazione, circondato
da una costa e situato in periferia, ai confini dell'Europa.
Dal momento che l'Irlanda del Nord costituisce la punta
ovest di questo continente, ho scelto di dedicarmi alla
punta est. Non sapevo niente dell'Estonia, ignoravo completamente
la lingua e non conoscevo granchè della sua storia,
a parte gli avvenimenti recenti. Mi era dunque impossibile
rappresentarli. In realtà, non ero a mio agio all'idea
di produrre qualcosa che avrebbe potuto pretendere di essere
un documentario o un qualunque documento.Tutto quello che
potevo fare, lo sapevo, era raccontare la mia esperienza
personale. Cosa si fa quando ci si sveglia in un luogo che
non si conosce? Sono uscito in strada e ad un semaforo rosso
ho visto un tram fermarsi. Delle persone sono scese e, istintivamente,
ho reagito, intrigata dal modo in cui erano abbigliate queste
persone, dal loro fascino. I passanti venivano verso di
me, ed era esattamente quello che aspettavo. Apprezzavo
il modo in cui si svolgevano le cose e quello che significavano.
In effetti, la mia esperienze consisteva nel guardare la
superficie, solo la superficie, come affermazione della
mia propria neutralità. Il marciapiede diventava
la passerella di una sfilata di moda. Osservate le persone,
guardate quello che indossano, le loro scarpe, i loro pantaloni,
le loro camice, le loro acconciature. Guardate gli anelli
alle loro dita. Indirettamente imparate qualcosa sul loro
paese. Ho utilizzato questi dettagli come sintomi di una
realtà più complessa. Questo è probabilmente
anche in rapporto con la mia natura ossessiva. Nella maggior
parte del tempo creiamo quello che vogliamo vedere.
Patrick Zachmann (Francia)
Ungheria / Installazione fotografica
composta da 43 stampe a colori e bianco e nero, diversi
formati, accompagnati da un dispositivo interattivo sonoro
e musicale.
La mia idea era di scoprire l'Ungheria attraverso un personaggio
che avrei incontrato qui prima della mia partenza. Io non
volevo che fosse qualcuno di visivo, che mi liberasse dalle
immagini stereotipate. Quello che non ho immaginato, al
contrario, è il caso che si è presentata,
ovvero incontrare un francese d'origine ungherese, l'editore
e scrittore Adam Biro, che vive qui, che ha ancora dei legami
in Ungheria, che vi ritorna frequentemente, ma che in fin
dei conti conosce molto poco il paese perché l'ha
lasciato all'età di 15 anni. Questo mi ha incoraggiato
a seguire le mie piste. Mi piaceva ugualmente l'idea, un
po' romanzesca, di partire dall'universo di un individuo
e di conoscere il suo paese attraverso i suoi racconti.
Desideravo essere imbevuto di immagini mentali e restituirle
a modo mio. Ho sempre avuto bisogno di ponte, di una ragione,
di un desiderio per andare verso l'altrove. Senza dubbio
per paura dell'altro, vi cerco un po' di me. Avevo un mio
proprio sguardo sull'Ungheria, e volevo incrociare il mio
sguardo con il suo. Talvolta è arrivato come per
magia: avevo un determinata frase in testa, e io incrociavo
all'improvviso un'immagine che le corrispondeva. Talvolta
al contrario, abbastanza spesso, la realtà sembrava
contraddire le sue premesse. Nel rapporto che instauro con
la scrittura, come nel mio utilizzo di differenti formati
fotografici, ci sono un riconoscimento ed una accettazione
dei limiti della fotografia stessa. Voglio introdurre dei
fuori campo, cioè quello che non ho saputo o potuto
fotografare. La fotografia non dice tutto. Ho voglia di
parlare della fotografia, ma paradossalmente, quello che
amo di lei, è il suo silenzio.
© Alex Majoli/ Magnum Photos
Lettonia 2004 |