Contrasto pubblica per la collana In Parole una nuova edizione di Una volta (pp. 400, 24,90 euro) di Wim Wenders, pubblicato per la prima volta nel 1993 e ormai fuori catalogo da tempo. Il libro del regista (qui anche in veste di fotografo e scrittore, sebbene non si sia «mai considerato un vero narratore», ma si sia «sempre visto come qualcuno che si preoccupa di immagini, che siano quadri, disegni, o fotografie») è introdotto da un testo di Leonetta Bentivoglio, seguito da un lungo dialogo fra la giornalista e Wim Wenders, in cui i due ragionano dei temi legati alle immagini e alle parole, al cinema, ai viaggi, all'amore e alla solitudine. «L'impressione», scrive Bentivoglio, «è quella di un racconto teatrale suddiviso in più capitoli, uno dei quali potrebbe fare appello al sempiterno e romantico senso del viaggio che anima la natura dell'inarrestabile viandante Wim».
Una volta presenta più di 300 fotografie di Wenders disposte per sequenze e accompagnate da 60 piccole storie, scritte dal regista stesso, che iniziano tutte con il medesimo incipit: “Una volta”. Testi e fotografie dialogano tra loro in un viaggio straordinario attraversando paesi differenti, durante il quale l’autore ci fa incontrare, prestandoci i suoi occhi e le sue parole, personaggi del calibro di Godard, Kurosawa, Handke, Scorsese e Coppola. I luoghi e i volti fotografati da Wenders e raccolti nel libro anticipano o corrono paralleli ai fotogrammi dei suoi film, ma in alcuni casi costituiscono un autonomo nucleo narrativo, materia di cinema così come di semplice racconto.
Le storie del volume sono brevi istantanee narrative, reliquie del presente o rovine del nostro tempo che non custodiscono memoria né portano tradizione, alcune sono già rovina dalla nascita, come certi interni di locali lungo le highways, o il Dakota con le ali smontate o i drive-in abbandonati che incontriamo sfogliando le pagine del volume. Wenders ci mostra il paesaggio della nostra epoca, luoghi e situazioni dove viviamo i nostri rapporti con gli altri e dove ambientiamo i nostri sentimenti.
Come scrive Wenders, «ogni fotografia, ogni "Una volta" nel tempo, è anche l’inizio di una storia che comincia con “C’era una volta...”. Ogni foto è anche la prima chiave di un film. Spesso poi il momento successivo, i piccoli progressi, il nuovo scatto, l’immagine che segue sono già uno scovare le tracce del procedere di questa storia nel suo proprio spazio e nel suo proprio tempo. Per me in ogni caso il fotografare era diventato “nel corso del tempo” sempre più uno “scovare tracce di storie”.
Perciò in questo libro ci sono più serie di immagini che non immagini singole. In ogni seconda immagine ha inizio il montaggio, si muove la storia che si era annunciata nella prima immagine, il suo senso dello spazio si svolge nella direzione che le è propria, lasciando presagire il suo senso del tempo. Talvolta appaiono personaggi nuovi. Talvolta il presunto protagonista si presenta in un ruolo del tutto secondario. E talvolta non c’è un personaggio di primo piano ma un paesaggio. Credo fermamente nella forza creativa dei paesaggi nell’ambito di una storia. Ci sono paesaggi, siano essi città, luoghi deserti, paesaggi montani, o tratti costieri, che addirittura reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le "loro storie", sì, se le creano. I paesaggi possono essere veramente personaggi e le persone che vi compaiono semplici comparse. […]
E tutto appare sempre e soltanto una volta, e di quell’una volta, la foto fa poi un sempre. Soltanto attraverso la fotografia il tempo diventa visibile, e nel tempo tra la prima fotografia e la seconda appare la storia, che senza queste due foto sarebbe caduta nell’oblio di un altro sempre. Così come io mentre fotografavo volevo perdermi fuori, nel mondo e dentro alle cose, allo stesso modo ora il mondo e le cose scaturiscono dalla fotografia per entrare in me (o in ogni altro osservatore) e là vogliono continuare ad agire. Soltanto “là” nascono le storie, là nell’occhio di colui che osserva».
In altre geografie, e altri tempi, si muove Marcello Geppetti, “il fotografo più sottovalutato della storia”, come lo definisce David Schonauer editore di American Photo nel 1997. Racconta Camilla Macro, custode dell’archivio Geppetti, che «alcuni articoli sul New York Times e sul Newsweek lo paragonano a Cartier-Bresson e Weegee. Due dei suoi scatti (il bacio tra Liz Taylor e Richard Burton e Anita Ekberg che scaglia frecce contro i fotografi) sono stati considerati da ARTH 923 tra le trenta immagini più famose della storia tra quelle di Andy Warhol e Cecil Beaton. Marcello fece i primi passi professionali con l’agenzia Giuliani e Rocca per poi passare successivamente alla Meldolesi-Canestrelli-Bozzer, una tra le più importanti agenzie degli anni ‘50-‘60. È a quel periodo che risalgono le foto angoscianti e disperate di alcune donne che si lanciano nel vuoto mentre l’Hotel Ambasciatori è in fiamme in via Veneto, al centro di Roma.
Geppetti fece parte di quel gruppo di fotografi - di cui lui forse era quello più di assalto - che ispirerà Federico Fellini a creare la figura del paparazzo nel film La Dolce Vita del 1960. Quando l’attività da dipendente gli diventa stretta Marcello Geppetti comincia a lavorare come free-lance, collaborando strettamente per dieci anni con il Momento Sera, uno tra i più importanti quotidiani dell’epoca. Negli anni della Dolce Vita ha scattato foto che hanno fatto epoca, tra cui il primo nudo di Brigitte Bardot e il bacio tra Liz Taylor e Richard Burton ma la sua attività fotografica prosegue incessante attraversando la contestazione studentesca e gli anni di piombo.
Le sue fotografie sono stampate su Time Magazine, Life, Vogue, Donna Karan ed esposte in varie gallerie di Roma, Milano, Londra, Lisbona, Sao Paulo, San Pietroburgo, New York, San Francisco, St.Tropez, Madrid, le sue immagini sono vendute nelle aste di Sotheby’s. L’ultimo scatto è del 27 febbraio 1998. Marcello Geppetti aveva scattato e conservato più di un milione di negativi. Alcune di queste fotografie più che raccontare un’epoca l’hanno costruita, altre sono scatti di grande “purezza”, quasi a cogliere una bellezza percepita più che cercata da Geppetti.
Due esempi su tutti. Il primo è lo scoop che rese pubblica la passione tra Richard Burton e Liz Taylor: non solo li costrinse a divorziare dai rispettivi coniugi e poi a sposarsi dando il via ad una delle storie d’amore più famose del cinema, ma salvò anche la 20th Century Fox dal fallimento perché lo scandalo destato dalle fotografie portò al cinema milioni di persone che volevano vedere i due attori recitare nel film la passione che vivevano nella vita. Il secondo è una fotografia di Audrey Hepburn che fa la spesa da un fornaio. Guarda assorta una briciola di pane sul bancone. Una foto che ti fa chiedere: “A cosa stai pensando Audrey?”.
Dal 2011 è cominciato un percorso di recupero, digitalizzazione e valorizzazione dell'archivio attraverso la Marcello Geppetti Media Company che è sfociato nel 2015 con l’accordo di commercializzazione con il marchio dolceVita GALLERY. Ciò ha consentito l’apertura di una galleria al centro di Roma (www.dolcevita-gallery.com) dedicata alla fotografia degli anni '50 e '60 suddivisa in tre spazi. Il primo, caratterizzato dalle alte volte bianche, è dedicato ai capolavori di Marcello Geppetti. Il secondo, completamente nero, raccoglie un gran numero di fotografie a tiratura limitata. Il terzo è una sala con tavolini, un pianoforte, uno schermo con proiettore, per parlare di fotografia e non solo».