Donata Pizzi e Roberto Nistri
Fotografare persone, ritrarre. Architetti, registi, giornalisti, editori, cuochi, fotografi, scrittori. È ciò che accomuna i lavori di Donata Pizzi e Roberto Nistri. Incontri in giro per il mondo, quelli della fotografa milanese, che dal 2008 al 2009, viaggiando dalla Bielorussia al Brasile, ha fotografato volti ed espressioni (da Carlo Caracciolo a Mario Monicelli, da Letizia Moratti a Valentino Parlato, da Oscar Niemeyer a Ferran Adrià) raccolti in un fotodiario al quale l’Archivio diaristico nazionale ha deciso di dedicare una mostra in occasione del 29esimo Premio Pieve dal titolo felice “Di me, attraverso gli altri”.
© Donata Pizzi, Paolo Mieli e Pierluigi Battista
Come racconta l’autrice, «un avvenimento che innesca una trasformazione, che induce a un viaggio che diventano viaggi, che favoriscono incontri che lasciano tracce, che ispirano fotografie che scatenano riflessioni, che si trasformano in un diario che conduce a Pieve Santo Stefano. È stato in quei giorni, nella prima metà del 2008: ho deciso che avrei iniziato a fotografare ogni giorno. La mia vita stava prendendo una direzione nuova in ogni senso, prevedevo di trascorrere un lungo periodo di tempo altrove, in luoghi lontani dalle rotte turistiche e dai percorsi artistici ed ero certa che avrei incontrato personalità fuori dal comune. Il mio fotodiario è diventato un “lavoro” e come per gli altri ho trovato in questo percorso parallelo un’energia straordinaria. Gli incontri. Gli intrecci. Gli scambi. Un contatto fugace: non è detto che non sia più nutriente, se entri profondamente in contatto con qualcuno. Il mio diario si compone di fotografie che rappresentano una fotografia di me, attraverso gli altri».
© Donata Pizzi, Carlo Caracciolo
«Ho sempre provato una forte attrazione per l’idea stessa di conservazione della memoria, così consona alla fotografia», ha dichiarato Donata Pizzi in un’intervista a Nicola Maranesi, «e in quel momento avevo l’opportunità di offrire un mio contributo, andando alla ricerca di situazioni significative per il mio diario: sono sempre stata un’appassionata e interessata di architettura, andavo in Brasile e mi sembrava impossibile non fotografare un architetto come Oscar Neimeyer che era già ultracentenario. Il diario mi ha dato l’energia per scattare fotografie a questi mostri sacri: se non hai un giornale alle spalle non è facile richiedere e ottenere tempo e attenzione. Ecco, posso dire che se non avessi avuto il mio diario da portare avanti non so dove avrei trovato la sfrontatezza per ottenere certi risultati».
© Donata Pizzi, Oscar Neimeyer
Roberto Nistri ha fatto invece un’operazione di lunga durata, attraverso un progetto partito quasi cinque anni fa: ritrarre alcuni dei protagonisti della narrativa italiana nel loro “habitat naturale”. 99 foto di scrittrici e scrittori (accompagnate da brevi auto-didascalie realizzate dagli autori stessi, che spiegano la scelta della location dello scatto), una mostra dal titolo Nel selvaggio mondo degli scrittori, al Palazzo delle Esposizioni di Roma dall'8 novembre al 1 dicembre. Ecco come il fotografo romano racconta il suo progetto: «Niccolò Ammaniti me l’ha confessato, dopo tanti anni, mentre ci mangiavamo un piatto di spaghetti sulle sponde del lago di Bolsena. “Roberto lascia perdere te, ma io i fotografi proprio non li sopporto. Te li trovi sempre addosso per scattarti una foto magari quando sei stravolto dal caldo, con la camicia inzuppata di sudore, dopo una presentazione affollata…”. Un’avversione, questa, a volte giustificata altre meno, ma che ho capito essere comune a molti di quelli che della parola scritta hanno fatto il loro mestiere. E che spesso è una vera e propria iattura per chi fa il mio, di mestiere, il fotografo. Eppure sono proprio le immagini di Niccolò davanti ai suoi acquari, un’atavica passione che ci accomuna, quella per i pesci e la vita sommersa, ad aver dato in qualche modo inizio al “progetto di lunga durata” di Nel selvaggio mondo degli scrittori.
© Roberto Nistri, Niccolò Ammaniti
Quelle foto, che lo ritraevano in estatica contemplazione delle sue vasche, degli affascinanti panorami subacquei ricostruiti con artistica perizia fra quattro lastre di cristallo ultra chiaro, avevano, infatti, una caratteristica importante, che è diventata poi il filo rosso dell’intero progetto. Piacevano al fotografato almeno quanto al fotografo. Trasformavano un semplice, con tutto quello di estremamente complesso che in realtà comporta la sua realizzazione, ritratto, in una cosa diversa, più intima, più privata, nell’immagine del proprio personalissimo habitat naturale. Perché come sostiene Jim Harrison, autore dell’affascinante Un buon giorno per morire, “un artista, per sopravvivere, ha una sola alternativa: creare un habitat per la sua anima”. Un habitat quindi come rifugio, come dimensione separata, ma poi non sempre, da quello che è la propria professione, o semplicemente un posto, dove sentirsi bene, a proprio agio o che comunque in qualche modo fornisca a se stessi e agli altri un’immagine più sincera, più vera, del proprio io.
© Roberto Nistri, Michele Mari
Chi ha partecipato come spettatore a qualche festival letterario, avrà notato quanto, alcune delle scrittrici e degli scrittori italiani siano amati del loro pubblico di lettori in forme che possono sorprendere chi si aspettasse un’ammirazione distaccata, al massimo affettuosa e si ritrova invece spesso di fronte ad una tifoseria degna di un concerto rock. Con corollario di scroscianti applausi di incoraggiamento e file chilometriche per il canonico libro da autografare. Una dimensione “pubblica” forte, quindi, anche dal punto di vista dell’immagine, che tuttavia quasi mai corrisponde ad un altrettanto interessante produzione fotografica, e qui torniamo a noi.
© Roberto Nistri, Andrea G. Pinketts
Perché se da una parte Nel selvaggio mondo degli scrittori dei suoi protagonisti vuole documentare le passioni più o meno segrete, dall’altra c’è il tentativo, ammetto non sempre riuscito, di provare ad uscire dai cliché di decenni di foto da quarta di copertina, lo scrittore pensieroso con lo sguardo perso nel vuoto tanto per dire. Invece, l’avventura di Nel selvaggio mondo degli scrittori si è faticosamente consumata interamente in location, come si suole dire fra gli addetti ai lavori, fra sotterranei oscuri, boschi e paludi, palestre, stazioni affollate e più convenzionali abitazioni. Producendo un’aneddotica variegata e interessante.
© Roberto Nistri, Erri De Luca
Location: falesie di Ferentillo, Umbria. Sono saldamente imbragato a diversi metri di altezza sulla parete, in attesa che il montanaro Erri De Luca, perfettamente a suo agio in quello che è indiscutibilmente il suo habitat naturale, mi passi davanti per farsi fotografare in action mentre arrampica. Me lo vedo improvvisamente sbucare da dietro una lama di roccia, ma faccio in tempo solo a scattargli una manciata di scatti che a velocità supersonica supera la mia postazione e svanisce lungo il suo esoterico orizzonte verticale. Sconcertato chiedo il bis, che senza fare una piega mi concede. Discesa a testa in giù, risalita ed eccolo di nuovo in parete a farsi immortalare mentre, stavolta con maggiore flemma, sonda la nuda roccia con i polpastrelli imbiancati e resi prensili dalla magnesite.
© Roberto Nistri Giorgio Faletti
Frammenti random di un’avventura conclusasi ufficialmente sulle assi di un palco romano, con Giorgio Faletti che prova le sue canzoni, ma che qualcosa mi dice essere invece aperta a nuovi, e magari inattesi, sviluppi».
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