La grande avventura
Quando il 13 gennaio del 1888 un gruppo di trentatre uomini si incontrò al Cosmos Club di Washington, DC, per discutere come incrementare e diffondere la conoscenza geografica, nessuno ancora pensava che la National Geographic Society sarebbe diventata una delle organizzazioni scientifiche e pedagogiche più famose al mondo. Oggi, a distanza di 125 anni dalla sua fondazione, la mostra fotografica “La grande avventura” (al Palazzo delle Esposizioni di Roma, fino al 2 febbraio) vuole celebrare la storia di questo marchio che negli ultimi anni si è radicato in molti paesi del mondo. E infatti insieme ai 125 anni della Society la mostra festeggia anche i 15 anni di National Geographic Italia.
Robert E. Peary - Canada; 1909 - Probabilmente Robert E. Peary e il suo assistente non raggiunsero il Polo Nord
nel 1909, ma di certo si avvicinarono come nessun altro prima.
Tra imprese memorabili e personaggi leggendari, tra ricerca in laboratorio e spedizioni nei luoghi più sperduti del Pianeta, tra le culture di grandi popolazioni e quelle di tribù sconosciute, tra la bellezza della vita animale e di quella vegetale, tra l’impegno per la conoscenza e quello per la salvaguardia di Madre Terra, “La grande avventura” ripercorre le tappe di un lungo viaggio. Dentro l’inconfondibile cornice gialla della rivista sono state raccontate vicende epiche: la scoperta leggendaria della città perduta di Machu Picchu, l’avventurosa spedizione di Robert Peary al Polo Nord, gli incontri memorabili tra Jane Goodall e gli scimpanzé, le straordinarie imprese sottomarine di Jacques Cousteau e James Cameron.
Hugo Van Lawick - Tanzania, 1964 - Guardando questo gesto semplice tra Jane Goodall e il piccolo Flint
si potrebbe pensare che il mondo sia un’unica grande famiglia.
Attraverso le immagini dei suoi più grandi fotografi, la mostra ripercorre i momenti più importanti della storia della Society. Dai primi scatti fotografici apparsi sul magazine ai giorni nostri, con l’evoluzione della comunicazione e delle tecnologie che grazie a Internet e alla Tv garantiscono oggi un seguito di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, di cui trenta milioni di lettori del magazine e oltre un milione di lettori e "navigatori" in Italia. Ma se è cambiata la comunicazione, la Society non ha cambiato invece il suo obiettivo, la propria missione: esplorare il Pianeta e diffondere una maggiore consapevolezza dell’uomo nei suoi confronti. La mostra farà conoscere e capire da vicino l’impegno e la professionalità del lavoro della comunità di persone - fotografi, giornalisti, impiegati, tecnici, ricercatori, scrittori - della National Geographic Society.
Joanna Pinneo - Mali, 1997 - Coperta da un velo di sabbia proveniente dal letto asciutto di un lago,
una famiglia fa un sonnellino in pieno pomeriggio
Di seguito, riproduciamo l’introduzione del curatore della mostra, Guglielmo Pepe, dal titolo Un ponte sul Mondo: «Poter gettare ponti che scavalchino millenni, continenti, civiltà, raggiungere esseri umani che lingue, scritture, leggi, costumi, fedi diverse parrebbero dividere inesorabilmente da noi, e scoprire invece che ci sono similissimi - quasi dei fratelli - ecco un insigne piacere”. Prendo a prestito le parole di Fosco Maraini, scrittore, fotografo, viaggiatore-pellegrino, etnologo, perché si avvicinano molto più di altre alla mia idea di National Geographic. Perché se è vero che la Society ha offerto a milioni e milioni di persone l’occasione di scoprire il Mondo nella sua immensità, credo che il più significativo contributo riguardi la possibilità di conoscere direttamente tutti i viventi della Terra. E in primo luogo le genti. Grazie al magazine - unico nel suo genere perché racchiude al suo interno più riviste - sono entrato in contatto con donne, bambini, vecchi dei luoghi più diversi. Ho appreso storie, culture, modi di vivere - e di sopravvivere - leggendo reportage bellissimi e guardando fotografie straordinarie.
Eliza Scidmore, Giappone 1900 circa - Le fotografie del Giappone colorate a mano venivano fornite alla rivista, che aveva iniziato a
pubblicare questo tipo di immagini due anni prima, da Eliza Scidmore
Molti, forse i più, ritengono NG una rivista di fotografia. Sì, lo è. Ma solo in parte. Perché mensilmente pubblica articoli di studiosi, ricercatori e giornalisti, di prima qualità. Che mi hanno aiutato anche a conoscere i più vari ambienti naturali e a capire la vita animale, le particolarità degli habitat, la bellezza e le difficoltà di tante specie, alcune delle quali rischiano l’estinzione. Attraverso pagine intense sono stato coinvolto da un inesauribile racconto del Pianeta che, insieme ai “servizi” sulla ricerca, sulle esplorazioni, sulla scienza, rappresenta l’anima più appassionante, più profonda di un periodico che, nell’era tecnologica dell’informazione in tempo reale, è ancora in grado di stupire e di meravigliare i lettori. E di emozionare.
Michael Nichols - Parco nazionale del Semien, Etiopia, 2002 - Il babbuino Gelada, che di solito si accontenta di mangiare
l’erba delle praterie, ha comunque due canini decisamente pronunciati.
Con “La grande avventura” cerchiamo di riportare al maggior numero di persone questa essenza di National Geographic. La mostra - realizzata come sempre con l’apporto fondamentale, operoso e creativo della redazione - è diversa dalle cinque precedenti, perché non è soltanto di immagini: è più un’esposizione fotografico-storica, che farà partecipare i visitatori a un “viaggio” iniziato 125 anni fa a Washington, e continuato in tanti paesi di ogni continente.
Hiram Bingham - Perù, 1912 - Pochi luoghi nel mondo erano più spettacolari del Machu Picchu,
soprattutto dopo che un esercito di indigeni armati di machete aveva eliminato la vegetazione che ostruiva la vista al fotografo.
Seguendo un percorso narrativo semplice e chiaro (125 scatti, pannelli espositivi, cover della rivista, schermi televisivi, touch screen), potrete verificare perché quando parliamo di NG ci riferiamo a una “grande avventura”. Affiancata da un’avventura più breve, comunque significativa: i 15 anni dell’edizione italiana della rivista. Perciò più che un catalogo, quello che avete tra le mani somiglia a un libro di storia: con immagini e parole focalizza momenti salienti, tappe importanti, volti significativi, protagonisti umani e animali. E se riuscirete ad apprezzare il lavoro svolto, sarà anche merito del Palazzo delle Esposizioni di Roma che per la sesta volta mette a disposizione i suoi preziosi e affascinanti spazi per un evento culturale di National Geographic.
Joseph Rock - Choni, Tibet, 1926 - Prima del sesto giorno della sesta luna i monaci suonano corni lunghi oltre quattro metri
per sollecitare i lama a prepararsi per l’antica danza chiamata Chamngyon-wa.
Non so se vedendo la mostra potrete cogliere un altro messaggio. Ma c’è, ed è questo: noi siamo gli esseri più intelligenti del Pianeta, però non i migliori. Dobbiamo avere maggior rispetto nei confronti degli altri esseri viventi, perché il destino di Madre Terra è in primo luogo nelle nostre mani. Non ci è permesso di ignorare, o fingere di ignorare, che non siamo i padroni. Ricordiamoci che il patrimonio che abbiamo a disposizione non è inesauribile. Dunque se dopo la mostra vedrete con occhi diversi - più empatici, più comprensivi - tutte le specie viventi, sarà missione compiuta. E vorrà dire che la speranza di avere un mondo migliore è ancora viva».
La cover del catalogo della mostra