I vincitori del Tim Hetherington Grant e del Travel Photographer of the Year
World Press Photo e Human Rights Watch hanno annunciato l’assegnazione della seconda edizione del Tim Hetherington Grant, istituito per celebrare l'eredità del fotoreporter e filmmaker ucciso in Libia nel 2011, al fotografo spagnolo Fernando Moleres. La sovvenzione annuale di 20 mila euro, destinata a sostenere un fotografo per il completamento di un progetto sul tema dei diritti umani, è stata data a Moleres per il suo progetto intitolato Waiting for an opportunity (per saperne di più sul progetto e la sovvenzione: www.worldpressphoto.org).
Segnaliamo anche l’assegnazione di un altro premio, l’annuale edizione del Travel Photographer of the Year (quest’anno hanno partecipato al premio fotografi provenienti da oltre 90 paesi) al fotografo britannico Craig Easton; tutti gli scatti premiati, nelle diverse categorie, sono ora presenti sul sito (www.tpoty.com) e saranno esposti a Londra presso la Royal Geographical Society dal 12 luglio al 18 Agosto 2013.
Galleria Carla Sozzani. Un libro, una mostra
Una galleria si racconta, fino al 10 febbraio, a Milano. Con una mostra e un libro, con testi di Giuliana Scimé, che ne raccontano la storia attraverso le immagini di ventidue anni di appassionata attività. Carla Sozzani nell’anniversario dei suoi vent’anni di galleria desiderava pubblicare un volume che ne scandisse il viaggio nell’avventura della fotografia: 1990 (anno d’inaugurazione) 2010. Il volume cresceva, tante erano state le mostre e tutte importanti, gli autori e le immagini. Il tempo trascorreva e il traguardo del 2010 fu superato, così si arrivò all’anno seguente e ancora un anno, 2012. Nel 1990, la galleria è in divenire. In maggio, Kris Ruhs progetta la sua prima installazione in armonica aderenza con quei muri ancora in nudo cemento. Nella mostra attuale, lo spazio centrale è dominato da un’opera di Kris Ruhs e lungo le pareti si snoda la storia per immagini della galleria. Per ogni anno, in parallelo con il libro, sono stati selezionati alcuni autori significativi: Louise Dahl-Wolfe, Carlo Mollino, Man Ray, Lilian Bassman, Horst P. Horst, Helmut Newton, Steven Meisel, Irving Penn, Bert Stern, Sarah Moon, Julius Shulman, Francesca Woodman, Mario Cravo Neto. Anticipazioni, rivelazioni, conferme, celebrazioni. L’attenzione costante, la cura, la fantasia e l’amore di una gallerista, meglio di una donna che ha trasformato una passione privata in un bene per tutti. Il libro è di complessive 604 pp., formato 24 x 30 cm, 300 immagini in bianco e nero e 41 a colori, 2 volumi con custodia cartonata, edizione limitata e numerata, 180 euro.
Parlami di te. Dialogo di immagini e parole tra generazioni
Hai una storia da raccontare? Hai tra i 18 e i 100 anni? Quattro giovani artisti (Claude Marzotto, Ilaria Turba, Giulia Ticozzi, Tiziano Doria) ti guideranno in una serie di workshop per creare insieme dei libri fotografici unici nel loro genere. Porta con te fotografie, testi e ricordi che conservi gelosamente per trasformarli con noi in una nuova storia. Un percorso che nasce dal forte background del Museo di Fotografia Contemporanea e si articolerà durante il 2013 con otto workshop gratuiti, la possibilità per il pubblico di interagire durante il progetto, un ciclo di incontri con importanti personalità di spicco della scena culturale italiana.
Un progetto che nasce dall’idea di coinvolgere il pubblico sulla pratica artistica del riutilizzo di materiali già esistenti - pratica ispirata ad una tecnica già sperimentata dall'artista Joachim Schmid, in mostra presso il Museo di Fotografia Contemporanea da dicembre 2012. Fra gli obiettivi anche la realizzazione di una collana di libri autoprodotti in copia unica, ogni artista infatti lavorerà su un tema specifico durante due giorni di incontro con il proprio gruppo di lavoro, che attraverseranno i temi delle relazioni interpersonali e il dialogo tra generazioni. La costruzione di un racconto seguirà tutte le fasi del processo creativo: dall'ideazione, alla progettazione fino alla realizzazione. Forte il contributo del pubblico e della rete: per l’intero progetto sarà infatti possibile visionare i progetti su una piattaforma online o presso la postazione allestita al Centro culturale Il Pertini di Cinisello Balsamo. Il dialogo che nascerà dai commenti, dai contributi e dal punto di vista del pubblico costruirà il racconto collettivo del progetto. La partecipazione ai workshop è gratuita previa iscrizione obbligatoria.
Info e iscrizioni ai workshop: progetto.parlamidite@gmail.com, www.parlamidite.org.
Genealogie, tra Palladio e l’Africa
Genealogie / Genealogies, la prima mostra a essere ospitata nel Palladio Museum di Vicenza (fino al 31 marzo), racconta attraverso lo sguardo del fotografo americano Max Belcher il palladianesimo inconsapevole degli schiavi neri liberati dai campi di cotone nordamericani che, tornati in Africa, ricostruirono "a memoria", con materiali locali, le ville dei propri padroni (nel Seicento la villa palladiana migrò nelle campagne inglesi per attraversare l'Atlantico e trasformarsi nelle plantation houses di "Via col vento").
Fra il 1816 al 1847 diverse organizzazioni nordamericane favorirono l'emigrazione di neri americani liberi, o liberati a patto che lasciassero gli Stati Uniti, verso la Liberia. Diciassettemila coloni (afro)americani vi fondarono nuovi insediamenti. I nuovi arrivati tentarono di influenzare le popolazioni indigene. Essi riproposero almeno in parte i modi insediativi delle comunità americane: organizzazione sociale, pratiche di sepoltura, toponomastica. Ma fu soprattutto l'architettura a diventare un modo per imporre il proprio dominio culturale sulle comunità locali. Gli afroamericani rifiutarono la tipologia a pianta circolare delle case degli indigeni e riprodussero le case a pianta rettangolare, timpani, portici frontali e posteriori tipiche delle ville neopalladiane nelle piantagioni americane. Portarono in Africa la propria conoscenza/esperienza in fatto di costruzione edilizia, tecniche, materiali: all'inizio costruirono case in legno, poi chi poteva permetterselo impiegò mattoni e pietra sia per questioni di status che di maggiore resistenza alle condizioni climatiche locali. Il lavoro di Max Belcher racconta questa storia di migrazioni di idee e architetture fra una sponda e l'altra dell'Atlantico.