Narrazione per immagini
Tre anni, tre mesi e una manciata di giorni fa, il primo numero di Rearviewmirror andava in stampa. Era l’autunno 2009, una stagione di drammatica contrazione del mercato editoriale, un momento storico in cui fare una rivista cartacea sembrava un’impresa di spericolata ingenuità. Eppure, dall’azzardo di un editore coraggioso, Claudio Corrivetti, e dalle energie di un gruppo di persone con formazioni e vocazioni differenti (ma tutte amanti della narrazione per immagini) nasceva - con l’ambizione di diventare un territorio in cui la fotografia fosse pubblicata e analizzata con un respiro, un approfondimento e uno spazio diverso da quello che le destinavano i magazine generalisti - una nuova rivista.
© Photo courtesy of Frieke Janssens dalla serie Smoking Kids cover di RVM#9
Fin dai nostri primi passi, l’orizzonte con cui abbiamo voluto confrontarci è stato quello internazionale, dove abbiamo trovato ispirazioni - in photomagazine come Foto8, Foam, Private, Ojo de Pez, che molto prima di noi avevano cominciato il loro prestigioso percorso - e ideali compagni di viaggio: nel nostro stesso anno, sono nati nuovi e interessanti esperimenti come Piel De Foto in Spagna e Lay Flat negli Stati Uniti, segno che, proprio in uno dei momenti economicamente più difficili per l’editoria, qualcuno, come noi, ha avuto voglia e bisogno di immaginare la relazione tra fotografia e carta stampata in un modo diverso.
© Photo courtesy of Richard Barnes dal progetto Animal Logic pubblicato su RVM#9
Siamo partiti con le idee molto chiare - pubblichiamo fotografia documentaria - ma poi, come sempre accade quando si cresce, abbiamo cominciato a porci delle domande: dove finisce il confine della documentazione e inizia quello della creazione nell’Era Photoshop? Dove corre la linea di demarcazione tra un fotografo e un artista che usa la fotografia come strumento? Cos’è fotografia e cosa non lo è nell’Era Facebook, quando il privato fotografico diventa pubblico e pubblicato? Come si autodetermina una fotografia libera (e orfana) dalla committenza dei giornali? Abbiamo imparato il valore dell’incertezza, e la sostanza e i confini della nostra ricerca sono cambiati attraverso il tempo.
Dai nostri dubbi, costruttivi, è venuto fuori un magazine con un’identità fluida: che sa quello che vuole, ma che è aperto a stupirsi. Un magazine che pone delle domande, più che dare delle risposte: e proprio una domanda, che poniamo ai lettori, a noi stessi e ai fotografi, è il nostro tema, traccia che unisce i progetti pubblicati, ideali risposte al nostro interrogativo. Quello che, nel nostro percorso di cambiamento, non ha mai smesso di interessarci, è una fotografia che sappia raccontare il contemporaneo e reinventare il contemporaneo, interpretandolo attraverso codici e simboli nuovi. Una fotografia fortemente caratterizzata in senso autoriale, dove il linguaggio sia usato in maniera estremamente consapevole, dove ogni scelta estetica sia funzionale al racconto di un determinato soggetto, dove l’intera progettualità sia sorretta da una scrittura solida, articolata in modo coerente.
Allo stesso tempo, ci è sempre stata a cuore l’idea di disconnettere quella che, a nostro parere, è la dialettica sbilenca tra testo e immagini che caratterizza i magazine generalisti, in cui la fotografia finisce con l’essere mera illustrazione del testo o il testo mera didascalia dell’immagine. Ciò che abbiamo provato a fare è un photomagazine nel quale foto e testo abbiano un dialogo alla pari, arricchendosi l’un l’altro: abbiamo cercato dei contributi narrativi, dei veri e propri racconti, in grado di caricare di sensi nuovi le immagini senza appiattirsi su di esse, di farle respirare, senza forzarne il senso ma aprendole, piuttosto, a sensi imprevisti.
Cos’è oggi, a dieci numeri dalla sua nascita, RVM? È un quadrimestrale di fotografia documentaria narrativamente orientata. Una rivista-libro che, fin dal formato, invita a una fruizione intima, attenta. Un magazine che, pur restando fieramente di carta (perché a noi piace la dimensione tattile della fotografia) cerca un’interazione con il web. L’immagine della nostra cover apre infatti una finestra sulla rete: è lì che, sul nostro sito (rearviewmirror.it), i lettori trovano la cover story, insieme a contenuti ulteriori. A L’altra cover (ideale cesura tra la parte inglese e la parte italiana della rivista) affidiamo invece il compito di fare da tramite con il blog (rvmmagazine.wordpress.com), update quotidiano su tutto quello che riguarda il magazine e i fotografi che vi hanno collaborato.
Retrospettiva Ackerman
Ancora, RVM è un photomagazine che cerca di accompagnare i lettori in una riflessione sulle nuove forme della fotografia: per questo abbiamo creato iRVM, sezione che esamina - nella consapevolezza che la storia della fotografia è anche la storia di nuove tecnologie e strumenti - le potenzialità autoriali dell’iPhone-photography. Per questo abbiamo lanciato il nostro contest Brand New Talent, dedicato a fotografi che non hanno ancora mai pubblicato il loro lavoro: perché siamo fieri di essere i primi a credere in qualcuno e a dargli uno spazio. Ma se lo sguardo è declinato al futuro, la prospettiva su quanto si muove oggi e su quanto è accaduto ieri è, secondo noi, indispensabile all’approfondimento: continuando a fare perno sulla chiave della domanda, RVM offre, nella sua seconda parte, una serie di interviste per aprire un confronto con la storia, col mercato e con gli autori più interessanti.
© Photo courtesy of Nicolas Dhervillers dal progetto My sentimental Archive pubblicato su RVM#9
In due parole, apparentemente in conflitto, RVM è un oggetto, cioè una cosa che resta - per essere conservata, collezionata, riguardata - e un progetto, cioè un percorso aperto, in costante evoluzione. Nella speranza di lasciare una utile mappa dei mutamenti di un linguaggio in continuo fermento. Una traccia dei mutamenti del nostro sguardo e di quello di chi ci accompagna.
© Photo courtesy of Matt Eich dal progetto Family Tree pubblicato su RVM#9