Dal 7 settembre al 31 ottobre, Pordenone ospita Il Paesaggio Italiano in Fotografia, 1950 – 2000, una mostra – a cura di Walter Liva – che ritrae il paesaggio italiano degli ultimi cinquant'anni del ventesimo secolo, evidenziando le differenti scuole di pensiero e proposte realizzate: dai pittorialisti come Riccardo Peretti Griva, Silvio Maria Bujatti, Renzo Pavonello, lo Studio Giacomelli di Venezia, Riccardo Moncalvo, ai fotografi vicini all'estetica crociana come Giuseppe Cavalli, Ferruccio Leiss, Federico Vender, Piergiorgio Branzi, Giuseppe Moder, Raffaele Rotondo, quelli de La Gondola come Gianni Berengo Gardin, Elio Ciol, Lucia Sisti, Gino Bolognini, Toni Del Tin, Fulvio Roiter, Giuseppe Bruno, Giorgio Giacobbi, Sergio Del Pero, Manfredo Manfroi, Paolo Monti, i neorealisti come Gianni Borghesan, Luigi Crocenzi, Giuseppe Palazzi fino a Carlo Bevilacqua e Pietro Donzelli e altri autori come Bruno Stefani, il grande paesaggista del Touring Club Italiano e, attivi dagli anni ´60, Uliano Lucas, Carlo Cosulich, Carla Cerati, Ezio Quiresi, Toni Nicolini, Carlo Leidi, Ugo Mulas che fotografò le Cinque Terre per conto di Luigi Crocenzi che aveva "sceneggiato" la poesia di Eugenio Montale Meriggiar pallido e assorto e quindi due maestri tra i più importanti di tutto il Novecento: Mario Giacomelli e Franco Fontana.
Francesco Radino, Capri, 2003
A partire dalla critica della "visione cartolinesca" si avvia il nuovo viaggio in Italia di Luigi Ghirri come emergono i paesaggi marginali, rappresentati da Guido Guidi, Marina Ballo, Isabella Colonnello, Vincenzo Castella, Andrea Abati, Gianantonio Battistella; i paesaggi interpretati da fotogiornalisti come Vittoriano Rastelli, Giorgio Lotti; Piero Raffaelli, il viaggio come scoperta di un territorio di Mario Cresci e Francesco Radino; poi il paesaggio fantastico di Luca Maria Patella e di Mario Sillani Djerrahian e la città invasa dalla pubblicità di Roberto Salbitani, la bellezza del Mediterraneo e la sua ricchezza culturale di Mimmo Jodice, Giuseppe Leone, Ferdinando Scianna, George Tatge, Marcello Di Donato, sino alla dimensione urbana di Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Luca Campigotto, Marco Zanta, Rosangela Betti e Cesare Colombo.
Una parte dei fotografi italiani ha proseguito invece nella ricerca più tradizionale della bellezza del paesaggio come Davide Camisasca, Alberto Tissoni e Luca Gilli. Antonio Biasiucci ha rappresentato invece la forza della natura mentre elementi di storia dell'arte e di memoria dei luoghi sono stati introdotti da Vasco Ascolini, Cesare Di Liborio, Valerio Rebecchi, Stefano Cianci, Paolo Simonazzi, Bruno Cattani, Giovanni Ziliani. In ultimo, la mostra presenta la nuova visione del paesaggio oramai frammentato proposta da autori come Brigitte Niedermair, Massimo Vitali, Moreno Gentili, Rosa Foschi, Fulvio Ventura, Marco Signorini, Massimo Crivellari, Maurizio Bottini, Maurizio Montagna, Andrea Botto, Valerio Desideri, Marco Campanini e Maurizio Chelucci, Miranda Gibilisco. Infine, Gianluigi Colin ci riporterà indietro nel tempo, all'epoca di Piero della Francesca.
Franco Fontana
Per Walter Liva, «nella storia dell'arte – da Aristotele in poi antropocentrica – il paesaggio apparve relativamente tardi. Fu infatti solo nel Rinascimento che Leon Battista Alberti nel suo De Pictura descrisse scientificamente la prospettiva e di conseguenza si aprì al mondo la rappresentazione della città, delle sue forme e geometrie, mentre nel ´600 il geniale Lorenese (Claude Lorrain) rappresentò il paesaggio ideale, tra classicismo delle rovine romane e il naturalismo di impronta nordica. La fotografia, sin dalle sue origini guardò alla rappresentazione del paesaggio, ancor più con l'affermarsi del Grand Tour e delle avventure coloniali, offrendo una rappresentazione verosimile di luoghi per lo più sconosciuti e solo immaginati». Di seguito, proponiamo la parte introduttiva del testo (sull'apparire del paesaggio nell'arte occidentale) preparato per il catalogo della mostra e il suo finale.
Brigitte Niedermair, 18.20 Mai Venezia Fenice Zauberfloteauf dem Weg, 2009 |
Fulvio Roiter
Venezia 2006 |
«Fino alla scoperta della prospettiva da parte di Filippo Brunelleschi e alla codificazione delle regole prospettiche nel De Pictura di Leon Battista Alberti, tra il 1434 e il 1436, l'arte occidentale fu essenzialmente antropocentrica: le episodiche raffigurazioni della città (veduta) e dell'ambiente naturale (paesaggio) si consideravano sfondo dell'agire umano, diversamente dall'Oriente dove, già al tempo della dinastia cinese Han (206 a.C. – 220 d.C.), i pittori iniziano a rappresentare lo spazio e la distanza nei paesaggi. Per l'Occidente, si tende a individuare l'introduzione del concetto di paesaggio nella Lettera in cima al Monte Ventoso del Petrarca, in cui compare una descrizione estetizzante della natura tratta dalle Confessioni di Sant'Agostino: "E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l'immensità dell'oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi". Si trattava tuttavia, come hanno riconosciuto pressoché unanimemente gli storici e i ricercatori, di una descrizione simbolica coerente alla rappresentazione letteraria della natura propria del Medioevo.
Gabriele Basilico, Milano, 1998 |
Olivo Barbieri, 1988 |
In Before Photography, testo sull'origine culturale della fotografia, Peter Galassi ha sottolineato come fu il Lorenese a evocare prospetticamente la natura, attraverso la contestualizzazione della bellezza delle rovine, specchio della classicità dell'arte e del mito. Allo stesso tempo, "la prospettiva era considerata solamente uno strumento per costruire immagini a tre dimensioni, partendo dal bidimensionale. Soltanto molto più tardi tale concezione fu sostituita – seguendo l'intuizione comune – dal suo opposto: trarre un'immagine dichiaratamente piatta partendo da una realtà che è tridimensionale".
Julien Gracq in Carnets du grand chemin afferma: "Si dice che il XVI secolo sia il secolo in cui è nato il paesaggio moderno […] si è scritto molto sulla nascita della percezione paesaggistica della superficie della Terra […] si è molto parlato del ruolo della pittura nella sistemazione dello sguardo paesaggistico. Come se in fondo la Terra fosse diventata paesaggio nel momento in cui si era iniziato ad osservarla come una pittura, o a vederci una pittura […] si è anche situato il luogo di nascita del paesaggio da qualche parte tra le Fiandre e l'Italia, o forse lungo la strada […]. Il paesaggio, la Terra come paesaggio sono sorti in quel momento e in quel luogo preciso in cui, davanti al viaggiatore che avanzava sulla strada […] la superficie della terra si è aperta, si è estesa a poco a poco e indefinitamente come uno spazio che invitava alla scoperta […] è possibile quindi considerare il paesaggio in primo luogo come uno spazio di un genere particolare in cui si è elaborato un certo tipo di esperienza umana".
Gianluigi Colin, Da Piero della Francesca, Leggenda della vera croce, il ritrovamento delle tre croci - August Sander, giovani contadini, 2004 (Collezione dell’Autore) 178,6 x 125 cm, Tecnica mista
I paesaggi descrivono il mondo nei suoi dettagli geografici e manifestano le diverse modalità di utilizzare storicamente lo spazio da parte dell'uomo per il quale la "profondità dello spazio è una dimensione esistenziale". In effetti, i presupposti estetici di Claude Lorrain "che per la prima volta fece aprire gli occhi sulla sublime bellezza della natura" così come quelli del suo connazionale Nicolas Poussin che "aveva bisogno della bellezza delle statue classiche per riuscire ad esprimere la propria visione di remoti mondi di innocenza e di solennità", andavano ricercati nell'interpretazione classicista della natura, già presente nei bolognesi Annibale Carracci e Domenichino e sviluppata poi con il vedutismo statico del Guardi, di Canaletto e Van Wittel. Lorrain morì a Roma nel 1682 e venne sepolto nella chiesa di Trinità dei Monti. L'epitaffio sulla sua tomba recita: "Rappresentò in modo meraviglioso i raggi del sole all'alba e al tramonto". Il fascino e la profonda influenza del paesaggio di Lorrain e l'equilibrio tra reale e ideale, si manifestò con tutta evidenza in molti successori, tra cui Turner e gli Impressionisti, mentre l'approssimazione scientifica moderna ai problemi del paesaggio nacque dagli studi di Alexander von Humboldt, che chiamò "paesaggi" gli insiemi di elementi naturali e umani comprendenti terre, acque, piante e animali, intuendo altresì la presenza di una "logica" (il Divino) che ne sottendeva l'organizzazione, i legami reciproci e il perenne divenire.
Alexander von Humboldt, dopo il viaggio in Amazzonia del 1799, disegnò e descrisse lo spettacolo della natura, non più considerata semplice sfondo delle opere d'arte, ma soggetto principale. La fotografia del paesaggio naturale americano dell'Ottocento, il paesaggio mitico, documentato con le spedizioni dell'US Geological and Geographical Survey of the Territories, la rappresentò in modo esemplare. La fotografia introdusse infatti nell'estetica romantica non solo il racconto, ma anche la corrispondenza visiva dell'immagine da consultare con l'immagine da contemplare.
Mario Giacomelli, Paesaggi, 1956 - 1970
John Ruskin aveva "scoperto" nel 1842 Turner, il pittore della luce, dopo che la famiglia aveva iniziato da qualche anno a collezionare suoi acquerelli: Turner elevò l'arte della pittura paesaggistica a un livello tale da poter competere con la più considerata pittura storica, affrontando in modo organico la questione del paesaggio naturale, che entrò in questo modo a far parte dell'immaginario collettivo. In quegli anni si aprì anche la dialettica tra la nascente fotografia e le "arti visive nobili" ribadita poi da Peter Henry Emerson, grande ammiratore della scuola di Barbizon, che nel 1887 incoraggiò anche il giovane Alfred Stieglitz nella sua teorizzazione degli equivalenti nella percezione naturale.
I pittori che tra il 1830 e il 1870 si ritrovavano nella cittadina di Barbizon, non lontana dalla foresta di Fontainebleau, associarono il paesaggio allo stato d'animo perseguendo non tanto l'idealizzazione della natura, quanto la ricerca di un'autenticità e di un'ispirazione sincera, di fronte alle infinite suggestioni offerte dal creato. Scrisse difatti Constable che "il compito del pittore non è di competere con la natura e ridurre questa scena […] su una tela che misura pochi pollici, ma di creare qualcosa dal nulla; e in questo tentativo quasi necessariamente egli si farà poeta".
[…]
Luigi Ghirri, Alpe di Siusi, 1979
Alan D. Coleman, in un suo noto saggio, ha sostenuto la tesi per cui fu Galileo Galilei che "osservando quel giorno il cielo stellato attraverso una lente composta (e più precisamente, il significato che questi attribuì alle informazioni acquisite in quel modo) trasformò il punto di vista del mondo della società occidentale, demolendo il modello geocentrico tolemaico del sistema solare, e fece di Galileo il patrono […] del telescopio […]. Fu questa la prima volta che le concezioni fondamentali della nostra cultura vennero rielaborate completamente alla luce delle conoscenze acquisite per mezzo della lente": così culture, concetti consolidati nel tempo sparirono, sostituiti da un altro punto di vista, da un'altra concezione che attribuiva nuovo significato alle informazioni.
Ecco allora che il passaggio contemporaneo della fotografia da chimica a digitale e più in generale delle contaminazioni tra le arti, mette in essere una riflessione complessiva, sia per gli aspetti tecnologici sia creativi. La società contemporanea sopprime, oltre che l'etica, anche i limiti dell'estetico spostando gli universi simbolici nella techne, cioè in un labirinto (oggi informatico) che, al pari dell'antica tradizione minoica, acquista il significato di cammino verso la luce, la conoscenza. E solo il saggio e l'eroe possono ritrovare tale passaggio. Allo stesso tempo, siamo parte di un'era geologica nella quale le attività dell'uomo costituiscono i principali fattori delle modifiche climatiche e ambientali. L'effetto sul pianeta è stato e sarà tale da poter essere commisurato a una delle epoche glaciali o all'impatto di una cometa».
Luca Campigotto
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