Luigi Ghirri (Scandiano 1943-Roncocesi 1992) è stato sicuramente uno dei massimi fotografi del Novecento, non solo italiano. In poco più di vent'anni ha realizzato centinaia di migliaia di immagini, concepito ricerche, ha, soprattutto, cambiato sensibilmente il modo di vedere la realtà che ci circonda. Uno degli aspetti meno conosciuti della sua attività è stato l'insegnamento universitario: quando inizio ad essere chiamato ad insegnare all'Università di Parma invitato da Arturo Carlo Quintavalle (dal 1987) e poi (1989, 1990) all'Università del Progetto di Reggio Emilia (istituzione ideata dall'amico Giulio Bizzarri con pochi altri) Ghirri era un grande autore, ma sicuramente non apparteneva ad alcuno Star System dell'immagine. Per fortuna Bizzarri ebbe la percezione precisa dell'importanza di quell'insegnamento, dell'importanza che potevano avere quelle lezioni, quelle conversazioni tenute a gruppi di studenti, e dispose di registrare meticolosamente tutto.
Luigi Ghirri - Versailles 1985
Dopo vent'anni, con l'aiuto della Provincia di Reggio Emilia, viene finalmente pubblicato il libro che contiene quell'esperienza: la trascrizione fedele delle lezioni, le immagini da lui utilizzate nei corsi, le esercitazioni degli studenti. Lezioni di fotografia (a cura di Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro, con uno scritto biografico di Gianni Celati, Quodlibet, pp. 272, 155 illustrazioni a colori, euro 22) è un libro singolare, una sintesi rara - oggi come allora - tra Storia della Fotografia, trasmissione delle sapienze tecniche, dichiarazione poetica, riflessione globale sull'immagine. E tutto molto autoriale, e tutto di una semplicità e profondità stupefacenti. Chi lo ha conosciuto riconoscerà subito il modo di argomentare apparentemente sfilacciato ma alla fine stringente, veramente come sentire la sua voce mentre mangia le parole rendendo benissimo i pensieri; chi non ha avuto modo di incontrarlo scoprirà una dimensione differente della sua opera, alla fine più semplice di quanto ha scritto tanta critica, ma tanto più profonda.
Luigi Ghirri |
Il libro procede seguendo l'andamento degli incontri, scandendo gli argomenti divisi per capitoli ricavati dai suoi discorsi: Una passione un po' dilettantesca, Dimenticare se stessi, Ricerche, Macchine, Esercitazione, Esposizione, “Non è venuta come vedevo”, Storia, Trasparenza, Soglia, Inquadrature naturali, Luce, Inquadratura e cancellazione del mondo esterno, Immagini per musica. Sono state inserite le immagini a cui si fa riferimento: si tratta di immagini delle sue fotografie, immagini della storia dell'Arte e della Fotografia: un testo parallelo a quello delle parole, di pari interesse. È stato poi integrato un apparato di note che consentano di approfondire, situare meglio alcuni passaggi di quelle parole volanti. Il libro è chiuso da Ricordo di Luigi, fotografia e amicizia, scritto dall'amico scrittore e compagno di strada Gianni Celati.
Sguardi propone - di seguito - alcuni brevi estratti dal ricordo di Celati, seguiti da estratti più consistenti delle lezioni di Ghirri.
Gianni Celati
«L'atlante - scriveva - è il libro che ci permette di trovare dove abitiamo e dove vorremmo andare, seguendo dei segni sulla carta, come quando leggiamo». […] E aggiungeva: «Il viaggio sulla carta geografica, caro a molti scrittori, credo sia uno dei gesti mentali più naturali in tutti noi, fin dall'infanzia…». […] Il suo atlante fotografato è uno tra i più affettuosi omaggi alla nostra facoltà di lettura. La lettura come un luogo di meraviglie, che non serve a catturare il mondo, ma serve per immaginarlo… Come quando da bambini immaginavamo i posti lontani su una carta geografica. […] Quest'uomo che faceva l'elogio della normalità, in realtà era un anarchico, Era uno che non accetta… Non accetta cosa? Non accetta la cecità di tutti quelli che, oculisticamente parlando, ci vedono benissimo: gli uomini spiritualmente ciechi. […] Aveva l'idea che ogni immagine ne richiami un'altra: perché non esiste nessuna immagine unica, originale. Ogni immagine porta in sé tracce d'un riconoscimento di qualcos'altro, di altre immagini, foto, visioni, apparizioni…
Luigi Ghirri
Ho pensato, come prima mattina, di cominciare non partendo direttamente dalla mia storia personale di fotografo, o di «operatore dei media», ma dalla definizione e verifica di alcuni punti che ritengo estremamente importanti: quali sono oggi i modi di lavorare e i ruoli di un operatore che utilizza la fotografia, con l'inevitabile serie di relazioni, agganci e interconnessioni con altre forme espressive interne al suo lavoro.
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Luigi Ghirri - Bagno San Vito 1985
I fotografi professionisti utilizzano, nella maggioranza dei casi, luce aggiunta. Voi vedete, ad esempio, uno sfondo e una modella in primo piano che è sempre molto chiara. La questione non è se sia meglio o peggio, per quanto mi riguarda la questione centrale resta il rapporto di conoscenza con il luogo e con la sua rappresentazione.
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Luigi Ghirri
Lubiana 1987 |
Luigi Ghirri
Modena 1987 - Scena per Lucia di Lammermoor
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L'equilibrio si costruisce anche su fatti veramente minimi, come questa attenzione per la luce, come il fatto di riuscire, ad esempio, a individuare il momento in cui si intravede la luce del cielo, come in questo caso. Non volevo il buio profondo, proprio perché avrebbe dato all'immagine un rapporto spaziale completamente diverso. In questo caso, in questa immagine scattata pochi minuti dopo, si vede la possibilità di controllo: come vedete c'è un cielo rossastro, mentre nell'altra il cielo era azzurro. In fondo, in quest'area che si trovava a circa un chilometro di distanza, c'erano le luci della città, che hanno una colorazione più bianca di quelle allo iodio, impossibili da togliere. Mi sono dovuto dunque regolare su tutto questo, ho dovuto cercare un modo di rapportarmi concretamente con questa luce. Però mi interessava il rapporto tra il tono di questo fantasma nella notte e le luci. Torno a un concetto che ho accennato all'inizio, cioè il fatto che il fotografo assuma oggi un ruolo non dico di stimolo, ma comunque un ruolo completamente diverso rispetto ad alcuni anni fa. In questo caso, all'editore e al direttore della rivista ho detto: ma guardi, io pensandoci vorrei fare molte fotografie notturne, perché credo che siano un po' nello spirito dell'architettura. E qui in effetti, e io non lo sapevo, l'architetto aveva disegnato tutti i lampioni. C'era quindi già, nell'opera dell'architetto, la visione della sua architettura illuminata in un determinato modo.
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Luigi Ghirri con gli studenti
Il problema principale riguardo all'esposizione, uno dei nodi centrali della fotografia, è trovare un punto di corrispondenza tra la luminosità dell'ambiente e la luminosità del soggetto che dobbiamo ritrarre. I discorsi che stiamo facendo sulla tecnica, anche se sono noiosi, sono importanti perché, oltre a imparare a individuare all'interno di un'immagine quello che è necessario valorizzare e quello che si può invece trascurare, il lavorare sulla luce in modo tale da ottenere il risultato voluto è un'altra delle coordinate fondamentali della fotografia, un'abilità che, dopo una certa pratica, diventa quasi una componente del nostro processo percettivo. Una volta fissati alcuni punti - per quanto riguarda ad esempio l'inquadratura, la profondità di campo e gli altri discorsi che determinano il valore e l'efficacia dell'immagine - possiamo dunque affrontare questo tema.
Guardando la costruzione, la composizione di un'immagine, possiamo valutare il tipo di attenzione nei confronti di un soggetto, il modo in cui questo risponde alla luce, la maggiore o minor cura nell'inquadratura, la profondità di campo, cioè la messa a fuoco solo del soggetto principale oppure allargata allo sfondo. Tutti questi elementi, presi singolarmente e in rapporto tra loro, hanno una loro importanza. La scelta dell'obiettivo indica, in particolare, la condizione spaziale del fotografo nei confronti del soggetto. Le scelte di esposizione non sono finalizzate solo a mostrare o a nascondere gli elementi della scena, ma anche a ottenere una corretta risposta di colore. Un punto centrale è quello di scegliere un tipo di immagine, o un metodo, il che significa decidere di dare la massima informazione possibile in tutti i sensi, oppure scegliere e privilegiare un solo tipo di informazione, che può essere la luce, l'inquadratura, la profondità di campo. Questo credo sia un modo corretto per cominciare ad appropriarsi dei fondamenti.
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Luigi Ghirri con la Polaroid
Tra quello che si vede nella realtà e ciò che appare in una fotografia c'è sempre, dunque, uno scarto. Intanto c'è una variazione di scala, la differenza di proporzione è uno dei dati fondamentali. Le lenti, così come rendono possibile la visione di cose che a occhio nudo non potremmo vedere, ci danno la possibilità di rimpicciolire la realtà. Altre differenze fondamentali riguardano il materiale utilizzato: la fotografia non è tridimensionale, i colori che vediamo in essa non sono quelli naturali. Esistono insomma molti elementi di scrittura, interni alla fotografia, che possono condurre a esiti scoraggianti e magari farci dire «non è venuta come volevo». Dovremmo piuttosto dire: «Non è venuta come vedevo». È chiaro che «farla venire come vediamo» implica innanzitutto un processo di avvicinamento, di approssimazione. Tutte le operazioni successive saranno poi finalizzate a cercare di trasmettere meglio, a ridurre lo scarto tra quello che vediamo e quello che, parzialmente, vedremo nella fotografia. È questa la direzione, non la ricerca di una fotocopia della realtà. La fotografia, come la scrittura, ha una sua ambiguità, un suo lessico, una sua logica interna, un suo ritmo, tutti valori che non appartengono a una fotocopia.
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