Nasce da un lavoro maturato del corso di due anni il progetto fotografico di Eva Tomei, Dalla parte di Marcel, una raccolta di fotografie dedicate a Proust, ai luoghi della sua vita, delle sue opere e al «modo propriamente fotografico» in cui Proust dava significato a ciò che vedeva e sentiva, come suggerisce Franco Speroni nelle pagine del libro dedicato a questa ricerca fotografica. Nelle immagini di questo omaggio a Proust (in mostra a Roma, presso la Scuola Romana di Fotografia, dal 22 settembre al 15 ottobre) ritroviamo naturalmente Parigi – Pigalle, il Parc Monceau, il Bois de Boulogne, i giardini del Louvre - e la Normandia delle lunghe spiagge di Cabourg, poi Venezia e Illier Combray, la cittadina dell'infanzia dell'autore. Sono immagini in bianco e nero, realizzate spesso con tempi lunghi e doppie esposizioni che rimandano alle sovrapposizioni temporali e alle stratificazioni anacronistiche della scrittura dell'autore. «L'idea - dichiara la fotografa - è nata dopo la lettura della Recherche du temps perdu, un romanzo che non dimentichi. È come se si fosse creato un spazio dentro di me, che chiedeva di essere espresso».
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Dal volume edito da Postcart (Dalla parte di Marcel, 36 fotografie b/n, pp. 84, euro 25), proponiamo - di seguito - l'introduzione di Paolo di Paolo.
La prima cosa che si impara da Proust, è che i luoghi non esistono. Non è necessario arrivare in fondo alle migliaia di pagine della Recherche, per accostare questa verità essenziale. «E così, ogni volta che svegliandomi di notte mi ricordavo di Combray, per molto tempo non ne rividi che quella sorta di lembo luminoso ritagliato nel mezzo di tenebre indistinte, simili a quelli che l'accensione di un bengala o un fascio di luce elettrica rischiarano e isolano in un edificio che resta per le altre parti sprofondato nel buio».
Dalla Parte di Marcel - © Eva Tomei /Posse Photo
Cabourg, Normandia - Ragazza con aquilone sulla spiaggia
È illusorio, se non insensato, pensare che esistano davvero; che siano là, dove una mappa li indica. Mettiamo che io arrivi sino a Iliers, a un centinaio di chilometri da Parigi. Mettiamo che la giornata sia bella, che dalla stazione prenda Avenue de la Gare e voglia approssimarmi alle rovine del castello, con tutta l'intenzione di cercare infine il sentiero dei biancospini. Che sciocchezza. Avrei sbagliato tutto. Iliers non è Combray: tutt'al più, le somiglia. E il sentiero dei biancospini – per esistere – ha bisogno di un milione di cose. Un cestino abbandonato accanto a una canna da pesca (indizio della possibile presenza di Mademoiselle Swann). La nota prolungata emessa da un uccello invisibile. E soprattutto, una luce molto precisa: «così implacabile da far desiderare di sottrarsi alla sua attenzione».
I luoghi non appartengono al sempre, ma alla magia di un istante che non si ripete. Come le fotografie. Le mappe in cui davvero li troviamo, sono scritte con i battiti del cuore. «Poi tornavo davanti ai biancospini come davanti a quei capolavori che si crede di poter vedere meglio dopo aver smesso per un poco di guardarli, ma avevo un bel farmi schermo delle mani per non avere nient'altro sotto gli occhi: il sentimento che risvegliavano in me continuava ad essere oscuro e vago e cercava invano di liberarsi, di venire ad aderire ai loro fiori».
Dalla Parte di Marcel - © Eva Tomei /Posse Photo - Women in cafe de la Paix
Pochi scrittori come Proust hanno saputo descrivere il fascino violento, sensuale e malinconico dei luoghi che esistono nella memoria, nel sogno, nell'attesa, nel suono del loro stesso nome e non là dove sono. O non più. Pochi come Proust hanno saputo spiegare come l'autentica, più profonda natura di un luogo si componga di elementi immateriali. Il tempo atmosferico, per esempio. I personaggi della Recherche, a cominciare dal Narratore, sono meteoropatici; di continuo osservano le evoluzioni atmosferiche, se ne lasciano turbare. «Stasera nelle nuvole ci sono dei viola e degli azzurri talmente belli, non vi sembra, amico mio?». «Poteva piovere quanto voleva, ma domani, sopra la staccionata bianca di Tansonville, avrebbero ondulato numerose come al solito le piccole foglie a forma di cuore». «Così, se il tempo era incerto, fin dal mattino interrogavo insistentemente il cielo, e tenevo conto di ogni presagio».
I luoghi sono fatti di aria e di luce, di vento («era così forte», talvolta, sui Champs-Élysées!). Nella loro definizione intervengono anche la musica, il rumore, la qualità di silenzio che li riempie. Lo stato d'animo con cui li attraversiamo, soprattutto; il modo in cui il paesaggio interiore risponde a quello esterno, lo interpreta e si fa interpretare.
Dalla Parte di Marcel - © Eva Tomei /Posse Photo
Cabourg, Normandia (25/07/2009). Scogli in riva al mare, sullo sfondo bagnanti
Le bellissime fotografie di Eva Tomei vanno a cercare indizi «du côté de chez Marcel», dalla parte di Marcel. Lo stupore che ci coglie mentre le osserviamo, deriva esattamente da cosa? Dal loro rifiuto a descrivere ciò che esiste. I luoghi arrivano ai nostri occhi quando sono già irreperibili nella geografia. Sono pronti a farsi ricordo, o lo sono già; sono visioni, desideri, sono quasi sogni, di un luogo. «Anche da un punto di vista semplicemente realistico – scrive Proust –, i paesi che vagheggiamo occupano in ogni momento molto più spazio, nella nostra vita, dei paesi dove in effetti ci troviamo». Queste istantanee dicono la verità di ogni vagheggiamento – verbo caro alla poesia: da "vago", quindi mobile, instabile. Vagheggiare: vagare a lungo con gli occhi su ciò che ha attratto lo sguardo. Guardare intensamente, con amore, desiderio. Contemplare, immaginare. Eva Tomei deve avere senz'altro vagheggiato a lungo i luoghi della Recherche. Poi, ha provato a raggiungerli. Erano lì, e però non c'erano. Avevano bisogno – per esistere nello spazio fotografico – di essere evocati: nutriti con l'immaginazione, quindi trasfigurati.
Dalla Parte di Marcel - © Eva Tomei /Posse Photo
Deauville Normmandia (25/07/2009). Gente all'ippodromo
Il Bois de Boulogne, che Eva Tomei ci mostra, non è semplicemente quel parco parigino al limite occidentale della città: è una nostalgia di qualcosa, è forse lo spirito con cui Proust lo evoca nella mente da lontano, al chiuso della sua camera da letto. Lo spettacolo dell'autunno: «uno spettacolo che finisce così presto da non lasciare il tempo di assistervi». E certe scogliere solitarie, massicce, sulle spiagge della Normandia, in queste immagini diventano ciò che il Narratore sognava di Balbec, «nelle sere burrascose e miti di febbraio», quando il vento – «soffiandomi nel cuore, che ne tremava non meno del camino della mia stanza, il progetto di un viaggio» – alimentava il desiderio di vedere una tempesta sul mare. La sabbia, il pavé lucido di una piazza in primo piano, i lampioni che si accendono quando non è ancora buio, il riflesso del cielo su uno specchio d'acqua, un volto di bambina triste, le corse dei cavalli, la geometria enigmatica di un giardino, i tavolini di un caffè all'aperto, un tratto di Champs-Élysées, Palazzo Ducale a Venezia – tutto si confonde, si muove, vive in un'affascinante sospensione. «L'eterno volto del paese dove amerei vivere».
Da notare, nelle immagini di Eva Tomei, la presenza frequentissima di qualche traccia umana: anche sfumata, anche da lontano, quasi impercettibile. Sovrastata dal paesaggio naturale, c'è magari una figurina esile, forse felice. Un ragazzino corre (il sole sta scendendo dietro la Piramide del Louvre). Sagome nel buio, o riflesse nelle vetrate di un caffè. I luoghi siamo noi che li abitiamo.
Dalla Parte di Marcel - © Eva Tomei /Posse Photo
Illier-Combray (10/06/2008). Il fiume Vivonne
Come nella Recherche, così in queste fotografie «dalla parte di Marcel», è scritta una piccola – si direbbe domestica, privata – leggenda dei luoghi. Essi cambiano, tradiscono, muoiono anche. E ci cambiano, o li tradiamo. Muoiono con noi. Però, poi possono resuscitare, magari da una tazza di tè, nei tempi imprevedibili della memoria involontaria. D'altra parte – come nota Samuel Beckett nel suo Proust – il calendario dei sentimenti è sempre un po' sfasato rispetto a quello dei fatti. Niente è davvero in pericolo, tuttavia, finché gli organi dei sensi, finché i profondi giacimenti del «sottosuolo mentale» ci sostengono. Tutto si ritrova, prima o poi. Anche ciò che non è stato. «I luoghi che abbiamo conosciuto non appartengono soltanto al mondo dello spazio, nel quale li situiamo per maggiore facilità. Essi non erano che uno spicchio sottile fra le impressioni contigue che formavano la nostra vita d'allora; il ricordo d'una certa immagine non è che il rimpianto di un certo minuto; e le case, le strade, i viali, sono fuggitivi, ahimè, come gli anni».
Dalla Parte di Marcel - © Eva Tomei /Posse Photo
Venezia, Italia (01/2009). Persone su un battello lungo il Canal Grande
Chi è
Eva Tomei nasce a Roma nel 1976. Frequenta e si diploma alla Scuola Romana di Fotografia, studiando reportage con Riccardo Venturi e Massimo Siragusa. Successivamente frequenta workshop con Enzo Cei e Francesco Zizola. Nel 2009 si diploma in fotografia presso l'Istituto Rossellini di Roma. Nel 2007 partecipa a FotoGrafia - Festival Internazionale di Roma con il progetto "Girotondo" (a cura di Augusto Pieroni), in mostra alla Galleria Arch. Nel corso del 2007 è selezionata al Toscana Fotofestival con il progetto "Al Mare" ed è vincitrice del San Lorenzo Fotofestival, partecipando alla pubblicazione del libro "San Lorenzo racconti fotografici". Nel 2009 sempre con il progetto "Al Mare" partecipa al Festival Internazionale di Fotografia di Roma con una mostra curata da Geoffry di Giacomo, presso la Galleria Gallerati. Nel 2009 partecipa al progetto "A casa" con l'associazione culturale Camera 21, mostra collettiva itinerante di 10 fotografe. Ha collaborato con l'agenzia PossePhotographers.
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