Chi volesse rivolgere lo sguardo a uno dei tanti mercati del pesce del nostro paese, non può non rimanere incantato dalla pescheria di Catania, dove un nugolo di gente si addensa ogni giorno con avidità e voglia di pesce fresco. Perdersi nel cuore dei mercati è in parte dire di conoscere la realtà di una città; in essi si manifestano in tutta la loro veracità usi, costumi, consuetudini e sincerità di un popolo. Si rimane ammaliati, come si rimarrebbe guardando gli occhi di un volto interessante, dai modi di dire, dai profumi, dai colori del luogo e dai suoni che emanano le voci dei pescivendoli.
© Monica Laurentini - La pescheria di Catania
Sono le cinque del mattino: la mia mission inizia all'alba di un giorno qualunque allo "sgabello" il mercato del pesce all'ingrosso nel quartiere fuori le mura della città. Qui non troverò mai il pesce che voglio comprare ma quello che si può comprare. Si, perché "l'altro" è riservato solo alla pescheria. "L'oro", i venditori, sono ammassati l'uno sull'altro per acquistare il pesce, dietro ognuno di essi cartelli con scritto "totani", "pesce spada", "orate", del mercato ittico più antico della città! Si sceglie, si scarta, si tocca ogni tipo si pesce, e si parte per la piazza. Chi prima, chi dopo.
Mi sposto in Piazza Alonzo di Benedetto e in Piazza Pardo, una sorta di suk arabo che profuma di mare, spezie e odore di sale; ogni mercato è diverso da un altro e ogni volta che ci si è dentro è come fosse la prima volta, è imprevedibile, a tratti buffo, spesso snervante ma pur sempre folckoristico, è l'anima di una città. E' ancora l'alba e, sullo sfondo del Duomo e dell'acqua ‘o linzolo che fanno da cornice, mi addentro tra le viscere del mercato, rapita dalle immagini seducenti e contemporaneamente sofferenti dei pesci ancora vivi, l'occhio mi guarda e grida vendetta, ma non posso far nulla.
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© Monica Laurentini - La pescheria di Catania
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La sindrome di Sthendal mi assale, ma il vocìo dei pescivendoli mi riporta velocemente alla realtà. "U pisci cchiu friscu l'avemu cca, na stu mircatu", grida a squarciagola un ragazzo robusto dall'aria scanzonata, che ripete parossisticamente le parole che gli hanno insegnato: la sua mimica ricorda il Principe della risata, il suo volto racconta chi è. "Su lei u voli tuttu, cci fazzu u scuntu", afferma con aria convincente e io sorrido. Annota gli incassi su un pezzo di carta, il computer è il suo cervello, una lista infinita, 5, 20, 30, 50 euro, una fortuna questa giornata, già, perché qui si vive alla giornata
Da ognuno dei freddi banchi di marmo, striati di rosso e bagnati dall'acqua, esce fuori un quadro d'autore, in cui i profumi e i colori prendono forma e vengono composti da ciascun venditore trasformandosi da immagine di morte a piacere del gusto: sagome identiche poste in fila perfetta, lucide e nuove emergono dalle cassette di legno quadrate poggiate a terra, e giacciono ormai senza vita. Nessuno è esente dall'essere ammaliato dal fascino della pescheria. La caccia continua, mi faccio largo tra la gente che sbuca da ogni lato, anziani in pensione, guardo, scruto, adocchio. La vista di polpi violacei, di gamberi appena sgusciati, di scivolose orate grigie mi confonde e paralizza ogni mio movimento, ma infine compro i MIEI pesci e mi lascio convincere da L'ORO: " U pisci beddu, u megghiu pisci do munnu" stasera sarà nel mio forno e delizierà il mio palato.
© Monica Laurentini - La pescheria di Catania
L'odore forte mi inebria fino a stordirmi, scivolo, barcollo e non mi reggo in piedi, sballottata da un'orda di gente che non curante della mia presenza sgomita per vedere cosa acquistare. È la gente del luogo che si confonde con i turisti che arrivano per assistere a questo spettacolo "orientale", arabeggiante, e tipico del sud. Il mio udito si affina per ascoltare i venditori, le cui grida sono poesia per le mie orecchie, forza e magnificenza: è il Sud, verace, opportunista ma passionale, sono al Sud, sono del Sud. "Do you want to taste nu pocu di trigghi? - esclama un vecchio lupo di mare con fare invitante, rivolgendosi a un australian guy dai modi quasi raffinati! Che forza, che mimica, che teatro questo mercato! Si recita a soggetto! Ognuno fa quello che sa fare, ognuno è un attore unico. Lungo il tunnel di Carlo V alcuni di loro trascinano veri e propri trolley di legno vecchio retti da due ruote sconocchiate, da cui si intravedono monconi di pesce senza testa e mitili di ogni sorta.
Proseguo il giro dentro la casbah, muri scrostati e pavimenti corrosi dal tempo, grondaie rotte, acqua ovunque, ghiaccio che si scioglie e cola dai tavolacci di legno formando delle pozze che gradatamente assumono un colore rosato, piedi che affondano nelle umide basole di pietra lavica – sta per finire il mio tour – non ho gli stivali di gomma e inzuppo le caviglie. Il mio sguardo viene distratto da una antica bilancia ingiallita dal tempo che segna 1000 gr, su cui è poggiata la testa di un pesce spada la cui punta trafigge come lama di un coltello, l'occhio è ancora vivo e ancora una volta non posso far nulla. Qui il tempo sembra essersi fermato. Un uomo pulisce e affetta con cura il corpo del povero pesce, di cui ormai rimane solo il ricordo, e tutt'attorno ancora gente che tratta e contratta, persino sul prezzemolo! Fisso a guardare le mani dei venditori, sono rugose e sporche ma cariche di tenace volontà, la volontà di un popolo legato alla sua terra e al lavoro, un popolo marcato da un passato doloroso, dominato e nello stesso tempo dominante. Alcuni di essi, stanchi, si fermano per un istante e si riposano, fumando una sigaretta e sorridendo ai clienti.
© Monica Laurentini - La pescheria di Catania
La pescheria ha una sua storia, la storia del mare e dei suoi pericoli, storia di fatica e rassegnazione ma anche di una forza e dignità unica: Vittorio, con un grembiule bianco che gli cinge i fianchi e i capelli grigi coperti da un berretto blu mi narra di quando era carusu e andava a pescare alle 3 del mattino col padre: Mi suseva e tri e con qualsiasi tempu ieva ppi mari". Chiedo, mi soffermo a pensare, sono curiosa.."Ognuno di noi qui ha una sua storia, un suo vissuto", dice. E sa che il suo mondo è diverso dal mio, ma è felice ed appagato."Il pesce vivo si riconosce dall'occhio lucido e dalle branchie rosse" , mi insegna, e io imparo e imparo e imparo. È giunta l'ora di rientrare, si chiude bottega e "L'ORO" dopo aver venduto gli ultimi pesci per pochi soldi, quasi gratis, smontano e puliscono bene i loro banchi uno per uno, con l'amore che ha un padre per un figlio: sapone, spugna e volontà. Poi, si spengono i riflettori sulla parte "araba" della città. "A Piscaria" regno del caos, dell'improvvisazione, della contraddittorietà, cede il passo alla movida catanese. Domani si replica, stessa ora, stesso luogo.
© Monica Laurentini - La pescheria di Catania
Chi sono
40 anni, siciliana, una laurea in Lingue e un Master in Didattica Museale ma soprattutto una passione ancestrale per la fotografia e per i viaggi. La mia ricerca fotografica si concentra soprattutto sul reportage Street Life, dove si tocca con mano la vita della gente comune, dell'uomo della strada. Da sempre attratta dallo studio dell'essere umano in tutte le sue sfaccettature, cerco di instaurare un rapporto empatico con ciò che fotografo: i miei scatti sono incontri con l'altro, a volte spontanei a volte cercati ma reali. La strada spesso inconsciamente cerca l'obiettivo, vuole attenzione e io gliela concedo con vera passione. Cerco con discrezione di interpretare l'animo umano, senza snaturare ciò che fotografo, non modificando ma guardando dentro le immagini. Viaggio parecchio e trascrivo ogni emozione sui miei fedelissimi taccuini. Dal 2001 collaboro con "Il Cantastorie di Sicilia", rivista di cultura siciliana, dove scrivo articoli di vario argomento. Ho partecipato a varie mostre collettive e vinto premi e attestati.