Sembra facile, scegliere una ventina di foto. A prima vista
si tratta di un lavoro di tutto riposo, da fare in cinque
minuti. Ma provate a iniziare. Cosa comprende una selezione
ben fatta? Le immagini più belle? Le foto più
strane? Le situazioni più inconsuete? Dopo aver cominciato,
si scopre che quello che ci è stato chiesto è
una specie di autobiografia
dalle cui pieghe emergono ricordi e luoghi. In cui i criteri
di scelta si moltiplicano continuamente – si aggiunge
la comprensibilità, il fatto che dopo un'immagine,
poniamo, dell'Uzbekistan, ci starebbe bene il volto di una
signora di Nukus – e la scelta
appare sempre più sbagliata e discutibile.
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Comunque, alla fine, bisogna avere il coraggio di smettere,
di decidere che un risultato (buono o meno) l'abbiamo raggiunto.
E di offrire le foto allo sguardo di altri.
Ho sempre pensato che la fotografia sia un mezzo estremamente
versatile, adatto per amatori, artisti, professionisti e
artigiani. E ho sempre ritenuto di fare parte di questa
categoria: il lavoro di fotografare per mensili, guide e
settimanali di solito non contempla
l'intervento dell'arte o dell'ispirazione.
Gli art director e i grafici vogliono vedere il posto
così com'è. Ma poi si scopre che il suddetto
posto in realtà non è. Cioè che l'unico
modo per fotografare il nostro monumento (o piazza, o montagna)
è complesso, difficile e, soprattutto, produce un
risultato del tutto parziale.
Decine di autori hanno spiegato meglio di me il fatto che
la fotografia non è la copia della realtà
ma solo una sua interpretazione.
Mi preme solo sottolineare che il mestiere di chi fotografa
per un certo tipo di stampa consiste in pochi
accorgimenti, tutti facili da apprendere. L'inquadratura
giusta, l'ora migliore, la pazienza e le buone pellicole
hanno sempre fatto almeno l'ottanta per cento del mio lavoro.
Il discorso cambia leggermente quando si fotografa al
buio, cosa che mi è capitata molte volte tra
grotte, sotterranei e ipogei. Fotografare sottoterra è
un bel problema. E non solo,
come penseranno coloro che hanno una cultura tecnica, per
gli ovvi problemi legati al fatto che sottoterra non c'è
luce.
Ma anche, e soprattutto, perché i sotterranei hanno
un'anima, una loro essenza
che non deve essere bruciata da batterie di flash, da luci
di tutti i colori o peggio (orrore!) da fumi colorati.
Per fotografare un sotterraneo bisogna sforzarsi di rendere
visibile a tutti, anche ai signori con le pantofole di feltro,
la sua anima. E qui viene a galla l'aspetto veramente artigianale
di buona parte del mio lavoro degli ultimi due decenni.
Bisogna riuscire a immaginare
le forme che la luce può creare in un luogo dove
la luce non c'è mai stata (e questa è già
una bella astrazione).
Poi giostrare flash elettronici,
lampadine (i vecchi bulbi), luce ambiente, candele e camping
gaz in un miscuglio che l'unico esposimetro in grado di
lavorare in questo modo – cioè il nostro cervello
– dovrà poi rendere compatibile con l'emulsione
della pellicola.
Che dire di questo lavoro... Ognuno di noi amerebbe vedere
le sue foto e i suoi racconti impaginati e lavorati con
cura sulle pagine dei giornali per cui lavora. Di solito,
questo non avviene. E sarà un caso che le scelte
degli art director in genere escludono le foto più
care a chi ha scarpinato giorni e giorni per realizzarle?
Rimane un archivio (il mio
è sempre in disordine, senza nessun aspetto informatico
che lo sbrogli) che, in fondo, è poco meno che il
diario della nostra vita.
Chi è
Fabrizio Ardito, giornalista e fotografo
romano nato nel 1957, è autore di alcuni volumi dedicati
all'escursionismo, della Guida
alle grotte e canyon d'Italia
(Mursia), di Città Sotterranee
(Mursia), del volume di racconti Di
pietra e d'acqua (Vivalda) di
due volumi di Week end del
Gambero Rosso, delle guide Sardegna,
Sicilia, Nord Est, Centro, Sud, Gerusalemme, Dolomiti, Corsica
e Isola d'Elba della serie Guide Visuali Mondadori –
Dorling & Kindersley e de
La ricerca di Eva, viaggio
alle origini dell'uomo moderno
(per Giunti, insieme con Daniela Minerva).
Ha collaborato con le Guide APA per la realizzazione
del volume Sardinia. Ha realizzato
per la Cooperativa la Montagna di Roma due guide dedicate
al Parco del Treja ed al Parco
di Monte Mario.
È il curatore della rassegna romana di cinema di
montagna e avventura Montagne in Città,
giunta alla sua ottava edizione. Per la De Agostini ha realizzato
il volume Arcipelago Ponziano.
Ha lavorato per vari editori e testate italiane dedicate
all'ambiente, alla geografia, ai viaggi tra cui Nuova Ecologia,
Espresso, Gambero Rosso, De Agostini, Touring Club, Giorgio
Mondadori, La Repubblica e Unità.