Steve McCurry, fotografo della Magnum conosciuto per i suoi reportage sul National Geographic, è stato di recente in Italia, ospite del Lucca Digital Photo Festival, dove ha tenuto un workshop, e della Galleria ModenArte di Modena, per l'inaugurazione della sua personale Sojourn: narratives of Asia, in mostra fino al 27 gennaio. Quaranta immagini originali, tra cui quella celeberrima della bambina afghana con gli occhi verdi immortalata negli anni Ottanta in un campo profughi pakistano, per raccontare la storia di un fotoreporter che ha iniziato la sua carriera nascondendosi sotto gli abiti della gente del posto, per attraversare il confine del Pakistan ed entrare in Afghanistan prima dell'invasione russa, e che da allora ha sempre cercato di essere in prima linea.
© Steve Mc Curry - Golden Rock, Kyaiktiko, Burma, 1994
|
«Era il 1978 quando, per la prima volta, sono partito per l'India», dice McCurry parlando degli inizi del suo lavoro in Asia. «Avevo già girato il mondo in lungo e in largo, e sono partito con quel senso di eternità che accompagna un giovane che se ne va sbattendo la porta. Ma in quell'occasione non sarebbe stata la stessa cosa. Quella volta mi sono buttato sulle spalle la macchina fotografica certo che in qualche modo avrebbe ripagato le spese della mia grande voglia di viaggiare ... Passano gli anni ed è sempre il colore a spingermi verso Sud, lungo la direttrice Sud-Est sino all'Asia, il colore, la vita e la luce. La luce dei templi millenari satura di Buddha, Shiva, Allah, la luce che come una pioggia bagna la Birmania e la Cambogia, e le distese di polvere risultato dei bombardamenti in Afghanistan dove continua a imperversare la furia delle guerre tribali. Dovunque si vada in quella parte del mondo, la vita è un tumulto che agita le strade e i bazar. Come gli incontrollabili eventi climatici e metereologici, la religione governa la vita con una forza che per l'Occidente è un ricordo lontano che risale al Rinascimento».
© Steve Mc Curry - Red boy, Bombay, India, 1996
|
«Nei ritratti ricerco il momento di vulnerabilità in cui l'anima, pura, si svela e le esperienze di vita appaiono incise nel volto», continua McCurry, «per me i ritratti trasmettono il desiderio di rapporti umani, un desiderio talmente forte che le persone, consapevoli del fatto che non mi vedranno più, si aprono all'obiettivo nella speranza che qualcuno, dall'altra parte, li veda; qualcuno che riderà o soffrirà con loro».
Molti dei ritratti che hanno reso famoso McCurry sono in mostra a Modena, a fianco degli altrettanto famosi suoi scatti sui pozzi di petrolio in fiamme in Kuwait, durante l'invasione irachena, e a immagini scattate in Kashmir, in India e in Afghanistan. La mostra italiana propone anche il documentario in cui McCurry e un team del National Geographic sono tornati a cercare la bambina afghana del campo profughi pakistano. Tramite una serie di contatti, la bimba diventata nel frattempo una donna, è stata trovata. Si chiama Sharbat Gula, è sposata, risiede in una remota regione dell'Afghanistan con la famiglia, e ha acconsentito a farsi ritrarre di nuovo e a narrare la propria storia.
© Steve Mc Curry - Dust storm, Rajastan, India, 1983
|
Edoardo Agresti, fotografo, animatore della Nikon School Travel, ha partecipato al workshop di McCurry e qui ci offre il racconto appassionato della due due giorni assieme al suo idolo e maestro riconosciuto.
2 Dicembre 2006, Villa Bottini a Lucca, ore 9,30. Come un bambino al suo primo giorno di scuola, tra l'emozione dell'incontro e la paura di non essere all'altezza, mi trovo seduto sulle scale della villa con il mio zaino fotografico, in attesa. Già cinque anni fa ci ero andato vicino, ma all'ultimo momento non era potuto venire perché mandato dal National Geographic in Cambogia. Ci avevo riprovato quest'anno a New York, ma in questo caso, e per due volte, sono stati i miei impegni a non permettermi di andare nella Grande Mela. Sembrava una sorta di destino crudele non poterlo incontrare. Torno a fine ottobre da un reportage per la Nikon School Travel in Mozambico e qualcuno mi informa che Lui è a Lucca e che tiene un workshop per pochi intimi. Mi precipito al telefono con l'ansia di non rientrare nei dieci fortunati. Con mia grande gioia mi comunicano che ancora c'è qualche disponibilità, così mi iscrivo. Sono le 10,30, eccolo avvicinarsi con il suo incedere sicuro, mano destra nella tasca della giacca, un caricatore per diapositive circolare sotto braccio; entra nelle vecchie cucine allestite per l'occasione ad aula, si siede e, come se ce ne fosse bisogno, si presenta: I'm Steve McCurry. Sembra strano come ci si possa così emozionare davanti a una persona. Ma è Steve è colui che hai da sempre ammirato, che hai studiato e hai cercato in qualche modo di copiare leggendo tra le righe di ogni suo scatto.
Steve Mc Curry fotografato da Edoardo Agresti
|
Adesso ci siamo, inizia il workshop e, come Abramo che parla al suo popolo con le tavole della legge in mano, ascolto e cerco di apprendere il più possibile con in mente il fermo immagine della ragazza afghana piuttosto che il bimbo indiano con il viso rosso che troneggia a simbolo del Lucca Digital Festival 2006.
Esordisce dicendo che non è un insegnante, ma un fotografo e che quindi conta sulle nostre domande per impostare le due giornate. Io, dopo tanto attendere, apro le danze e chiedo se anche lui, icona della diapositiva, si sia convertito al digitale. La risposta è sì! E' da circa un anno che scatta con una Nikon D2x; afferma che ormai è questo il futuro e che oltre il 60% dei fotografi del National hanno seguito la strada del digitale. Si susseguono domande di vario tipo e, purtroppo, l'etereogenità del gruppo gli pone talvolta delle questioni elementari - tipo che schede di memoria utilizza - facendo perdere del tempo prezioso alla mia voglia di conoscere.
© Steve Mc Curry - Afghan girl, Peshawar, Pakistan, 1984
|
Gli chiedo se i suoi scatti sono reportage puro oppure se sposta i suoi soggetti alla ricerca della luce migliore; con mia meraviglia, essendo io un purista dell'immagine reportagistica, mi dice: It depends! Sì, dipende; ciò significa che qualche suo scatto è, diciamo, costruito. Per Steve, e lo ripete continuamente, nella fotografia è importante la luce, the light! Quando qualcuno sostiene che non sempre si può avere un soggetto o si può essere in un posto all'alba o al tramonto lui con il sorriso sulle labbra candidamente risponde: at noon you should be having lunch not shooting! Non si deve fotografare "per forza", la fotografia, quantomeno la sua, necessita di condizioni particolari. Non ci sono mai elementi di disturbo, gli sfondi sono sempre puliti e si integrano alla perfezione con il soggetto in primo piano. Geometry, altra parola ricorrente nello spiegare i suoi scatti. Poche cose, in genere con pochi colori al limite del monocromatismo, mai troppe persone, mai too general!
Non occorre aspettare delle ore, nello scattare, a volte, è sufficiente un attimo; è per questo, dice, che bisogna essere sempre pronti. Sempre attenti a cogliere quella scena irripetibile che sta passando davanti al tuo obiettivo. E a tal proposito le sue ottiche preferite sono il 35 mm e il 50 mm anche se non disdegna un medio tele, ma mai estremi. Non sopporta il grandangolo spinto né tanto meno degli scatti con inquadrature "azzardate" fuori dai canoni classici dell'equilibrio delle masse e della regola dei terzi. La sua è una fotografia elementare dove tutti gli elementi compositivi raggiungono la perfezione: quanto è difficile! Guardate i suoi ritratti, semplici, puliti ma con una forza espressiva immensa. Uno sguardo che è lo specchio dell'anima. E, mentre cerco d'immaginare Steve a ritrarre i pastori rajasthani con i turbanti rossisullo sfondo blu delle strade di Johdpur, mi balena nella mente l'idea di farmi fare un ritratto.
© Steve Mc Curry - Blue Mosque, Mazar-i-Sharif, Afghanistan, 1991
|
Durante la pausa pranzo mi avvicino timoroso e gli chiedo se mi può fotografare. Sure! Incredibile! Ed è così che ci prendiamo un quarto d'ora di tempo. Gli do la mia D200 con il 50mm 1,4 e, nel mio imbarazzo misto al fascino di vedere Lui all'opera, ecco che inizia a scattare. È curioso e al tempo stesso strabiliante come riesce a muoversi con armonia con la mia macchina fotografica in mano pur avendo il braccio destro praticamente atrofizzato. Controlla la luce, guarda lo sfondo e poi scatta; credo che non dimenticherò mai questi 15 minuti di assoluto silenzio, rotto soltanto dal click del pulsante di scatto.
Sono ancora confuso, per quanto accaduto, quando rientriamo in aula dove ci aspetta la tanto attesa lettura del portfolio. Ognuno di noi timoroso, come davanti ad una sorta di Giudizio Universale, timidamente inizia a far vedere i propri scatti. Devo dire che con alcuni è andato giù pesante: If you shot keeping your eyes closed you would do the same! E quando poi qualcuno fa vedere delle foto fatte con il flash ecco che sbotta con the light! La luce per Steve deve essere quella naturale! Altra frequente obiezione riguarda il taglio che deve avere un ampio respiro; tutti gli elementi della foto devono avere sufficiente spazio around! Too tight! Too tight! Ripete su molti scatti. Una litania che accompagna anche alcune delle mie foto. Non sto a raccontarvi cosa mi ha detto, ma, too tight a parte, in qualche modo devo averlo colpito se, nella dedica in uno dei suoi libri, mi scrive "your portfolio is a good work" (chi fosse interessato, nel sito www.nital.it nella sezione Nikon School Travel relativamente al viaggio in Mozambico lo può visionare, attendo commenti info@edoardoagresti.it). Beh, che dire! Sono felice!
© Steve Mc Curry - Tibetan Landscape, Kandze, Tibet, 2001
|
La lettura continua, tra un too tight, the light e geometry. E, quando su un ritratto si ripete un ennesimo too general: dovevi isolare di più il soggetto, la ragazza sotto "esame" dice: Provo un certo imbarazzo e sono un po' timida per andare troppo "sotto"! Steve McCurry è lapidario: Too shy? You cannot be shy, when you are shooting you must have the killer instinct!
E con questa frase decisamente forte la due giorni volge al termine. Che dire. Forse il workshop di per sé non è stato così organico e didatticamente istruttivo come me l'aspettavo - la premessa di Steve di non essere un insegnante ha trovato conferme nel suo modo di condurre - credo però che, ognuno di noi in modo diverso sia tornato a casa con qualcosa su cui riflettere. Personalmente nel mio prossimo viaggio utilizzerò meno grandangolo e più 50mm.
© Steve Mc Curry - Flower seller, Dal Lake, Srinagar, Kashmir, India, 1996
|