Eccoti, finalmente. È stato più o meno questo il mio pensiero, guardando per la prima volta attraverso l'obiettivo di una reflex. Improvvisamente mi pareva che tutte le forme espressive in cui mi ero sperimentata fino ad allora non mi appartenessero più come avevo creduto.
Artigli. [Tulipa, giardino privato]
© Romina Marani
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Il sassofono, i colori ad olio e i carboncini non avevano più lo stesso fascino, ora avevo solo voglia di cercare inquadrature e scattare. Allora le mie fotografie erano molto più costruite rispetto a oggi. Premere il pulsante dell'otturatore era in qualche modo per me la fase ultima del processo creativo. Se si esclude la selezione finale delle immagini, si può dire che con il clic si chiudeva la mia fotografia e ogni sforzo teso al risultato finale doveva essere fatto entro quel gesto.
Nebulose nel Firmamento. [Dolichotele Longimamma, Orto Botanico di Napoli]
© Romina Marani
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Così è stato almeno fino al mio incontro con la tecnologia digitale. Con la possibilità di moltiplicare in modo esponenziale il numero degli scatti, eliminati i costi della pellicola e dello sviluppo, il digitale ha reso la mia fotografia sempre più istintiva e meno costruita, ma non per questo meno pensata. La post-produzione è diventata sempre più importante ed è proprio qui che si è trasferita gran parte del mio pensiero; nella fase in cui le immagini vengono selezionate, studiate, accostate le une con le altre e all'occorrenza rielaborate.
Maschere.
[Phalaeonopsis Orchidea, serra privata]
© Romina Marani
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La tecnologia digitale mi ha offerto delle chance che prima non avevo, non da ultima la possibilità di scattare istintivamente; di annotare rapidamente le immagini come appunti per non perdere un'intuizione, e rivederli poi con calma in un secondo momento. Lo sforzo intellettuale o quello artistico non sono stati cancellati quindi dal digitale, ma semplicemente distribuiti in modo diverso: in gran parte nella post-produzione e in parte anche nell'intuizione stessa. Del resto l'intuizione non è forse il frutto di una qualche interazione tra ciò che ci capita davanti agli occhi in un dato momento e tutto il bagaglio – culturale, emozionale e quant'altro – che ci portiamo dietro da tutta la vita?
Più volte mi è stato chiesto come mai le persone siano spesso assenti o riprese solo da molto lontano dalle mie fotografie. È vero: nei miei lavori, soprattutto in quelli più vecchi, la presenza umana è estremamente rara.
I miei primi soggetti erano piuttosto inanimati, erano piante, fiori o volti scolpiti nella pietra da qualche bravo artista. Anche nei miei primi reportage di viaggio tendevo a escludere la gente, li guardavo attraversare la mia inquadratura, ma attendevo che ne uscissero prima di fermare l'immagine.
Devo ammettere che anche oggi fotografare le persone mi riesce meno facile rispetto ad altri soggetti. Mi succede con l'estraneo incontrato in viaggio per strada, ma anche nei ritratti in posa. Forse è una forma di pudore nei confronti del soggetto, il timore di essere troppo intrusivi. O forse è solo timidezza. Fotografare può essere un gesto molto intimo, perché l'obiettivo sa arrivare molto in profondità ed è certamente bilaterale.
Veduta aerea: Campi.
[Pianta non identificata, Orto Botanico di Roma] © Romina Marani
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Uno dei miei lavori fotografici che più sento appartenermi è senza dubbio quello dei Distorti Botanici, un progetto ancora tutto in divenire che mi accompagna ormai da qualche anno. Si tratta di una sorta di galleria un po' visionaria di cose e talvolta perfino di personaggi scovati qua e là esplorando con lo sguardo il mondo vegetale.
Sono spesso macro o inquadrature inconsuete scattate in diversi orti botanici, serre e giardini che mi sono trovata di volta in volta a visitare, nelle quali le piante ritratte vengono completamente astratte dalla loro realtà e diventano altro. In questo modo gli aghi rossi di un fiore possono mettere in scena una fragorosa deflagrazione e le flessuose propaggini azzurrognole di una pianta grassa diventare onde del mare; gli stami scuri nel rosso di un tulipano possono prendere le sembianze di minacciosi artigli e i fiori gialli di un cactus possono espandersi come nebulose nel firmamento. L'idea dei distorti, come li chiamo per brevità, è nata nel cuore dell'Orto Botanico di Palermo quando incontrando un enorme esemplare di ficus magnolioide ebbi come la sensazione di trovarmi di fronte a una cattedrale. Imponente e dotato di una sua architettura elegante e al contempo funzionale, è un intricato labirinto di radici prominenti e rami che avvolge il tronco, estendendosi per 30 metri d'altezza e 800 metri quadrati di volume. Non avevo una pianta davanti ai miei occhi, ma un palazzo incantato fatto di molti piani e innumerevoli stanze e colonnati. Chi conosce questa incredibile pianta monumentale, arrivata dalla Nuova Zelanda a metà dell'Ottocento, sa di cosa parlo.
Pariser Platz, Berlino, 2005. La piazza vista dall'interno di un caffè.
© Romina Marani
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Credo che a rivelarmi questo progetto sia stato in un certo senso proprio quell'antico albero, che col suo sorprendente fascino mi chiamava a osservarlo con occhi completamente liberi, spianando di fatto la strada a una lunga serie di distorti botanici. Da allora non riesco più a guardare un solo fiore senza pensare, almeno per un attimo, alle innumerevoli fantasticherie che potrebbe rivelare a uno sguardo un po' distorto.
Chi sono
Sono nata a Correggio (Reggio Emilia) nel 1978. Dopo la maturità linguistica mi sono iscritta alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna, dove mi sono laureata nel 2003. Ho iniziato a viaggiare attraverso l'Europa e ho vissuto per un periodo a Parigi, lavorando presso l'agenzia fotografica Hémisphères Images. Ho pubblicato reportage di viaggio con l'agenzia Granata e collaborato, come assistente, con diversi fotografi e giornalisti.
www.i-fotograffi.com
"Volti di Pietra", Museo Archeologico, Napoli © Romina Marani
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