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La memoria del fotografo
Ferdinando Scianna


© Ferdinando Scianna
 

Nel 1977 usciva a Parigi, presso l'editore Denoél, il mio libro di fotografie, Les Siciliens, accompagnato da una prefazione di Dominique Fernandez e da un testo finale di Leonardo Sciascia.
Singolare testo, composto, come lui stesso spiegava: "da cristallizzazionì linguistiche, di un lessico particolarissimo, di una particolarissima paremiografia, così come le ritrovo nella memoria, nella camera oscura della memoria, e che sono effettualmente gli elementi su cui si fonda una vera conoscenza - e in questo caso la mia conoscenza del paese in cui sono nato, in cui ho passato l'infanzia e la giovinezza. Un paese siciliano, Racalmuto in provincia di Agrigento: ne ho rappresentato la vita, vent'anni fa, in un libro; una vita che somigliava a quella di altri paesi siciliani dell'interno, che ne era la sintesi. Ora, con questa specie di piccolo dizionario, faccio un'operazione inversa: di sciogliere la sintesi nell'analisi, la generalità nella particolarità, la somiglianza nella dissomiglianza. Ed è un'operazione, questa di localizzare e di individualizzare al massimo, molto simile a quella del fotografo".



© Ferdinando Scianna
 

Quei frammenti, in quel mio libro per la prima volta pubblicati, Leonardo aveva da non molto tempo cominciato a raccoglierli e avrebbero poi, aggiunti ad altri, composto Occhio di capra. Mentre ci lavorava, Sciascia parlava spesso dei ritrovamenti che andava facendo dentro la propria memoria e nella memoria dei suoi compaesani, amplificando quell'appassionante gioco linguistico a cui spesso e con grande piacere si concedono i sicilianì di paesi e province diverse: esiste anche da voi questo proverbio, questo modo dire? Anche nel tuo paese si usa questa parola per definire tale oggetto, questa espressione per definire tale sentimento. E ci si compiace delle somiglianze, ma ancora di più di ogni pur breve differenza, perché il gioco della memoria esprime la convinzione, appunto, che in quelle cristallizzazioni propriamente si fonda la vera conoscenza del proprio paese e attraverso il paese la conoscenza del proprio luogo interiore, della propria origine e peculiare individualità. Dovremmo farla tutti, ci invitava Leonardo, ciascuno per il proprio paese, questa ricerca che io sto facendo per Racalmuto.

Non ho mai dimenticato l'invito e per un pezzo l'ho aggiunto a quel complicato sistema di sentimenti di cui è fatto il lutto, in cui la mancanza irrimediabile e non accettata di un amico che non c'è più può anche prendere la forma del rimorso o di un sentimento di aggravata inadeguatezza. Finché non ho scoperto che a Bagheria, in provincia di Palermo, il mio odiato amato paese, in quello spazio di poco più di dieci chilometri quadrati dove ho vissuto praticamente senza mai muovermì fino alla prima giovinezza - che non era solamente un luogo fisico ma un davvero ben particolare, dolce e terribile luogo dell'anima - avevo fatto tante fotografie, ben più numerose di quanto non sospettassi, e ben da prima che scoprissi l'incomprensibile vocazione di fare il fotografo.



© Ferdinando Scianna
 

Fotografie che per una strana rimozione avevo quasi dimenticato senza dimenticarle affatto, sapendo benissimo che c'era quella cassettina di legno che aveva contenuto bottiglie di vino e che nella cassettina c'erano - e vi sono rimasti per oltre trent'anni - molti dei miei primi negativi, tenuti alla rinfusa e dei quali spesso non avevo nemmeno stampato i contatti.
Di fotografie, naturalmente, a Bagheria ho continuato a farne nei miei numerosi, discontinui, desiderati, temuti, felici, dolorosi, odiati, inevitabili ritorni. Ma tutte, scopro, sono state determinate dalle prime, quelle che dormivano nella cassetta di legno. Così ho cominciato a superare il mio consueto terrore della parola scritta e a tentare, con le immagini e con i frammenti della mia memoria dell'infanzia e adolescenza a Bagheria, di realizzare qualcosa che forse assomiglia a ciò che Sciascia mi aveva sollecitato a fare.

Il sentimento di adempiere a una promessa mai esplicitamente formulata mi ha fatto anche sormontare il timore di fare qualcosa, un libro poi!, sostanzialmente di fatti miei, che non potevano interessare altri se non i parenti stretti. Il racconto, ho sentito dire una volta a Mario Benedetti a proposito degli ebrei, comincia quando si accetta dentro di sé che il ritorno è diventato impossibile. Questo ormai lo so, e non lo so io soltanto: credo che ormai lo sappiamo tutti e non solo i siciliani che sono partiti. Forse anche quelli di ogni luogo e che non sono partiti affatto. Tornare dove, poi? Non penso di amare questo tempo e il mondo nel quale mi è toccato di vivere. Non mi pare, tuttavia, di essermì lasciato alle spalle il migliore dei mondi possibili.



© Ferdinando Scianna
 

Ho sempre considerato molle, ipocrita, fortemente egoista la nostalgia. Non mi appartiene. Mi appartiene, invece, e mi sembra di scoprirla anche nelle mie fotografie più vecchie, ancora adolescenziali, la consapevolezza di avere vissuto - che in quegli anni stavo vivendo - un passaggio storico e culturale epocale.
É ormai un luogo comune, già approdato alle definizioni storiche del nostro tempo, che in questi quarant'anni la vita delle persone, il loro paesaggio fisico e culturale, di conseguenza la loro maniera di essere, pensare, sentire, è cambiata più che nei precedenti duemila. Al tempo lento e lungo si è sostituito il tempo tecnologicamente e forsennatamente accelerato che stiamo ancora vivendo. Ne conosco che ne sono impazziti. Quanti come me siamo alle soglie della vecchiaia abbiamo vissuto dentro questo portentoso e spaventoso passaggio; la nostra maniera di essere, sentire, pensare, inevitabilmente risente di entrambe le realtà. Chi è nato trent'anni fa ha difficoltà a figurarsi, non dico a comprendere, il famoso "da dove veniamo". Noi abbiamo il discutibile privilegio di essere gli archeologi ancora vivi di noi stessi e di quel mondo che era durato così a lungo e si è volatilizzato quasi di colpo, come il fumo di un falò in una sera di vento.



© Ferdinando Scianna
 

Facendo quelle fotografie, non sapevo, inconsciamente sapevo, che avrebbero fatto parte di tanti altri gesti di memoria, che avrebbero costituito un ultimo saluto a quel tempo, a quel mondo. Un saluto per nulla nostalgico. Io credo nella memoria. Potrebbe uno che fa il fotografo non crederci? A parte tutto, mi è sembrato, recuperando certe immagini, che dentro ci fosse già tutto quello che ho continuato a fare nei successivi quarant'anni. Ma non si ricorda solo per se stessi, si ricorda per tutti.

Ho tentato con questo libro, che mi è sembrato il più difficile fra quanti ne ho fatti, ma anche il più appassionante da fare, e spero anche il più sincero, di scavare, come Sciascia suggeriva, nella camera oscura della memoria attraverso le mie stesse fotografie, riportandone frammenti verbali a loro volta simili a istantanee.
Ho cercato di ricostruire, di immaginare, il mio paese, la mia infanzia, la mia adolescenza, in quel tempo, in quel luogo. Le fotografie non restituiscono "ciò che è stato", piuttosto ripropongono in una sorta di lancinante presente ciò che non è più.

Credo che la massima ambizione per una fotografia sia di finire in un album di famiglia. Magari, se è una grande immagine, verrà simbolicamente incollata nell'album di famiglia di noi tutti. Naturalmente, questo è un libro su Quelli di Bagheria, sugli uomini, sulle donne, sui bambini, sugli animali.
Spero, tuttavia, che molti altri, e non soltanto fra coloro che hanno vissuto quel tempo, vi scopriranno il loro paese, la propria infanzia, i volti di altri, diversi e simili uomini, donne, bambini, animali anche, che finché permangono nella memoria individuale e collettiva continuano a esistere, a determinare il nostro presente e il nostro futuro.

Chi è
Ferdinando Scianna nasce a Bagheria, in Sicilia nel 1943. All'Università di Palermo si dedica agli studi, poi interrotti, di Lettere e Filosofia.
Nel 1963 incontra Leonardo Sciascia con il quale pubblica, a ventun'anni, il primo dei numerosi libri poi fatti insieme: Feste religiose in Sicilia, che ottiene il premio Nadar.
Si trasferisce quindi a Milano dove dal 1967 lavora per il settimanale L'Europeo, come fotoreporter, inviato speciale, poi corrispondente da Parigi, dove vive per dieci anni.
Introdotto da Henri Cartier-Bresson, entra nel 1982 nell'agenzia Magnum.
Dal 1987 alterna al reportage e al ritratto la fotografia di moda e di pubblicità, con successo internazionale. Svolge inoltre da anni un'attività critica e giornalistica che gli ha fatto pubblicare numerosissimi articoli in Italia e Francia su temi relativi alla fotografia e alla comunicazione con immagini in generale.


Quelli di Bagheria
Peliti Associati, 349 pagine, euro 35,00
 

 

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