Incroci

Un'amicizia ai sali d'argento

Gianni Berengo Gardin e Elliott Erwitt

 

Un'amicizia ai sali d'argento di Gianni Berengo Gardin e Elliott Erwitt. Un'esposizione presso l'AuditoriumExpo di Roma (fino all'1 febbraio) e un libro che l'accompagna, edito da Contrasto (20 x 24 cm, 200 pp., euro 29). Dove, per la prima volta, si mettono a confronto due grandi interpreti della fotografia, due maestri della camera oscura. Nella loro lunga carriera, Berengo Gardin e Erwitt ancora oggi percorrono il mondo guardandolo attraverso il visore di una macchina fotografica, strumento e pretesto di vita, per poi scegliere, sui provini a contatto, le foto migliori di cui la stampa finale, quella definitiva, avrà i segni, le luci e le ombre dei sali d'argento e della realtà. Molte celebri, altre poco note, altre ancora appena realizzate e mai mostrate finora, in questa mostra le immagini di Berengo Gardin e quelle di Erwitt dialogano una con l'altra, in un percorso incrociato di stili, recuperando il senso di uno sguardo, quello partecipe e intenso dei fotogiornalisti, e di un legame forte, come appunto l'amicizia. Un'amicizia fatta di camera oscura, di acidi di sviluppo e di sali d'argento.
 

Centoventi fotografie ripercorrono la carriera dei due fotografi, dai primi anni Cinquanta fino agli ultimi reportage realizzati in questi recenti mesi sulle grandi navi a Venezia per Berengo Gardin e uno reportage sulla Scozia per Erwitt. Ma in mostra ci saranno anche i provini delle più importanti immagini dei grandi fotografi e una ricostruzione del loro studio: il luogo magico dove tutto avviene o meglio, tutto si rivela. Di seguito, alcune considerazioni, tratte dal volume, dei due grandi autori sulla e attorno alla fotografia.

Gianni Berengo Gardin: Primo incontro
La mia esperienza con la macchina fotografica è cominciata molti anni fa e, in qualche modo, come atto di ribellione. Quando avevo quattordici anni abitavo a Roma. La città era invasa dai tedeschi che imposero di consegnare le armi ma anche le macchine fotografiche ai commissariati di polizia. Mia mamma aveva una vecchia macchina fotografica a soffietto e io, bastian contrario come spesso sono i ragazzini, andai in giro per la città con quell'apparecchio. Non sapevo niente di fotografia ma quasi solo per sfida scattai le mie prime foto. Dopo la guerra ci hanno ridato la macchina fotografica e ricordo di averla usata per creare il mio primo ingranditore artigianale, con tanto di lattine di conserva per diffusore.
 


Parigi, 1989 © Gianni Berengo Gardin / Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Gianni Berengo Gardin: Raccontare un paese
Nella mia fotografia esiste quindi un aspetto più poetico, narrativo, con lavori come quello su
Venezia, e un aspetto più da inchiesta, da chi vuole lanciare una denuncia sociale, con lavori come Morire di classe. Ma c'è anche, fin da subito, una modalità di racconto che si impone e di cui uno dei momenti più alti è stata la collaborazione con Cesare Zavattini. Tutto nasce dal progetto di Zavattini di raccontare in fotografia il suo paese natale, Luzzara e per farlo aveva coinvolto all'epoca il famoso fotografo Paul Strand ma il modo che aveva Strand di raccontare attraverso la fotografia era forse poco rappresentativo, poco realistico, più estraniato e astratto di quello che ci si aspettava. Quando Zavattini mi chiese cosa ne pensavo, non potei non dirgli che, pur essendo un grande ammiratore di Strand, quelle foto non raccontavano un paese italiano, semmai un paese italiano visto dal fotografo americano. E allora Cesare mi disse “va bene, parti e fai la tua visione di Luzzara”. Io ho tentennai per mesi poi mi sono deciso e ho fotografato Luzzara per conto mio, in modo meno poetico ma più documentario, riprendendo anche molti interni “ambientati”, per così dire: sempre con il personaggio che ci abitava. All'epoca in Italia non si usava, poi è diventata una moda, fotografare la gente in casa. Le fotografie si realizzavano tutte in strada. Il libro si chiamò Un paese vent'anni dopo ed è stato un grande successo di pubblico: rappresentava un modo nuovo di fotografare una piccola città. Nel libro ho scelto gli otto personaggi che aveva già ripreso Strand e li ho rifotografati vent'anni dopo per mostrare come fossero cambiati. Ed è successa una cosa straordinaria: i personaggi precedentemente fotografati da Strand hanno assunto la medesima posizione nella quale erano stati ripresi, anche se non avevano visto le fotografie, né il libro. Da qui ho dedotto che ognuno di noi, davanti all'obiettivo, ha quasi sempre la stessa reazione e si pone nello stesso modo.
 


Venezia, 1958 © Gianni Berengo Gardin / Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Gianni Berengo Gardin: Una professione a rischio
Certo, ormai come si dice la professione di fotografo è a rischio: tutti si improvvisano fotografi, basta un cellulare, si scatta e ci si sente un professionista. Ma la fotografia ha delle regole ben precise che bisogna conoscere e che tutti invece ignorano. Sarebbe come se un avvocato al primo giorno di studio andasse subito in Tribunale a difendere una causa invece di fare del tirocinio. Io non ce l'ho con il digitale. Ce l'ho con Photoshop che propina cose diverse dalla realtà spacciandole però per reali. In America e in Francia è allo studio una legge che obbliga le foto modificate con Photoshop a mostrare un segnale, ad avvisare della manipolazione per avvertire che, giustamente, una foto taroccata non è più una fotografia ma diventa un'immagine distorta, quindi un potenziale pericolo per la comunicazione per l'informazione. Non sempre ce ne rendiamo conto.

Gianni Berengo Gardin: Narrare con la fotografia, oggi
In qualche modo si può dire che ho cercato di svolgere negli anni una narrazione con la fotografia. In gran parte, se non quasi nella totalità, autoprodotta, stimolata da un interesse, una curiosità che autonomamente ho deciso di dirigere in una direzione piuttosto che in un'altra. Curiosità e voglia di denuncia hanno guidato anche il mio ultimo lavoro sul passaggio delle grandi navi da crociera nei canali di Venezia. Mi rendo conto di aver avuto un certo successo professionalmente proprio perché fotografo ancora con lo spirito e soprattutto con la passione del dilettante, non pensando mai che è un lavoro, che devo guadagnare dei soldi. Questa passione mi fa lavorare notte e giorno, sabato e domenica, sempre. Non prendo quasi mai vacanze; le mie vacanze sono fotografare.
 


Toscana, 1965 © Gianni Berengo Gardin / Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Elliott Erwitt: Sulla composizione
Se hai intenzione di scattare una fotografia, devi avere un senso visivo. A meno che tu non stia scattando foto ricordo del tuo gatto, cane, o bambino. Se vuoi prendere sul serio la fotografia devi studiare l'arte classica e devi avere un senso della composizione. Credo che tu debba trovare la sostanza nelle tue foto. Contenuto, significato. Se sei fortunato e fai qualcosa di interessante graficamente e a livello di contenuto, e c'è un po' di magia al di sopra di tutto, forse hai fatto una foto. Fotografare è davvero semplice, non è astrofisica. È il modo in cui reagisci a ciò che vedi, e lo metti dentro una cornice. Tutto qui. […] Forse questo dovrebbe restare un segreto: la fotografia è la professione perfetta per un uomo pigro. Non ti serve la pratica come a un musicista o a un dottore o a un ballerino. Ti bastano quella modesta abilità nel raggiungere l'ordine e la composizione o trovare il giusto equilibrio dello stato d'animo. Inoltre, a volte puoi lasciare passare un messaggio attraverso quello che fai. Questo è sufficiente. Essere al posto giusto al momento giusto può essere d'aiuto. Ci sono due composizioni. C'è la composizione inquadrata dal mirino e quella nella fotografia, la sua dinamica. La seconda può esistere anche se la prima è organizzata male. Raramente preparo le mie fotografie. Io le aspetto… lascio che si prendano il loro tempo. A volte, tu credi che stia per succedere qualcosa, e aspetti. Questo può portarti al successo, oppure no. Avviene una cosa incredibile nelle fotografie – le cose possono accadere. Non è che sono contro la messa in scena delle fotografie, o cose simili: sicuramente non si sta né imbrogliando né lavorando con falsi propositi. In fondo, anche quando aspetti, stai in un certo senso pianificando e manipolando. Sei pronto a incorniciare l'evento quando accade, nel modo in cui tu vuoi incorniciarlo. Forse mi sto contraddicendo.
 


Francia. Parigi. 1989 © Elliott Erwitt / Magnum Photos / Contrasto

Elliott Erwitt: Sul restare curiosi
Il fotografo scrupoloso lavora con la sua propria sensibilità, con il suo istinto, e la sua esperienza. Resta curioso verso tutto ciò che è visibile. Lui guarda, guarda ancora di più, e poi guarda ancora, perché questa è la base fondamentale della fotografia. Tutto qui… devi solo cercare e fare le tue connessioni. (Poi, certo, devi anche sperare che la Provvidenza userà sua bacchetta magica e renderà tutto ciò reale e buono).

Elliott Erwitt: Sulle foto emozionanti
Io osservo, provo a interessare chi osserva le mie immagini e soprattutto, voglio che le mie foto siano emozionanti. Mi interessa poco altro della fotografia. Oggi è stato fatto così tanto da persone poco emozionanti, o almeno così sembra… Voglio dire, lavori che sono affascinanti, divertenti, intelligenti e anche tecnicamente brillanti. Ma se non sono personali, manca tutto ciò che è interessante riguardo alla fotografia. Trovare della dolcezza nelle mie fotografie è il complimento più bello che io abbia mai ricevuto.
 


USA. New York. 1955. Empire State Building © Elliott Erwitt / Magnum Photos / Contrasto

Elliott Erwitt: Sul condividere le tue immagini con gli altri
Non puoi essere arrogante con il dono del senso visivo. Non stai cercando di trovare qualche uccello raro; stai scattando fotografie affinché altre persone le vedano. Tu li invogli a vedere quello che tu vedi. Così, mentre riconosci che potresti avere un raro talento, non puoi fare l'errore di trattarli con condiscendenza, o pensare che solo poche persone apprezzeranno veramente quello che hai fatto. In ogni caso, il pubblico dovrebbe essere capace di capire quello che hai fatto anche se non può capire esattamente come lo hai fatto. Non credo che ti alzi al mattino con l'intento di scattare una fotografia che diventerà un'icona. Forse, se sarai fortunato scatterai una foto buona e ne farai un buon uso e l'immagine sarà vista da molte persone. Suppongo che un'immagine debba essere vista da tantissime persone prima di diventare un'icona. Questo è parte della definizione.
 


SPAGNA. Valencia. 1952 © Elliott Erwitt / Magnum Photos / Contrasto


Chi sono

Gianni Berengo Gardin è nato a Santa Margherita Ligure nel 1930. Nel 1963 vince il World Press Photo. Dopo essersi trasferito a Milano si è dedicato principalmente alla fotografia di reportage, all'indagine sociale, alla documentazione di architettura e alla descrizione ambientale. Nel 1979 ha iniziato la collaborazione con Renzo Piano, per il quale documenta le fasi di realizzazione dei progetti architettonici. Nel 1995 ha vinto il Leica Oskar Barnack Award. È molto impegnato nella pubblicazione di libri (oltre 200) e nel settore delle mostre (oltre 200 individuali). Ha appena pubblicato Il libro dei libri che raccoglie tutti i volumi pubblicati (oltre 250).

Elliott Erwitt è nato a Parigi nel 1928 da genitori russi. La famiglia si trasferisce negli Stati Uniti nel 1939 per sfuggire le leggi razziali, fatto questo che permette a Erwitt di studiare cinema a New York. Svolge il servizio di fotografo in Europa presso l'US ARMY Signal Corps, ruolo che gli permise di entrare in contatto con Robert Capa che lo introduce in Magnum Photos di cui diventa membro nel 1970. Ha esposto nei più importanti musei del mondo e i suoi libri sono dei best sellers fotografici.

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