Andy Warhol & Terry O'Neill
Due interpreti della modernità attraverso codici visuali diversi, esposti a Roma uno accanto all’altro. Da una parte, il padre della Pop Art Andy Warhol, creatore di icone-rivisitazioni che spaziano dalla Coca Cola alla zuppa Campbell, da Mao a Marilyn Monroe fino alle banconote dei dollari e all’Ultima Cena di Leonardo. Dall’altra, il fotografo Terry O’Neill che per decenni ha fotografato la frontline of fame, icone del nostro tempo, miti di cinema, musica, moda, politica e sport, da Winston Churchill a Nelson Mandela, da Frank Sinatra a Elvis Presley, dai Beatles ai Rolling Stones, da Audrey Hepburn a Brigitte Bardot, da David Bowie a Amy Winehouse, da Nicole Kidman a Muhammed Ali.
Mick Jagger nei BBC Studios. Londra, 1964 81,1 x 58 cm. © Terry O'Neill
Fino al 28 settembre il Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla, ospita la retrospettiva intitolata Terry OʼNeill. Pop Icons, a cura di Cristina Carillo de Albornoz, che contiene alcuni dei suoi lavori più celebri, 47 ritratti che documentano i momenti più intimi e naturali di molte delle leggende del Novecento, immagini autentiche e spontanee di personaggi che hanno segnato la storia diventando delle vere e proprie icone degli ultimi cinquant’anni. «Ho avuto fortuna», racconta Terry OʼNeill, «mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto: la Londra degli anni 60. Avevi lʼimpressione che ogni giorno succedesse qualcosa di rivoluzionario».
Isabella Rossellini Londra, 1984 46,5 x 58 cm. © Terry O'Neill
Nato a Londra nel 1938, O’Neill collabora con riviste importanti come Rolling Stone e Vogue, con altri celebri colleghi, tra cui David Bailey, Terence Donovan e Brian Duffy, autori di quelle fotografie che immortalano la Swinging London di quegli anni.
I suoi scatti più belli sono spesso rubati dietro le quinte di set cinematografici e concerti, momenti informali nei quali i soggetti potevano sentirsi liberi di essere se stessi.
OʼNeill entra letteralmente a far parte delle loro vite, trascorrendo con loro intere giornate in piena sintonia, nel clima rilassato e disinvolto dellʼepoca. Grazie all’abilità nel gestire il rapporto con lo star system, alla capacità di essere per i suoi soggetti un osservatore discreto, allʼuso della più leggera e maneggevole 35mm, una novità assoluta per lʼepoca.
Muhammed Ali mentre si allena. Dublino, 1972 81,1 x 58,1 cm. © Terry O'Neill
Terry OʼNeill, il cui sogno era diventare un batterista jazz, ha cominciato la sua carriera nel dipartimento di fotografia della British Airways nellʼaeroporto di Heathrow di Londra, dove fotografava i viaggiatori che arrivavano nel paese.
Nel 1959 inizia a lavorare per il periodico Daily Sketch. Nel 1963, per lo stesso periodico, scatta la prima fotografia dei Beatles, negli studi di Abbey Road in occasione dellʼuscita del loro primo album Please Please me, per la prima volta un gruppo musicale appare sulla copertina di un periodico britannico.
A questa foto ne seguono molte altre, dai Rolling Stones, a David Bowie ed Elton John. Nello stesso periodo ritrae le grandi icone della moda da Twiggy a Jerry Hall.
A 26 anni decide di andare a Hollywood. I suoi amici, Micheal Caine e Richard Burton, gli aprono le porte del mondo del cinema, permettendogli così di immortalare star del calibro di Clint Eastwood, Paul Newmann, Sean Connery e Robert Redford. Vivendo tra i miti dello spettacolo e avendo con loro un rapporto di grande vicinanza e complicità, nei suoi cinquantʼanni di carriera OʼNeill realizza alcuni dei loro ritratti più autentici: da Frank Sinatra (fotografato nellʼarco di trentʼanni) a Bono Vox, da Elizabeth Taylor a Marlene Dietrich.
Sean Connery sul set di Una cascata di diamanti. Las Vegas, 1971 73 x 73,1 cm. © Terry O'Neill
Terry OʼNeill e Andy Warhol hanno ritratto entrambi alcuni personaggi leggendari, come Elvis Presley ed Elizabeth Taylor per esempio, cercando di cogliere lʼessenza di ciascuno e consacrandoli, in qualche modo, a icone senza tempo. Il lavoro di OʼNeill può essere accostato a quello di Warhol, che fin dallʼinfanzia colleziona autografi di star, presagendo il dilagare della mania dellʼimmagine. Nel suo studio, la famosa Factory, Warhol raccoglie intorno a sé un gran numero di artisti, scrittori, musicisti e figure underground e i ritratti scattati con la sua polaroid costituiscono la base dei suoi iconici dipinti fotografici.
Andy Warhol. Blue Shot Marilyn. 1964. Collezione Brant Foundation.
© The Brant Foundation, Greenwich (CT), USA. © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2014
Dopo la tappa milanese di Palazzo Reale, la prima grande monografica dedicata a Warhol, a cura di Peter Brant con il contributo di Francesco Bonami
, è al Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla, fino al 28 settembre. La mostra racconta tutto il percorso professionale di Warhol, presentando i capolavori di ogni periodo artistico di uno dei maggiori interpreti della società di massa e del consumismo che ha saputo trasformare in arte i feticci dellʼimmaginario collettivo. Il percorso della mostra si avvia negli anni Cinquanta, quando Warhol debutta nella commercial art e presto lavora come illustratore per riviste prestigiose (da Harperʼs Bazar al sofisticato New Yorker) e come disegnatore pubblicitario. E proprio dal lavoro per un famoso negozio di scarpe trae lʼidea delle incantevoli scarpette a foglia dʼoro che aprono la mostra insieme ad alcuni esempi di Blotted line, con quel tipico segno gracile e interrotto, frutto del caso più che della volontà dellʼautore.
Andy Warhol. Campbell's Soup Can (Chicken With Rice). 1962. Collezione Brant Foundation.
© The Brant Foundation, Greenwich (CT), USA. © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2014
È però una coloratissima e precoce Liz del 1963 a introdurre le prime Campbellʼs Sup e Coke, insieme a Disaster (Warhol coltivò un forte rapporto di attrazione e repulsione per la morte). Poi vi sono i dipinti dei francobolli, come S&H Green Stamps, 1962, fatti con stampini ripetuti e più e più volte sulla carta (lʼiterazione è uno dei codici linguistici prediletti di Warhol perché rende semanticamente più “neutro” il soggetto) e, dello stesso anno, i Red Elvis e il grandioso 192 One Dollar Bills; così come ci sono due splendide Marilyn, una del 1962 - lei appena morta - e una delle 4 Shot Marilyn del 1964, i dipinti trapassati in fronte dal colpo di pistola sparato in studio da unʼamica del fotografo Billy Name. Sono presenti in mostra altre super icone di Warhol: le Brillo Box e i primi Flowers, 1964, esposte a suo tempo nella prestigiosa galleria di Leo Castelli come se fossero sgargianti carte da parati. E anche i Mao, 1972, con i quali Warhol inaugura una nuova pittura meno neutrale e più gestuale; le Ladies and Gentlemen - la serie dedicata alle Drag Queens di New York - e un gran numero di Skulls, i teschi che dal 1976 in poi si moltiplicano nel suo lavoro che di lì in poi attinge a simboli più universali.
Andy Warhol. Mao. 1964. Collezione Brant Foundation.
© The Brant Foundation, Greenwich (CT), USA. © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2014
Unʼintera sala è dedicata alle polaroid che formano una sorta di gotha della New York anni ʻ60: la fama era del resto unʼossessione di Warhol e non a caso fu lui a coniare la famosa, e terribilmente profetica frase, sempre citata e spesso storpiata "15 minuti di celebrità" a cui in futuro nessuno avrebbe rinunciato. Non manca unʼOxydation (1978) gigantesca, ottenuta urinando su pigmenti metallici (nei suoi "Diari" le chiama Piss) e provocando così una reazione chimica che sfugge al controllo e crea nuovi colori. Esposto anche un immenso Camouflage del 1986, stesso anno della serie in cui rese omaggio a Leonardo Da Vinci con Last Supper, pure presente in mostra. Un anno dopo, nel 1987, Warhol moriva, dopo essere scampato miracolosamente alla morte nel 1968 quando una pazza gli aveva sparato al ventre.