Rassegne

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Incanto
Fotografia Europea

Reggio Emilia è diventata una delle capitali delle rassegne fotografiche in Italia. Lo dicono, oltre alla qualità delle proposte specifiche, i numeri di Fotografia Europea: oltre 100 mila visitatori nel 2009, circa 56 mila nelle tre giornate inaugurali, dal 7 al 9 maggio scorso, della quinta edizione del festival reggiano. 120 gli eventi tra conferenze, workshop, installazioni e spettacoli che affiancano l'offerta espositiva dislocata in oltre 240 tra sedi istituzionali e altri luoghi cittadini. 3 giornate inaugurali e poi le mostre allestite fino al 13 giugno. Un tema chiave, l'Incanto. L'incanto dello sguardo sul mondo come possibilità di scoprire e svelare i segni della trasformazione e del cambiamento della realtà; il filtro e la forza propositiva della sensibilità, attraverso cui la fotografia ci mostra le cose diversamente da come siamo convinti di vederle, mantenendo e interpretando la presenza dello sguardo e della mente sottesi agli occhi e all'obiettivo fotografico.

Man Ray
Man Ray, Photo pour “Composition”, 1936,
Fotografia new print, stampata nel 1980 da negativo originale del 1936
23,4 x 39,1 cm

Man Ray
Man Ray, Autoportrait suicidaire, 1929, Fotografia new print,
stampata nel 1978 da negativo originale del 1929

Evento di spicco della quinta edizione di Fotografia Europea, cuore dell'intera rassegna, l'omaggio al grande Man Ray, realizzato a cura della Fondazione Marconi di Milano. Ray, oltre che come pittore, creatore di oggetti e autore di film d'avanguardia, è conosciuto soprattutto come fotografo dada e surrealista. La retrospettiva reggiana copre l'intero arco del percorso creativo dell'artista, celebrando il suo sguardo visionario e ipnotico, in grado di trasfigurare tutto ciò su cui si posava, spaziando da una forma d'espressione all'altra, dalla pittura, alla creazione di oggetti alla regia d'avanguardia. «Qualsiasi cosa Man Ray fotografasse la trasfigurava, ne mostrava un lato inatteso, bastava che la fotografasse», scrive il curatore Elio Grazioli. «Non era una fotografia del reale, mai una scena colta dal vivo … né mai espressione soggettiva, ossessione o questione personale. Niente io – si vedano i suoi autoritratti, praticamente tutti inscenati. Sempre una scena costruita, come un oggetto d'affezione appunto, come pretesto per far scattare associazioni e voli immaginativi. Il reale non ha una funzione, è il materiale per guardare altrove». La mostra documenta ogni ambito del suo sguardo incantato sul mondo – composizioni, rayogrammi, ritratti dei grandi artisti amici (da Picasso a Giacometti, Brancusi, de Chirico, Duchamp, i surrealisti) e delle sue bellissime modelle (Lee Miller, Kiki, Juliet), fotografie di moda e altro ancora – ripercorrendo il suo percorso creativo, dagli anni Venti agli anni Cinquanta, e – parallelamente - la vita.

Nato a Philadelphia nel 1890 da genitori ebrei di origine russa emigrati negli Stati Uniti, Man Ray (pseudonimo di Emmanuel Radnitzsky) negli anni Dieci entrò in contatto con Alfred Stieglitz e gli ambienti dell'avanguardia artistica newyorchese. Dopo le prime opere di ispirazione cubista avviò la sperimentazione di varie tecniche – collage, sculture e assemblaggi, pittura ad aerografo – e iniziò a dedicarsi alla fotografia. Insieme a Marcel Duchamp divenne il principale animatore del dadaismo newyorkese. Nacquero allora i primi “oggetti d'affezione”, tra cui il celebre Enigme d'Isidore Ducasse. Nel 1921 si trasferì a Parigi, dove iniziò a realizzare i primi rayographs, lavorare ai film e legarsi al gruppo dei surrealisti, con i quali espose alla Galerie Pierre nel 1925 e in tutte le mostre successive. Restò a Parigi fino al 1940, affermandosi come uno dei migliori interpreti della poetica surrealista, con dipinti, assemblaggi d'oggetti, film d'artista e sperimentazioni fotografiche. Dopo lo scoppio della guerra si recò negli Stati Uniti, a Los Angeles, dove rimase fino al 1951; tornato a Parigi, vi si spense nel 1976.

© Esko Männikkö
Esko Männikkö, Untitled © Esko Männikkö, Courtesy artist and Galleria Suzy Shammah, Milano

L'altro grande approfondimento di Fotografia Europea è dedicato a Michael Kenna con un'esposizione di 290 fotografie in bianco e nero, di cui 200 costituiscono il vero e proprio percorso antologico (dalle immagini dei primi anni Settanta, scattate in Inghilterra, a quelle dei tre decenni successivi, esito di viaggi e commissioni in ogni continente del mondo); 35 documentano lo sguardo sul territorio reggiano, frutto di ricognizioni sul campo compiute negli ultimi tre anni; 35 si misurano con il perenne fascino di Venezia; 20 ripropongono uno dei cicli storici di Kenna, quello condotto sui luoghi dei campi di concentramento e sterminio nazisti. A Kenna (nato in Inghilterra nel 1953, ma residente negli Stati Uniti da trent'anni) non interessa descrivere accuratamente un luogo, ma cogliere tutto ciò possa suscitare, in chi guarda, l'immaginazione e la rêverie.

Per la sezione relativa alle mostre personali, sono quattro gli autori selezionati: Mark Borthwick, film-maker, musicista e fotografo inglese noto soprattutto nel settore della fotografia di moda ma artista a tutto campo, che ha lanciato un nuovo approccio alla fotografia fashion, grazie a una sua poetica fatta di scatti intimi e analogici, spesso sovraesposti, e di continui rimandi tra natura, capo di vestiario, persona, luce; Ange Leccia, artista francese attivo fin dagli anni Ottanta negli ambiti della fotografia e del video, forme d'espressione attraverso cui esplora e sfida il sottile discrimine tra video documentario e amatoriale e prodotto estetico dagli effetti delicati e nuovi; Alessandra Spranzi, che utilizza il mezzo fotografico per una ricerca incentrata sulle situazioni più quotidiane e comuni ma dai risvolti surreali e perturbanti, raccontando una visione altra o alterata della realtà e il nostro stupore di fronte ad essa; e Richard Wentworth, tra i più significativi scultori del panorama inglese, impegnato dagli anni Settanta nella realizzazione di un work in progress fotografico sulle "sculture di ogni giorno".

© Francesco Jodice
Francesco Jodice, What We Want, Kizilorda,T55,2008 © Francesco Jodice

Tra le produzioni originali di artisti europei, chiamati da Fotografia Europea a offrire la loro personale interpretazione iconografica del tema chiave dell'edizione, segnaliamo innanzitutto Francesco Jodice, autore di un progetto dedicato al tema della mobilità, all'evoluzione dell'automobile da bene a servizio, al nuovo concetto di mobilità condivisa (car-sharing): una serie di grandi fotografie in cui l'automobile, ritratta in scala 1:1, incarna la sua realtà di "luogo" dove trascorriamo parte della nostra vita e dove impariamo a percepire il paesaggio, cogliendo i cambiamenti veloci dell'ambiente e dei contesti attraversati. Da segnalare, anche, la ricerca del fotografo francese Alain Willaume, nell'ambito del progetto europeo SETSE (Seeing European Culture Through a Stranger's Eyes): La parte in comune + Rumori di un banchetto gioioso. Willaume ha ritratto numerose famiglie reggiane durante e subito dopo il momento del pasto, concentrandosi sui rituali domestici quotidiani e chiedendo poi a ogni membro della famiglia di distaccarsi dalla realtà e di ricercare una concentrazione interiore (accanto alle sue foto, anche una selezione di foto estratte dagli album delle famiglie che hanno preso parte al progetto e di immagini dagli archivi storici comunali).

© Kevin Cummins
Manchester Looking For The Light Through The Pouring Rain _Ian Curtis, Joy Division 1979 Leeds Ph, © Kevin Cummins

 

Di grande impatto sono gli scatti del fotografo inglese Kevin Cummins, che dagli anni Settanta a oggi ha realizzato ritratti di alcuni dei più acclamati musicisti della scena indipendente britannica, come Joy Division, The Clash, Sex Pistols, R.E.M., U2, Patti Smith, Marc Bolan, David Bowie, Mick Jagger, Oasis. Al centro della mostra di Kevin Cummins è la città di Manchester con la sua vivacità culturale, che ne ha fatto, dalla fine degli anni Settanta fino ai giorni nostri, una fucina di stili e tendenze musicali giovanili che si sono continuamente alternate, dal post-punk dei Joy Division alla musica indipendente legata all'etichetta della Factory, fino al fenomeno Mad-chester con band quali gli Happy Mondays e al Britpop degli Oasis.
 
Tra i progetti collettivi, che riuniscono i prodotti della ricerca fotografica di più autori delineando percorsi articolati e originali di interpretazione dei più svariati ambiti della realtà, segnaliamo Al di là delle apparenze opache, selezione di immagini che non negano la realtà, non ne rimuovono il dolore, ma la sanno vedere diversamente, perché sorrette dal bisogno di nutrirsi di immaginazione, speranza e attenzione partecipe, e resa nuovamente vibrante grazie alla dimensione affettiva o immaginaria del loro vedere. Tramite strategie visive e progettuali diversificate, capaci di creare una sorta di spostamento laterale o di spiazzamento rispetto a quello che abitualmente vediamo, le opere si aprono a una  dimensione nascosta ed evocativa. C'è chi, prima dello scatto fotografico, interviene creando performance o installazioni che trasfigurano il mondo in modo poetico, giocoso oppure volutamente utopico. Chi, grazie a uno sguardo ravvicinato oppure dilatato nel tempo, trasforma piccole porzioni di realtà (il muso di un asino, il modellino di una nave in bottiglia, una semplice stanza, un paesaggio, una vecchia fotografia) in apparizioni o presenze misteriose sospese nel tempo che sollecitano l'immaginario.

© Alessandra Spranzi
Alessandra Spranzi, Tornando a casa #9, Milano, 1996-1997 © Alessandra Spranzi

Infine, ci piace citare la collettiva di Mondi incantati, lo sguardo dei bambini sul mondo. Bambini-fotografi provenienti da nidi, scuole dell'infanzia e scuole primarie di Reggio Emilia e da 13 scuole di 11 paesi (Argentina, Brasile, Colombia, Finlandia, Messico, Olanda, Svezia, Stati Uniti, Inghilterra, Irlanda, Norvegia). Un insieme di punti di vista, un mappamondo da cui emergono differenze culturali dei luoghi e insieme somiglianze dello sguardo dei bambini sul reale. Le macchine fotografiche digitali hanno reso possibile per i bambini, già da diversi anni, un utilizzo autonomo e frequente; un altro linguaggio, - quello fotografico - è entrato nell'elenco dei molteplici linguaggi con cui i bambini  costruiscono spazi di pensiero e di emozioni. Le esposizioni fotografiche dei bambini sono progettate e realizzate come piccole coreografie dove, attraverso i loro scatti fotografici, le loro frasi, i brevi commenti degli insegnanti, si cerca di testimoniare alcune strategie dei bambini relative sia al linguaggio fotografico, sia al tema proposto: che cos'è l'incanto, come ci si incanta, cosa fa incantare i bambini, che soggetti scelgono per rappresentare l'incanto?

© Machiel Botman
© Machiel Botman
© Simona Ghizzoni/Contrasto
Simona Ghizzoni, Francesca 25 anni, Residenza Palazzo Francisci, Todi (PG), 2009 © Simona Ghizzoni/Contrasto

 

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