Inviato dietro casa. Le coordinate del lavoro qui proposto da Luigi Tazzari - Lat. 44° 29' Nord Long. 12° 17' Est - parlano chiaro: sono infatti quelle del Porto di Ravenna, città dove Tazzari è nato e cresciuto. Un reportage di documentazione sociale, che racconta realtà e problematiche della condizione dei portuali, ma attento – come fa notare Roberto Mutti nell'intervento che segue - all'aspeto estetico dell'immagine, colto dalle più diverse prospettive, a volumi e cromatismi e non solo a composizioni e informazioni. Un progetto fotografico che, spiega Tazzari, "nasce dall'esigenza di mettere in evidenza il contrasto tra la Darsena di città (oramai archeologia industriale) e dove le cose avvengono (cantieri navali, terminal, officine, il lavoro dell'uomo in mare), dalla voglia di dare un volto atutti quei lavoratori (circa 4 mila) che normalmente non vediamo".
© Luigi Tazzari |
Fin dall'antichità i porti erano luoghi carichi di un fascino particolare perché lì si concentravano due elementi importantissimi come l'innovazione tecnologica e la dinamicità sociale. I migliori maestri d'ascia, gli artigiani che conoscevano i segreti su come usare la pece per impermeabilizzare gli scafi o come usare le fibre per costruire le corde più robuste avevano negli arsenali un piccolo regno dove il loro valore era riconosciuto, anche se poi avevano bisogno di un contesto politico adatto in cui inserirsi. Nell'antica Grecia, laddove dominava l'aristocrazia conservatrice l'esercito difendeva la ricchezza dei proprietari terrieri mentre le città governate dal dèmos (una sorta di borghesia del tempo) puntavano molto di più sulla flotta militare che difendeva le rotte di quella mercantile.
© Luigi Tazzari - Porto di Ravenna Sapir compagnia portuale |
A riprova di ciò, infatti, la guerra contro i Persiani fu combattuta da Sparta con truppe di terra e da Atene con le sue veloci navi che fecero arenare il pesante naviglio persiano sulle secche vicino all'isola di Salamina. Una classe mercantile dinamica, coraggiosa, a suo modo colta, aveva bisogno di un sistema politico più aperto e non è un caso se fra le grandi opere messe in atto da Pericle – siamo intorno al 400 a.C. – ci furono le mura che, collegando la città di Atene al porto del Pireo, garantivano sicurezza a quei mercanti i cui proventi servivano di converso a fare sempre più bella e potente la pòlis. Anche in epoche più vicine a noi le città che si affacciavano sul Mediterraneo, per parlare di quelle che meglio conosciamo, erano le più moderne: così, per fare solo un esempio particolarmente significativo, nei quartieri che dalle attività portuali traevano i migliori vantaggi si parlavano le lingue più diverse, compreso quel mixage di arabo, portoghese, spagnolo, francese, greco e italiano che costituiva una sorta di "slang" non ufficiale eppure compreso da tutti i marinai. Ciò favoriva l'integrazione, permetteva uno scambio culturale proficuo, dava una spinta maggiore all'economia.
© Luigi Tazzari - Gruppo ormeggiatori Ravenna |
Quando l'invenzione della fotografia negli anni Quaranta dell'Ottocento cambiò il modo di osservare il mondo, le navi erano abbastanza simili a quelle dell'antichità, con tanto di alberatura, fasciame in legno e grandi vele. Mentre il treno, nato negli stessi anni della fotografia e legato alla simbologia del progresso rappresentata dal ferro e dal carbone, fu oggetto di un interesse straordinario da parte di ogni genere di fotografi, le navi e i porti non ricevettero la stessa attenzione. Nell'Italia di fine Ottocento si ricordano, è vero, bellissime visioni di autori anche importanti, ma se Giuseppe Wultz riprendeva il porto di Trieste, Giorgio Sommer quello di Napoli, Carlo Naya quello di Venezia o Celestino Degloix quello di Genova, lo facevano senza un interesse che non fosse vedutistico e senza alcun desiderio diapprofondimento sulla realtà anche sociale e lavorativa di quei luoghi. E quando, al contrario, Francesco Paolo Michetti, che era anche uno stimato pittore, e lo scrittore verista Giovanni Verga fotografavano rispettivamente le navi ancorate a Pescara e a Catania, la loro era un'intenzione più che altro artistica ed estetizzante.
Per giungere alla contemporaneità, bisogna dire che l'ambiente dei porti e delle navi sembra aver colpito maggiormente la fantasia dei registi cinematografici (qui l'elenco sarebbe davvero troppo lungo, ma ci limiteremo a citare "Fronte del porto") che non quella dei fotografi. Di questi, al massimo, si ricordano singole immagini, peraltro molto significative, come quelle scattate da George Eastman con la sua Kodak n. 1 sulla tolda di un veliero, da Paul Strand nel porto di Constanta in Romania e di Andreas Feininger in quello di New York.
© Luigi Tazzari - Porto di Ravenna navi e marinai
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Il lavoro di Luigi Tazzari è quindi da considerare per la sua originalità perché, per un verso si colloca nel filone del reportage di documentazione con alcune interessanti aperture al sociale ma per l'altro non trascura l'aspetto estetico. Qui, però, si colloca molto lontano dal grande rigore compositivo del Gabriele Basilico di "Porti di mare" cui preferisce una visione più diretta e cromaticamente accattivante. Questo soprattutto perché non fa emergere un interesse particolare per quella visione architettonica che in Basilico è così importante da non aver bisogno della figura umana per emergere. In Tazzari il discorso narrativo si svolge su un piano sostanzialmente diverso proprio a partire dalla scelta di analizzare solo il porto di Ravenna con il canale Candiano, la Darsena e la zona di San Vitale, senza immaginare di trasformare questi soggetti in un ideal-tipico che possa confrontarsi con altri luoghi simili. Pur limitando il suo raggio d'azione a un'area relativamente ristretta, il fotografo ravennate riesce a creare un microcosmo di grande fascino. È l'esito di una scelta di indagine molto analitica che sa cogliere in ogni immagine il frammento di un mosaico più ampio che solo nell'accostamento di molti particolari trova la sua ragion d'essere. È importante notare che Luigi Tazzari non predilige un solo punto di ripresa ma adatta il suo obiettivo alle più diverse prospettive.
© Luigi Tazzari - Porto di Ravenna dicembre 2003
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Questa è una caratteristica fondamentale per comprendere quello spiccato dinamismo che caratterizza tutta la ricerca: talvolta la visione si fa ampia e ci si può incantare di fronte alla grandiosità delle gru in movimento, in altri casi il fotografo si avvicina fino alla cabina dove un addetto opera quasi circondato dalle immagini del porto riflesse dai vetri in un gioco di rimandi incrociati. In altri casi è come se il fotografo si nascondesse per scrutare la sagoma della nave che, avanzando lentamente in un canale di cui non si vede l'acqua, sembra muoversi quasi magicamente, come fosse sospesa nel vuoto. Ogni tanto, come volesse ribellarsi alla dimensione attenta e misurata che applica alle sue fotografie, Tazzari fa comparire prepotentemente l'acqua ed è allora che, di giorno, sulla superficie si rincorrono irregolari i colori e le forme della navi ancorate a creare misteriose forme geometriche, mentre di notte tutto diventa più inquietante. Di notte, infatti, mentre luci liquide bucano l'oscurità, il mare si agita nella scia creata da un motore e anche il mondo riflesso sembra sconvolto in un gorgo. Poi, con il ritorno del giorno, tutto torna alla normalità, persino quella nuvoletta che si muove nel cielo come in una poesia di Corazzini. Ora la visione si fa frontale ma riesce a non banalizzarsi nella ripetizione: gli uomini al lavoro sembrano minuscoli, schiacciati come sono dalle dimensioni di grandi rotoli metallici, di imponenti coperture di plastica nera lucida, di gigantesche saracinesche gialle, di enormi spazi a cielo aperto dove si muovono elevatori, trattori, muletti dai colori sgargianti. Poi, basta che l'obiettivo si avvicini, e si scoprono oggetti di ogni genere che sembrano adatti a costruire composizioni di arte povera come i grandi ganci metallici dal becco adunco, le chiavi dai cartellini colorati appese a un armadietto, le cataste ben ordinate di assi, cavi, tubi, tronchi, posate in attesa di chissà quale utilizzo.
© Luigi Tazzari |
In tutto questo marasma che si intuisce ben organizzato, gli uomini si muovono con sicurezza, comunicano fra di loro tramite interfono, si raggruppano in un punto o nell'altro, attraversano uno spiazzo deserto, scompaiono oltre una scala che taglia diagonalmente una gigantesca parete, ricompaiono nel riquadro di una finestra da loro stessi costruita come se si affacciassero a un trompe l'oeil. Ma quando Luigi Tazzari decide che si sofferma sui personaggi, allora è come se tutto il clangore, il fumo, il movimento finissero su un ideale sfondo perché agli uomini dedica un'attenzione particolarissima che sembra richiamare alla memoria quegli uomini anonimi che August Sander seppe, nella Germania degli anni Trenta, far diventare protagonisti. Qui siamo di fronte ad ufficiali di marina che, si intuisce, hanno conosciuto i mari di ogni latitudine ma anche a elettricisti che posano orgogliosi accanto a masse intricate di cavi coloratissimi, a marinai accostati alle porte dei ponti, a cuoche e addetti alle pulizie, meccanici e camerieri perché una nave è un universo dove le razze, i ruoli, le capacità, le gerarchie si incastrano in un ordine perfettamente funzionante dove tutto, misteriosamente, acquista un senso preciso e imprescindibile.
© Luigi Tazzari - Piloti del porto di Ravenna
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Poi, come era stato capace di indagare sugli uomini, lo sguardo del fotografo sa farsi silenzioso di fronte ai luoghi abbandonati. Segue con attenzione e rispetto le aree che erano state la Darsena e un cantiere dell'Enel, cattura strutture scheletriche ancora imponenti, stanze svuotate che conservano i segni di fili elettrici, tubature o armadi, muri corrosi dal tempo, grandi cavi arrotolati sui rocchetti di legno accatastati in angoli in penombra, cartelli smangiati dalla ruggine, binari improvvisamente interrotti come in una metafora. Ma questa è solo una parentesi, ben presto Luigi Tazzari torna a parlare del presente e della vita. Lo fa, soprattutto, con una bellissima immagine di respiro teatrale: in primo piano ci sono le linee nette blu e arancio della fiancata di una nave dai cui oblò fuoriescono i cavi che la tengono ancorata alla riva e da questo orizzonte metallico spunta, lontano, il profilo della città che si distende sotto un cielo nuvoloso mentre tutta l'atmosfera è pervasa dal colore ambrato del tramonto. Come a dire dell'amore di Ravenna per il suo porto.
Chi è
Fotografo professionista dal 1983. Servizi fotografici pubblicati sui più importanti periodici e riviste nazionali: come L'Espresso, Panorama, Famiglia Cristiana, Lo Specchio, Sette, Epoca, L'Illustrazione Italiana, Tuttoturismo, Dove, Carnet, GenteViaggi, Bell'Italia, Touring Club Editore, Viajes National Geographic Spagna. Da circa 15 anni rappresentato dall'Agenzia fotografica Grazia Neri di Milano e dalla Gamma Presse Images di Parigi. Ha pubblicato nel 2004 il libro fotografico "I primi cinque minuti della mia vita", dedicato al momento magico della nascita, nel 2005 il libro fotografico "Un'estate al mare" sulla riviera emiliano romagnola e nel 2006 il libro fotografico "Lat. 44° 29' Nord Long. 12° 17' Est" sul porto di Ravenna.