Francesco Cabras

A cura di:

Il gusto dell'inquadratura



Mandalay - Birmania 1995

Ho iniziato a fotografare a undici anni perché mio padre era un appassionato fotoamatore e perché avevo invidia di mio fratello più grande che già aveva iniziato a farlo prima di me. E perché il protagonista di Blow Up mi sembrava facesse una vita magnifica con ragazze interessanti e promiscue continuamente ai suoi piedi. Le motivazioni hanno un'importanza relativa, possono essere molte e sfaccettate, l'importante è iniziare.

Il gusto dell'inquadratura è la fotografia. Prima del soggetto, prima del colore, prima del bianco e nero, prima della luce forse. Quel gusto si ha, si può scoprire e si può affinare. Mia madre è un'appassionata d'arte e ogni quadro che ho visto nelle mostre da quando ero piccolo mi ha insegnato molto, ma soprattutto il suo piacere nel descriverli.

Sono solo le emozioni autentiche che possono insegnare qualcosa e che arrivano, il resto è nozione, utile ma insufficiente. Così come la poesia e la potenza evocate da un muro scrostato o una porta arrugginita: l'attenzione per la piccola o grande bellezza, ovunque, mi è stata trasmessa dai miei genitori.

Non parlo della mia infanzia solo per debolezza autoreferenziale ma perché in quel periodo avvengono le esperienze emotive e percettive che rimangono alla base di questo lavoro. Ho passato gli anni delle medie in camera oscura, non sono mai diventato molto bravo come stampatore, ma la possibilità di modificare l'inquadratura riposizionando il foglio di carta sensibile o ingrandendo zone del fotogramma mi ha fatto capire l'importanza del 'quadro'.



Nubra Valley - India 2001

Il bilanciamento, l'equilibrio finalizzato a ciò che si vuole ottenere, la necessità di capire le regole della composizione e ovviamente di trascenderle completamente là dove abbia un senso. Quello che viene chiamato anche colpo d'occhio dove fondamentale è la velocità e il coraggio. Velocità perché il soggetto, se animato si muove, cambia posto o espressione insieme alla luce; il coraggio perché c'è sempre uno spostamento più interessante rispetto alla prima inquadratura che ci accontenta.

Mio padre amava la fotografia di ritratto, ma forse per pudore, moglie e figli a parte, riprendeva solo paesaggi e monumenti. Anche per questo mi sono dedicato quasi esclusivamente al ritratto. Qui si parla di un'altra luce, quella degli occhi, quella che passa anche attraverso gli occhi chiusi, quella che appartiene ai movimenti intimi del soggetto, alla sua vita e alla sua storia evidentemente. Di quella luce occorre innamorarsi altrimenti non funziona.
E' chiaro che un certo grado di innamoramento si può raggiungere anche con un processo razionale, con la tecnica, il mestiere; si devono pur pagare le bollette ogni tanto! Può sembrare contraddittorio ma se è possibile mettere in moto certi meccanismi nel corso di una relazione sentimentale, è ancora più facile, e meno pericoloso, farlo fotografando.



San Pedro Sula - Honduras 1998

Io so esattamente che tipo di temperatura emotiva mi conquista di uno sguardo e non è facile trovarla o ottenerla. Quella luce, quell'espressione è il motore: è la sensazione che il lavoro che sto facendo può avere un senso. Arrivare a quella luce può voler dire accantonare il proprio pudore e quello degli altri, invadere per ottenere un risultato espressivo, rischiare di ferire un'emozione per ottenerne un'altra la cui visione provocherà altre emozioni.

Il discorso è vecchio, ogni fotografo di reportage sa cosa significa, il fine giustifica i mezzi eccetera. I confini sono individuali e i risultati anche, entrambi hanno una grande importanza e ancora più importante è la loro equazione.

Nella fotografia di reportage è fondamentale la pazienza oltre a coraggio e velocità. Ma anche la libertà di poter scattare e basta. Sono regole banali, applicabili a qualsiasi genere di fotografia, lavoro o disciplina, ma sono vere. Prima e dopo queste regole ci deve essere il mistero credo, il mistero e la coscienza o incoscienza emozionale di essere alla ricerca di qualcosa cui è possibile dare mille spiegazioni apparenti, ma che, nella sua essenza, è impossibile descrivere.



Ladakh - India 2001

Nota biografica
Francesco Cabras è nato nel 1966. Laureato in psicologia, fotografo e giornalista specializzato in reportage di viaggio e musica rock ha collaborato con tutte le maggiori testate del settore.
Attualmente si dedica principalmente alla regia e alla fotografia di documentari e videoclip musicali insieme ad Alberto Molinari e Francesco Struffi, co-fondatori della società di produzione Ganga.
Cabras è anche attore, autore di canzoni, guidebooks e brevi racconti. Alcune delle fotografie visibili su questa pagina sono state scattate sul set del film di John Madden Il Mandolino del Capitano Corelli.

Le stampe in bianco e nero, realizzate da Meri Evangelisti e Luciano Corvaglia, sono diventate la sigla finale di Italian Soldiers documentario diretto da Cabras sull'avventura umana e professionale dei 13 attori italiani coinvolti nella grande produzione hollywoodiana. Il documentario è stato trasmesso da Tele+ e ha riscosso un ottimo successo di pubblico e critica al Torino Film Festival e al Festival di Amsterdam IDFA.

Per saperne di più: www.gangafilm.com

 
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Francesco Cabras Giovanni Lattanzi

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