ALGERIA- 2003 - Il Terremoto
Boumerdes, il 21 di maggio alle nove meno dieci di
sera un violento terremoto colpisce il nord dell'Algeria
una ottantina di chilometri
ad est di Algeri |
Ecco il testo che Filippo Caroti ha scritto
per presentare la selezione di immagini di Giovanni
Conte:
Un nero fuligginoso ricopre di mistero la visione
che Giovanni Conte ci dà del mondo in cui
ama muoversi. È una foschia
densa che si penetra a fatica e che pone una distanza
tra colui che vede -e noi con lui- e chi o cosa
è visto. Conte fotografa volti,
sguardi,
esistenze strappate al fluire perpetuo e caotico
di una vita accelerata, in cui sempre più si amplia
la distanza tra coloro che semplicemente passano
per abitudine e coloro che invece riescono a fermarsi a
pensare sul senso di ciò
che li circonda. Ed egli è tra questi ultimi, con
il coraggio e la solitudine della diversità
passa tra le maglie del mondo, lasciandosene stupire,
incidere, talora scarnificare: le sue immagini portano i
segni di questo dolore.
CPT- 2002-03
Centri di permanenza temporanea
Il Mondo è là |
In esse l'atmosfera è sospesa,
bloccata in un istante di eterno presente che svela la fragilità
e il nonsense della vita moderna. È la scoperta
di questa insensatezza a lacerare: Conte si distacca,
guarda dall'esterno il
ciclico ripetersi dei gesti e dei rituali senza speranza,
osserva e offre una visione
di un uomo prigioniero di se stesso, che sia in un centro
di accoglienza, tra le macerie di un terremoto o lungo le
strade di una metropoli. Un senso di inquietudine
pervade i suoi scatti,
le luci gravano cupe, dense, le atmosfere si fanno irreali;
le persone che egli fotografa appaiono aliene,
anime alla deriva, i loro
volti soffrono il peso dell'esistenza, di questa esistenza
chiusa, limitata dai pregiudizi e schiacciata
dalla inevitabile convivenza con gli altri e con l'habitat
in cui vivono.
URBAN BODIES
Festival di performances artistiche urbane
Genova giugno 2003 |
Sono volti che spesso si nascondono,
rifuggono la luce, cercano un oblio
di ombre in cui celarsi, all'interno del quale
ritrovare la propria libertà,
la dignità di un proprio spazio
esistenziale personale in cui provare a tornare
ad avere senso; altri invece
si sfibrano, in una macchia sfocata che dilata eternamente
i propri limiti: senza
più confini netti, viene sciolto il giogo razionale
e pregiudiziale a cui la realtà ci sottopone e l'emozione
è libera di percorrere le strade del sentimento
e dell'immaginazione. In queste macchie
di infinito, nuovamente, tali volti cercano di
tornare a trovare un angolo di libertà,
un luogo di personale esistenza
in cui ritirarsi e in cui cercare protezione dal
mondo e dal giudizio. E persino laddove la fisionomia è
perfettamente decifrabile, quando tutto potrebbe finalmente
sembrare aperto, disponibile,
rassicurante, di facile interpretazione, esiste invece un
muro invalicabile, una barriera che impedisce di violare
l'intimità di quegli
sguardi, chiusi verso l'interno dei propri timori, schiacciati
dal peso dell'esistenza o del tentativo di esistere, e li
offre ai nostri occhi distanti e imperscrutabili, in una
relazione metafisica col proprio ambiente. È appunto
in questa necessaria, dolorosa ricerca
delle dissonanze e delle dissociazioni della vita
e dei suoi vuoti, delle asincronie tra l'uomo ed il proprio
spazio, che si muove silenziosa ed impellente la tensione
formale e visuale del giovane fotografo genovese.
ALGERIA- 2003 - Il Terremoto
Reghaia, uomini scavano fra i detriti. |
Chi è
Giovanni Conte nasce a Genova nel novembre 1970. Si avvicina
alla fotografia negli anni dei suoi studi classici. In seguito,
inizia a collaborare come stampatore e assistente con alcuni
studi della sua città per poi trasferirsi nel 2001
a Roma per frequentare un corso di fotogiornalismo presso
la Graffiti. Nel 2002 si aggiudica il Premio Canon, "miglior
progetto", con un lavoro sui centri di accoglienza
per immigrati, tutt'ora in corso. Nel 2003 realizza un reportage
sugli effetti del terremoto in Algeria.
www.puntidivista.com
IBAN - 2001
La cultura Iban si è formata sulle sacre colline
sel Sarawak, nel Borneo Malese. Non potendo contare
su un'economia di mercato
gli Iban basano la loro autosufficienza sulla coltivazione
del riso a secco, coltivazione di tipo ciclico e stagionale.
I campi vengono
dati alle fiamme durante la stagione secca e quindi
seminati.
Alcuni contadini in un momento di pausa dal lavoro. |