Autunno, tempo di retrospettive. Protagonisti tre grandi nomi. Il primo è Oliviero Toscani, da tempo un comunicatore più che un fotografo, non solo il fotografo pubblicitario di respiro internazionale, conosciuto in particolare per le campagne Benetton dal 1982 al 2000, ma un opinion-maker, uno da studio televisivo e da dibattito di attualità. Il secondo è Werner Bischof, fotoreporter svizzero autore di reportage da angoli diversi e remoti del mondo, dall’India al Giappone, dalla Corea all’Indocina fino ad arrivare a Panama, in Cile e in Perù. Il terzo, uno dei componenti storici della Magnum Photos, è l’ungherese Robert Capa, fotografo e giornalista, testimone della guerra civile spagnola, della seconda guerra sino-giapponese, della seconda guerra mondiale, della guerra arabo-israeliana e della prima guerra d’Indocina.
La retrospettiva dedicata a Oliviero Toscani, Immaginare – al m.a.x. museo di Chiasso (Svizzera) fino al 21 gennaio 2018 - ripercorre cinquant’anni di vita professionale. Toscani pone l’attenzione sull’atto di “immaginare” come momento di scelta consapevole del mestiere di fotografo. Fin dagli esordi si è contraddistinto per creatività e visione, capace di spingere e spingersi nella ricerca della scoperta e della conquista, usando trasgressione e provocazione, forze che appartengono all’arte, e facendo della diversità un valore contro l’omologazione e per una libera espressione della comunicazione.
La mostra, curata da Susanna Crisanti e Nicoletta Ossanna Cavadini, ruota attorno al tema della multiculturalità, argomento sviluppato da Oliviero Toscani con differenti modalità e prospettive. La rassegna prende avvio dalle fotografie inedite, realizzate da Toscani durante il suo fondamentale periodo di formazione alla Kunstgewerbeschule di Zurigo nei primi anni sessanta e nei “viaggi studio” a Londra, in Bretagna, in Sicilia, in Puglia e negli Stati Uniti – dove la sua verve di innovatore e visionario si manifesta. Il percorso prosegue analizzando la sua attività degli anni successivi che si concentra sulle campagne pubblicitarie per aziende a livello internazionale, come quella che lo rese famoso in tutto il modo per United Colors of Benetton, senza dimenticare le campagne per Esprit, Chanel, Fiorucci, Prenatal, Jesus Jeans e Valentino, in cui si evidenzia un’inconsueta e originale modalità di scelta e di taglio dell’immagine.
L’esposizione presenta anche una sezione dedicata alla rivista internazionale “Colors”, concepita e diretta dallo stesso Toscani dal 1991 fino al 2000, in cui vengono affrontati temi sociali di grande attualità – ma all’epoca meno dibattuti – come l’emigrazione, la guerra, l’ecologia, l’Aids, l’anoressia. Ad accogliere i visitatori, intorno all’edificio del m.a.x. museo, grazie al prestito da parte delle Nazioni Unite Human Rights (“Stand Up For Human Rights”), ci saranno un centinaio di pannelli del progetto “Razza Umana”, che presentano i volti di donne e uomini provenienti da diversi paesi. La mostra prevede una successiva tappa a Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione a Treviso ideato da Oliviero Toscani e da lui diretto fino al 2000, dove sarà presentata da marzo a giugno 2018, anche in correlazione con la Biennale di architettura di Venezia.
Fino al 25 febbraio 2018, Casa dei Tre Oci di Venezia ospita una grande antologica – Fotografie 1934-1954 - dedicata a Werner Bischof (1916-1954), membro della celebre agenzia fotografica Magnum Photos. La mostra, curata dal figlio Marco Bischof, presenta 250 fotografie, tratte dai più importanti reportage di Werner Bischof da tutto il mondo. Bischof non si limitò a documentare la realtà con il suo obiettivo, ma si fermò a riflettere con “occhio neorealista” di fronte ai soggetti, cercando di raccontare le dicotomie tra sviluppo industriale e povertà, business e spiritualità, modernità e tradizione.
Per la prima volta, è esposta una selezione di 20 fotografie in bianco e nero inedite che hanno nell’Italia il suo soggetto privilegiato. Partendo dall’Europa, appena uscita devastata dalla seconda guerra mondiale, si giunge in India di fronte a un paese attanagliato dalla povertà e dalla miseria, ma in cui si iniziano a intravedere gli sviluppi industriali che la porteranno a essere uno delle nazioni leader del nuovo millennio.
Dopo il confronto spietato tra gli elementi della cultura tradizionale giapponese e il dramma della guerra di Corea si approda nel continente americano. Il viaggio di Bischof prosegue nelle città statunitensi, di cui coglie lo sviluppo metropolitano, anche con una serie di fotografie a colori, e si chiude idealmente tra i villaggi del Perù e sulle cime andine dove trova la morte. Non manca una sezione dedicata alle fotografie di paesaggio e di natura morta, realizzate in Svizzera, tra la metà degli anni trenta e quaranta del Novecento.
E infine, last but not least, fino al 22 gennaio 2018 il Museo Civico di Bassano del Grappa ospita, in collaborazione con Magnum Photos, la Casa dei Tre Oci e Manfrotto, la mostra “Robert Capa. Retrospective”, dedicata, in occasione delle celebrazioni dei 70 anni dalla fondazione di Magnum Photos, a una delle figure di maggior spicco del fotogiornalismo del XX secolo. La rassegna, curata da Chiara Casarin, direttore dei Musei Civici bassanesi, e Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci di Venezia, presenta 97 fotografie in bianco e nero, che il fotografo, fondatore di Magnum Photos nel 1947 (insieme a Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David “Chim” Seymour e William Vandivert) scattò dal 1936 al 1954, anno della sua morte in Indocina per una mina anti-uomo. Alle fotografie belliche si aggiunge una serie di ritratti di amici e artisti tra cui Picasso, Bergman, Hemingway, Faulkner, Matisse.
Eliminando le barriere tra fotografo e soggetto, le sue opere raccontano la sofferenza, la miseria, il caos e la crudeltà della guerra. Nelle sue immagini è possibile scorgere la cifra stilistica e poetica, quella “vicinanza” - fisica, emotiva - che riecheggia nella sua famosa frase «Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino». Gli scatti, divenuti iconici – basti pensare alle uniche fotografie (professionali) dello sbarco in Normandia delle truppe americane, il 6 giugno 1944 – ritraggono alcuni conflitti mondiali del XX secolo, di cui Capa è stato testimone oculare: dalla guerra civile spagnola (1936-1939) alla resistenza della Cina all’invasione giapponese (1938), dalla Seconda guerra mondiale (1941-1945) al primo conflitto arabo-israeliano (1948), fino alla guerra francese in Indocina (1954).
«Se la tendenza della guerra – osserva Richard Whelan, biografo e studioso di Capa – è quella di disumanizzare, la strategia di Capa fu quella di ri-personalizzare la guerra registrando singoli gesti ed espressioni del viso. Come scrisse il suo amico John Steinbeck, Capa «sapeva di non poter fotografare la guerra, perché è soprattutto un'emozione. Ma è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino, mostrando l'orrore di un intero popolo attraverso un bambino». All’interno del percorso il visitatore potrà ripercorrere la vita e il lavoro di Capa, sin dal suo primo incarico internazionale per l’agenzia berlinese Dephot, a Copenaghen nel 1932, per la conferenza di Trotskij. In mostra anche le fotografie delle tumultuose parate di Parigi del 1936 e della guerra civile in Spagna, nello stesso anno, cui la celebre rivista inglese Picture Post dedica un inserto di undici pagine con l'indimenticabile didascalia: "Il più grande fotografo di guerra al mondo: Robert Capa”. A queste si aggiungono i reportage della resistenza della Cina all’invasione giapponese del 1938, della Seconda guerra mondiale, che Capa seguì sui diversi fronti di battaglia con le dense immagini della conquista della Sicilia e di Napoli del 1943, per arrivare al D-Day e alla liberazione di Parigi del 1944, l'invasione in Germania con i parà americani del 1945, il viaggio in Russia del 1947, fino alla fondazione ufficiale dello stato di Israele del 1948 e suo ultimo incarico di guerra in Indocina del 1954.