Due festival, e i premi nati nel loro ambito, forniscono l’occasione per fare il punto sullo stato del fotogiornalismo mondiale. Il primo si svolge in Italia, l’altro in Francia. A Lodi è in corso la 10a edizione del Festival della fotografia etica, fino al 29 ottobre mostre e incontri, laboratori e visite guidate. A Lodi saranno premiati i vincitori della settima edizione del World.Report Award / Documenting Humanity, che quest’anno ha visto la partecipazione di 772 fotografi di 51 nazionalità differenti, in rappresentanza di tutti i continenti. Ecco, di seguito, i vincitori delle cinque categorie del concorso.
Il Master Award 2017 è andato all’australiano trapiantato in Messico Daniel Berehulak per il reportage sulla brutale campagna contro la droga del presidente Rodrigo Duterte nelle Filippine: They Are Slaughtering Us Like Animals (Ci stanno massacrando come animali) realizzato per il New York Times. «Un lavoro di serio e complesso approfondimento giornalistico magistralmente realizzato. Le immagini raccontano in presa diretta il dramma di una nazione e della sua classe politica», recitano le motivazioni della giuria.
Così Berehulak presenta il reportage: «Si viene a sapere di un omicidio ancor prima di vederlo: le grida disperate di una nuova vedova, le sirene dal suono acuto delle auto della polizia, il ticchettio della pioggia sull’asfalto di un vicolo di Manila e sulla schiena di Romeo Torres Fontanilla. Tigas, come era conosciuto il signor Fontanilla, giaceva prono sulla strada quando ho accostato dopo l’una di notte. Aveva 37 anni. Dei testimoni dicono che l’uomo è stato ucciso a colpi di pistola da due uomini in moto di cui non si conoscono le generalità. La pioggia aveva lavato via il suo sangue nel rigagnolo. Il vicolo bagnato di pioggia nel quartiere di Pasay di Manila era la mia diciassettesima scena del crimine al mio undicesimo giorno nella capitale delle Filippine. Sono venuto a documentare la campagna sanguinosa e caotica contro la droga che il presidente Rodrigo Duterte ha cominciato dopo essersi insediato il 30 giugno 2016. Da allora, oltre 3000 persone sono state uccise per mano della polizia.
Durante i miei 35 giorni nel paese ho fotografato 57 vittime di omicidi in 41 luoghi diversi. Ho assistito a scene sanguinose quasi ovunque: per strada, sui binari ferroviari, fuori da una scuola per ragazze, in negozi 7 Eleven e nei McDonald’s, sui materassi nelle camere da letto e sui divani nei salotti. Un giorno ho trovato un uomo morto davanti a un chiosco “sari sari”, ucciso con un colpo di pistola da due uomini in moto, una tattica comune chiamata “cavalcare in tandem”. In un altro quartiere, una bambola Barbie insanguinata giaceva accanto al corpo di una ragazza di 17 anni che era stata uccisa di fianco al suo ragazzo di 21 anni.
“Ci stanno ammazzando come bestie”, ha affermato un passante, troppo spaventato per dare il suo nome. Ho anche fotografato veglie e funerali, una parte sempre più importante della vita quotidiana sotto la presidenza di Duterte. Parenti e preti raramente menzionano le cause brutali della morte. I corpi sono conservati nelle agenzie funebri, mentre i parenti faticano per mettere insieme i soldi necessari per il funerale. Nell’obitorio i morti sono impilati come legna da ardere, senza nulla che separi i cadaveri. Chi si occupa delle cerimonie funebri cerca di lucrare sulle salme di coloro che hanno una famiglia che può sostenere i costi, mentre gli altri finiscono in una fossa comune con altre vittime della guerra alla droga del presidente».
Lo Spotlight Award 2017 è andato all’italiano Giorgio Bianchi per il reportage Donbass Stories, Spartaco and Liza, «un lavoro coinvolgente», come si legge nelle motivazioni della giuria, «che ci porta a vivere le esperienze in un paese dimenticato attraverso gli occhi di un soldato. La vita quotidiana, gli affetti e la guerra diventano esperienza personale e intima». «Dopo aver compiuto cinque viaggi in Ucraina nel corso di quattro anni», racconta Bianchi, «ho pensato che avevo già documentato tutto ciò che è avvenuto di importante in quel paese, dalle contestazioni del movimento Euromaidan alla guerra nel Donbass, la regione mineraria situata nella parte più ad est del paese. Dal luglio 2016 poco è cambiato in Ucraina in termini di assetti strategici e il loro impatto sulla vita della popolazione civile.
Con questo pensiero in testa, ho iniziato a chiedermi come avrei potuto continuare a lavorare su questo progetto a lungo termine, occupandomi della storia di questo territorio cercando di non ripetermi e non parlare di quanto avevo già raccontato tanto negli anni precedenti. Così è nato il progetto che ho intitolato “Storie del Donbass”. L’idea è quella di rappresentare quelle persone invisibili colpite da eventi tragici. Il principale obiettivo del mio lavoro è raccontare le sfide quotidiane che queste persone stanno affrontando. Subito dopo lo scoppio del conflitto nel Donbass, Spartaco, uno dei protagonisti di questa serie di storie, ha lasciato il suo lavoro e la casa dove viveva con sua madre nel nord d’Italia per arruolarsi come volontario nei ranghi delle milizie pro-russe. Single e senza figli, con uno stipendio di soli 900 euro al mese e un lavoro precario, Spartaco è una delle tante vittime della crisi economica italiana.
Convinto di non aver nulla da perdere, ideologicamente molto motivato e confidando sulla sua precedente formazione militare (paracadutista nella Brigata Folgore), Spartaco ha deciso di aderire alla causa separatista, abbandonando definitivamente la sua vita nella provincia bresciana. Giunto a Donetsk nell’autunno del 2014, la sua esperienza militare gli ha permesso di essere immediatamente arruolato nel battaglione di Vostok e di essere mandato rapidamente al fronte, al termine di una preparazione frettolosa e senza conoscere una sola parola di russo. Spartaco ha conosciuto Liza attraverso Facebook. Liza è una donna di Donetsk che ha imparato a parlare in italiano grazie ai social network. Abbandonata dal marito, che è fuggito in Russia dopo l’inizio del conflitto, Liza vive insieme ai suoi figli nella casa dei suoi genitori. Durante i due giorni di riposo, Liza terminato il turno in teatro dove lavora raggiunge Spartaco per trascorrere qualche ora in intimità con lui».
Lo Short Story Award 2017 se lo è aggiudicato l’italiano Emanuele Satolli con il suo lavoro La battaglia di Mosul. «Nelle immagini del fotografo una rappresentazione della guerra diretta e senza filtri. Un territorio difficile, dove le condizioni e rischi estremi richiedono una professionalità ai massimi livelli », sottolinea la giuria. Così Satolli presenta il suo reportage, realizzato a Mosul e aree limitrofe, nel nord dell’Iraq, nel periodo ottobre 2016/aprile 2017: «La battaglia di Mosul sta giungendo alla sua fase finale. Dopo quasi 6 mesi di combattimenti, un’offensiva militare condotta dagli iracheni e appoggiata dagli americani, ha cacciato l’Isis da più di metà della città e circondato i miliziani in un’enclave sulla sponda occidentale del Tigri. Di conseguenza, lo Stato Islamico è sul punto di perdere la città più grande e più importante, che poteva una volta reclamare come parte del suo regno in Iraq e in Siria.
Dal 16 ottobre 2016, quando il Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi ha dato il via alle operazioni militari per riconquistare la città di Mosul sotto il controllo dell’Isis dal giugno 2014, migliaia di civili sono stati costretti a fuggire dalle loro case per trovare riparo nei campi profughi. Molti altri sono rimasti intrappolati in città dove i combattenti dell’Isis attaccavano in maniera indiscriminata le aree in cui vivevano i civili con colpi di mortaio ed esplosivi, sparando deliberatamente sui residenti in fuga. Gli scontri stanno causando un crescente numero di vittime fra i civili e i residenti riferiscono di scene terrificanti: militanti dell’Isis che usano le persone come scudi umani e li imprigionano nelle loro case, incursioni aeree da parte della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti che hanno raso al suolo intere abitazioni».
La giuria ha assegnato l’European Photographers Award (che vuole focalizzare l’attenzione sulle diverse cittadinanze dei fotografi europei, riservando l’edizione di quest’anno a candidature di fotografi di cittadinanza francese) a Romain Laurendeau - per il suo reportage Derby - perché «le immagini non solo parlano di una passione, ma diventano strumento per raccontare i sogni, le tensioni e le lotte di un’intera generazione». Laurendeau così racconta il suo progetto realizzato in Algeria tra l’ottobre 2014 e il maggio 2016: «In Algeria il calcio è ovunque. È l’argomento preferito di una gioventù che si annoia e che non si riconosce nello stato e tanto meno nelle istituzioni. Barcamenandosi tra piccoli lavoretti, si arrangia come può; le tradizioni si radicalizzano. Questa gioventù è in preda a tutte le frustrazioni di un paese dove il diritto di manifestare è praticamente vietato. Tuttavia, uno spazio sfugge a questa sorte. Lo stadio diventa, una volta alla settimana, passione e un modo per sfogarsi. Ma tutto ciò supera di gran lunga le normali pratiche delle tifoserie. Insieme, questi ragazzi sentono di esistere.
Cantano di disoccupazione, povertà, dell’Europa dove sognano di andare. Sfidano lo stato o i generali che ritengono responsabili della rovina del paese. Rivendicano l’appartenenza al loro quartiere, vera identità impressa dei valori che un tempo hanno liberato l’Algeria, ma che sono, secondo il loro punto di vista, traditi dal potere. Allo stadio assaporano la libertà. Se negli anni il potere ha strumentalizzato il calcio per allontanare la popolazione dalla politica, oggi come oggi ha perso il controllo della situazione. Come ai tempi della colonizzazione, lo stadio è nuovamente uno spazio di consolidamento nazionale e di resistenza. Il circo romano, per come lo si concepiva, è morto per lasciare spazio a un’agora greca. Il tempo di una partita…».
Infine, quest’anno è stato introdotto il premio Single Shot Award 2017 Solidarietà Fertile, una nuova sezione “a immagine singola” che «vuole rappresentare un inno alla solidarietà che genera futuro», spiegano gli organizzatori. «Il valore della fratellanza umana che si concretizza in azioni che accompagnano e sostengono il progresso della società intera. Pensiamo che la solidarietà sia un atto fertile in quanto genera, costruisce e produce cambiamento. Abbiamo selezionato immagini che rappresentano in modo creativo questa prospettiva: dalle molteplici attività delle associazioni umanitarie, alle relazioni e affetti tra le persone, dalla cura e sollievo dal dolore, al senso di appartenenza alla grande comunità Mondo».
I premiati sono tre. L’italiano Alberto Campi (con un’immagine che ritrae bambini rifugiati afghani che giocano nell’abside della chiesa di Saint J. B. au Béguinage a Bruxelles, nella quale vivono da qualche settimana) con la seguente motivazione: «in uno scatto singolo si condensa l’esperienza del fotografo e la tecnica fotogiornalistica. Un’immagine contemporaneamente evocativa, concreta e dal contenuto coinvolgente».
Il tedesco Peter Bauza (con un’immagine che ritrae Edilane in attesa di un figlio maschio e alcuni dei suoi bambini che riposano su un materasso, parte di un progetto a lungo termine intitolato Copacabana Palace sui Sem Tetos - senza tetto - mentre il Brasile ha speso miliardi di dollari nei Giochi Panamericani, nella Coppa del Mondo e nelle Olimpiadi) con la seguente motivazione: «La fertilità in contesti socialmente ed economicamente complessi è sempre un atto di fiducia, di unione, di famiglia».
Infine, l’italiano Alessandro Rota (con un’immagine scattata in Iraq, a Mosul, che ritrae Pete Reed, 27 anni, americano, e Alex Kay Potter, 28 anni, americana, dell’ONG internazionale Global Response Management mentre curano un bambino ferito durante un attacco aereo delle forze di coalizione nella lotta contro i combattenti dell’Isis, i cui genitori sono morti nell’esplosione e altri fratelli sono rimasti feriti) con la seguente motivazione: «La rappresentazione dell’intervento medico in una situazione di urgenza diventa icona della solidarietà, della fiducia e della possibilità di vita».
Passando a Perpignan, nella Francia sud-occidentale, nella prima metà di settembre si è tenuta la 29a edizione di Visa pour l’image, il più importante festival internazionale di fotogiornalismo. Quest’anno, il Visa d’or Paris Match News è andato a Laurent Van der Stockt per il suo lavoro La battaglia di Mosul per Le Monde/Getty Images Reportages, ancora guerra, ancora Iraq, cuore delle lacerazioni dell’intera area. Uno dei premi maggiori, il Visa d’or Magazine se lo è aggiudicato, come in altri concorsi a cui ha partecipato, Daniel Berehulak per il suo lavoro Ci stanno massacrando come animali realizzato nelle Filippine per il New York Times.
Il Visa d’or della stampa quotidiana è andato al quotidiano finlandese Helsingin Sanomat per il lavoro di Sami Kero sui buchi nel ghiaccio utilizzati come piscina invernale in Finlandia. Il Visa d’or di onore del magazine del Figaro, che i photo-editor di riviste internazionali destinano all’insieme della carriera professionale di un fotografo affermato e ancora attivo, è andato a Michael Nichols, pluripremiato wildlife photographer noto soprattutto per i suoi lavori per il National Geographic.
Il Visa d’or umanitario del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) è andato ad Angela Ponce Romero, premiata per il suo reportage sulle persone considerate scomparse nel feroce conflitto che da quasi cinquant’anni oppone in Perù le forze governative alla guerriglia di Sentiero Luminoso. Il Visa d’or dell’informazione digitale di Franceinfo ha premiato Vlad Sokhin per il lavoro Acque tiepide: Kamchatka sui cambiamenti climatici nell’est remoto russo, diffuso da Takie dela.