Mario Dondero
Lo scatto umano
Da Parigi a Londra, da New York a Roma, da Budapest a Mosca, da Kabul alle pianure della Cambogia, un viaggio nel cuore della più bella stagione del fotogiornalismo internazionale raccontata e vissuta da un fotografo-testimone di eccezione. In Lo scatto umano, Viaggio del fotogiornalismo da Budapest a New York (con Emanuele Giordana, Laterza, 158 pp., 18 euro) Mario Dondero svela le storie che stanno dietro le fotografie sue e di altri, narra di mostri sacri come Robert Capa, evoca i grandi eventi del XX secolo, dalla guerra di Spagna alla Grande Depressione americana, dalla caduta del muro di Berlino alla guerra in Iraq. Nelle sue parole sottili, ironiche, appassionate, scopriremo chi sono stati i primi fotoreporter, i primi creatori di agenzie, le ferree regole del mercato e quello che impongono. Ma, soprattutto, troveremo cosa rende straordinario il mestiere del fotoreporter, lo spirito nomade, il misto di adrenalina e paura nelle situazioni di pericolo, l’impegno civile, la curiosità per l’altro. Una storia ricca di persone e umanità, la vera cifra della migliore fotografia perché «non è che a me le persone interessino per fotografarle, mi interessano perché esistono. Diversamente, il fotogiornalismo sarebbe soltanto una sequenza di scatti senz’anima». Di seguito, Sguardi vi propone alcuni brani delle conversazioni di Mario Dondero con Emanuele Giordana.
Ci sono alcuni elementi che spesso tornano nelle conversazioni con Mario sul suo mestiere. Ad esempio la «speciale solitudine» del fotografo - che pure si sente parte di un lavoro collettivo - e la necessità di una solida cultura: dialogare, aggiornarsi continuamente, leggere, studiare, confrontare punti di vista non solo fotografici. «Ho sempre pensato che il fotografo debba essere sorretto da una buona cultura, essere curioso intellettualmente e lealmente aperto verso il mondo. Una qualità assolutamente indispensabile, infatti, mi sembra l’onestà, ossia un’apertura senza pregiudizi verso il mondo. Sono per la poliedricità, per ricorrere a tutti i talenti di cuidispone un individuo, che può benissimo scrivere pezzi per accompagnare le fotografie. È vero anche il contrario. Ryszard Kapuściński, esempio assoluto di etica giornalistica e i cui scritti sono diventati libri esemplari, nel suo continuo vagabondare per il mondo, scattò un gran numero di ottime fotografie. È stato un buon fotografo, direi antropologico».
Parigi, gli scrittori del Nouveau Roman, davanti alle Éditions de Minuit a Saint-Germainedes-Prés:
da sinistra, Alain Robbe-Grillet, Claude Simon, Claude Mauriac, leditore Jérôme Lindon,
Robert Pinget, Samuel Beckett, Nathalie Sarraute, Claude Ollier (16 ottobre 1959) © Mario Dondero
La scena culturale ha poi una parte fondamentale nel lavoro del fotogiornalista: letteratura, cinema, teatro. Mario Dondero, per esempio, è internazionalmente noto per un’immagine in cui sono ritratti gli scrittori del Nouveau Roman, eppure non è la foto alla quale tiene di più. «Certo, quell’immagine mi è cara per molte ragioni. Ha avuto un grande successo e poi mi ha dato modo di conoscere diverse persone straordinarie con cui sono rimasto in relazione, a cominciare da Jérôme Lindon, l’editore per cui l’avevo scattata. Comunque non ho una foto preferita, anche se sono legato a molte e molte sono entrate soprattutto nel ricordo degli altri. Dunque potrei cavarmela banalmente citando Doisneau: “la mia foto preferita è quella che farò”...». Ci sono altri scatti di Mario diventati celebri: per esempio L’uomo che voleva la luna, che ha scattato ad Accettura in Lucania, o la foto non meno famosa che fa da copertina al catalogo della personale che Genova gli ha dedicato a Palazzo Ducale nel 2012 (Dalla parte dell’uomo, Il canneto): un uomo che dorme su una panchina appoggiato alle labbra enormi e sensuali che campeggiano in un patinato poster pubblicitario.
Parigi, nel metro (1967) © Mario Dondero
Mi sono spesso interrogato sulle ragioni che spingono certi uomini, e anche certe donne, spesso sprovvisti delle qualità fisiche e mentali che richiedono situazioni belliche cruciali, ad affrontare rischi così grandi. Mi sono fatto l’idea che è proprio il gusto del rischio la molla principale. Il desiderio di verificare con un barometro immaginario, nella cruda violenza della guerra, il proprio coraggio. Sono anche sicuro che questo non sia il mio movente, che è invece il desiderio di offrire documenti che registrino il dolore, l’orribile inutilità della guerra.
Sanga (Mali), villaggio Dogon (1965) © Mario Dondero
Ho appena raccontato alcuni aspetti della mia vita di fotografo, sempre in giro, spesso assente da casa. Ma questo, per fortuna, non mi ha impedito di avere una vita quasi normale e ricca di affetti. Quel che mi sento di dire, infine, è che il fotoreportage non si insegna e resto scettico sulla possibilità che si possa andare a scuola di questa professione, di là dalla conoscenza dell’aspetto tecnico, cui io, personalmente, ho dato sempre un’importanza relativa. Ricorderei agli aspiranti che è sempre necessario arrivare a un accordo con i committenti, con le logiche redazionali, con le scelte del momento. Ma sono la passione, l’impegno civile e la curiosità che restano il grande motore. Diversamente, il fotogiornalismo è soltanto una sequenza di scatti senz’anima.
Nomadi tinker irlandesi in viaggio (1968) © Mario Dondero
Dietro Leemage, (un’agenzia specializzata in illustrazioni storiche che vende a giornali ed editori scatti provenienti da banche internazionali di fotografia, musei e privati) c’è un enorme lavoro di ricerca. Spiega Stefano Bianchetti (il suo direttore, ndr): «Quando acquisiamo un archivio, non ci limitiamo a metterlo in una cartella telematica. Guardiamo immagine per immagine e ne curiamo soprattutto la didascalia che, molto spesso, è di due o tre termini soltanto e che qualche volta è persino sbagliata oppure ignora, di un’immagine, la presenza di personaggi apparentemente secondari. In questo modo il nostro cliente, in automatico attraverso la password di accesso al sito, può scegliere la foto che gli serve più facilmente ma, soprattutto, può scovarne un aspetto inedito che altrimenti gli sarebbe sfuggito. La gran parte del lavoro è dunque la ricerca: minuziosa, con controlli incrociati. È solo così che una piccola agenzia può sopravvivere oggi che l’informatica offre tantissimi vantaggi ma anche grandi rischi, legati all’enorme diffusione in Rete di immagini visibili in tempo reale».
Berlino Est, vista dalla sommità del Palazzo del Reichstag, poco prima della
caduta del Muro (agosto 1989) © Mario Dondero
Chi non ce la fa a trovare la sua nicchia, chiude. Il fotogiornalismo come lo conoscevamo è messo in crisi dall’istantanea di un improvvisato reporter col telefonino, che batte tutti in velocità. Entrano in crisi i fotoreporter, entrano in crisi le agenzie, cedute, ricomprate, assemblate una con l’altra, così in Francia come altrove. L’esperienza di Bianchetti dimostra che una nuova forma di sopravvivenza è possibile anche per un’agenzia che non si chiami «Corbis» o «Getty» - che anzi sono suoi clienti - e anche per un fotoreporter che deve reinventarsi, come mille volte è accaduto nel mondo della fotografia, un’arte in continua evoluzione e la cui ultima grande rivoluzione è stata il digitale.
Malaga, ritratto di un giovane combattente repubblicano, scomparso in una fossa
di Franco (2006) © Mario Dondero
Chi è
Nato nel 1928 a Milano ma di origine genovese, Mario Dondero è fotogiornalista di professione e ha lavorato molto tempo per la stampa scritta. Ancora adolescente, partecipa durante la guerra alla Resistenza nel Nord dell’Italia. Dopo la guerra, si orienta verso un giornalismo a carattere sociale collaborando con diversi quotidiani come “L’Unità”, “L’Avanti”, “Milano Sera”, o ancora la rivista “L’Ora”, che lancia lo slogan “una fotografia vale 1000 parole”. Mario fa allora parte del gruppo detto dei “Giamaicani” a Milano, dal nome del Bar Giamaica, appuntamento di numerosi artisti ed intellettuali. Si installa nel 1955 a Parigi dove continuerà a collaborare sia con la stampa italiana (particolarmente “l’Espresso” e “Epoca”) sia con quella francese (“Le Monde”, “Le Nouvel Observateur”). La frequentazione degli ambienti intellettuali parigini conduce Mario a scattare la sua celebre fotografia degli scrittori del “Nouveau Roman”. Quest’epoca segna anche gli inizi di una fruttuosa collaborazione con la giovanissima rivista “Jeune Afrique” e con altre riviste dedicate a problematiche africane, collaborazione che darà a Mario Dondero l’opportunità di conoscere profondamente quel continente. Continuerà durante gli anni a frequentarlo cosi come altre zone del mondo, come l’America Latina, Cuba, l’URSS poi e più recentemente, il Canada nel 2000, l’Afghanistan nel 2004 con l’associazione umanitaria Emergency e la Russia nel 2006. Nel tempo, Mario ha fatto il ritratto e stretto amicizia con numerosi scrittori, artisti, attori ed intellettuali (da Pablo Picasso a Man Ray, da Giuseppe Ungaretti a Maria Callas, da Orson Welles a Federico Fellini, da Isabelle Huppert a Daniel Pennac) e fotografato numerosi personaggi pubblici tra cui Fidel Castro e Deng Xiaoping, John F. Kennedy e Mikhaïl Gorbaciov.