Un reportage durato dieci anni: dalla caduta delle Torri Gemelle di New York alla Primavera Araba. Kate Brooks, giovane fotoreporter americana, all'età di 23 anni decide di intraprendere un viaggio con mezzi di fortuna per comprendere con i propri occhi le vicende della storia. Nei luoghi dei più cruenti teatri di guerra contemporanei, dall'Asia Centrale all'Africa del Nord, fino in Medio Oriente. Da questa esperienza nasce In the light of Darkness, quasi un diario fatto di immagini e annotazioni che narrano territori, persone e crudeltà della guerra in un'odissea che per Kate si traduce in crescita interiore, in una ricerca della propria pietra filosofale: il valore dell'essere umano che risplende come luce di speranza nell'oscurità della devastazione.
Tutto ha inizio poco più di dieci anni fa, l'11 settembre 2001, quando Kate in una giornata come tante altre nel suo appartamento a Mosca, dove studia russo e lavora come fotogiornalista freelance, apprende la notizia dell’attacco alle Torri Gemelle dalla tv. Passano pochi istanti e la decisione è presa: partire per il Pakistan per documentare l'impatto dell'imminente intervento americano nei luoghi a forte maggioranza talebana. I moniti per il pericolo cui va incontro non servono a fermarla. Con pochi mezzi, una macchina fotografica, un piccolo zaino per il minimo indispensabile, l'aiuto del suo agente di New York, inizia il viaggio. Dal Pakistan sino in Afghanistan, poi Kuwait, Kurdistan, nel 2003 in Iraq, per documentare l’occupazione americana dei territori e la caduta di Saddam Hussein, e poi Yemen, Libano, sino al giorno delle dimissioni di Hosni Mubarak e della guerra in Libia. L'intensità delle sue fotografie, capace di accarezzare i volti degli esseri umani con delicatezza, in contrasto con gli scenari tragici della guerra, mette in rilievo la forza di volontà di chi ogni giorno va avanti nelle condizioni peggiori, rendendo omaggio, quasi inconsapevolmente, al significato del vivere. Come ripete Kate nel suo libro: «Avrei voluto essere ovunque tranne che lì». Come recita la sua dedica sul mio libro: «A coloro che non hanno paura della verità».
© Kate Brooks
Hezbollah supporters sleep in the street after a day of violent protest in which they demanded greater representation in the government. Following the 2006 Lebanon War with Israel, several Shi'te ministers left parliament with their demands were not granted (Lebanon, 2006)
Cosa ti ha portato a intraprendere questo viaggio? Perché direttamente in Pakistan e non negli Stati Uniti?
Volevo coprire le conseguenze dell'11 settembre.
Che impressione hai avuto dell'Afghanistan? Hai mai pensato che potesse trattarsi di una guerra sulle tracce di un fantasma di nome Bin Laden?
L'Afghanistan è un paese bellissimo e uno dei più poveri. È un luogo che ha catturato la mia immaginazione e il mio cuore. La guerra lì è sembrata spesso una battaglia contro i fantasmi perché il nemico è invisibile. La caccia a Osama ha alimentato la guerra sino all'insurrezione dei Talebani, iniziata intorno al 2005. Il deteriorarsi della situazione di sicurezza crea un vero dilemma a proposito della partenza delle truppe straniere e domande sul futuro dell'Afghanistan.
Hai mai indossato il burqa?
Durante le rivolte a Kabul nel 2006, sono rimasta intrappolata in un palazzo e costretta a nascondermi nel seminterrato della casa di una donna del luogo. Alla fine me ne sono andata con un burqa addosso, per essere al sicuro durante il tragitto in macchina.
© Kate Brooks
Women dance on a bar top competing for the title of sixiest woman
at a club party in Beirut (Lebanon, 2006)
Nonostante tutte le difficoltà sei andata avanti. Pensi che si possa fare l'abitudine alla guerra? E cosa pensi di tutte queste persone ferite, potranno mai dimenticare?
Ho continuato perché credo in quello che faccio. Le persone sono incredibilmente adattabili e resistenti. Che altra scelta hanno? Purtroppo, durante i periodi di guerra, la vita diventa spesso pura sopravvivenza.
Cosa pensi dei soldati? Pensi che fossero consci e convinti di combattere per uno scopo? O...forse anch'essi erano soltanto altre vittime?
Non ci sono verità assolute. Alcuni soldati combattono per la loro patria. Altri imbracciano le armi perché non hanno altre opportunità. Una generazione di giovani americani è andata in Iraq con false aspettative. Molti hanno pagato con le loro vite o sono rimasti menomati. Considero anche loro vittime di guerra.
Alla fine sei giunta a una tua verità personale?
Sono stufa della guerra e non credo che il conflitto possa essere un mezzo per raggiungere la pace.
© Kate Brooks
Pakistani jihadis are held in a makeshift prison after being captured for illegally entering Afghanistan. The Afghan authorities later released them on a Ramdan Amnesty (2001)
Com'è adesso la tua vita, riesci a dormire?
Ci sono delle volte in cui combatto con una profonda tristezza, per delle situazioni a cui ho assistito. Ma in generale mi sento abbastanza fortunata di essere viva e grata di ciò che ho.
È stato difficile restare obiettivi di fronte a così tanta violenza?
Non credo che esista un’oggettività emotiva quando fotografi la sofferenza. Credo che il lavoro di un giornalista o documentarista sia presentare i fatti o cogliere l’esistente.
Come hai gestito le emozioni? Pensi di essere riuscita a sviluppare una tecnica particolare per controllare l'ansia?
Non ho una tecnica particolare e alcune esperienze colpiscono più duramente di altre. Un paio di anni fa rimasi particolarmente colpita da un soldato ferito, incontrato mentre era in procinto di essere evacuato a casa. Aveva perso tre arti e non si sapeva se sarebbe sopravvissuto. Fino a che non ho saputo che era morto non sono riuscita a smettere di pensare a lui e alla sua famiglia. All’epoca ho trascorso un po' di tempo nel parco del Serengeti. In generale, trovo che ritrovarsi nella natura possa essere di grande aiuto.
Qual è il tuo metodo, come fai a sapere che è il momento giusto di scattare?
È una combinazione di intuito e di ciò che vedo.
© Kate Brooks
Anti-Mubarak demonstrators gather in Tahrir Square for Friday prayers (Egypt, 2011)
Cosa pensi rappresentino le tue fotografie?
Le mie fotografie raccontano le storie delle persone che fotografo, trasmettono una verità emotiva della loro esperienza umana e della società in cui vivono in un dato momento storico. Credo nell’importanza della documentazione perché ciò che non viene registrato si dimentica.
I tuoi scatti parlano di sofferenze estreme ed indicibili, potrebbero essere definite "foto di denuncia"?
Non ho visto nessuna prova che la guerra possa condurre a una pace sostenibile. Quando una guerra o una battaglia finiscono, ne inizia generalmente un’altra basata sull’aggressione dell’altro. Soltanto il cessare delle ostilità determina la fine di un conflitto.
Perché hai realizzato questo libro?
Il decimo anniversario dell'11 settembre mi è sembrato il momento più adatto per riflettere su tutto ciò di cui ero stata testimone per dieci anni e su come fossi cambiata come persona.
© Kate Brooks
An estimated 135 people were killed in a car bombing at the Tomb of Imam Ali in Najaf.
The attack targeted a prominent Shi'ite cleric and occured as the faithful
were leaving after Friday prayers (Iraq, 2003)
Chi è
Kate Brooks inizia a lavorare come fotogiornalista a 20 anni. Le sue fotografie che documentano gli abusi sui minori negli orfanotrofi statali russi sono state pubblicate in tutto il mondo attraverso Human Rights Watch. Ha pubblicato su Time, Newsweek, The New Yorker, Smithsonian, The Atlantic, The Wall Street Journal e The New York Times. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui Poyi, Lucie Awards, PDN 30, Communication Arts, American Photography e Time Pictures of the Year. In the Light of Darkness è il suo primo libro.
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