Intervento

A cura di:

Luciano Romano & UnescoItalia
Fotografia come rappresentazione teatrale

Sono 41 i siti italiani inseriti dall'Unesco nella prestigiosa lista del patrimonio mondiale dell'umanità. Oltre 120 fotografie di 14 fotografi italiani contemporanei, che da anni puntano i loro obiettivi sui monumenti e il paesaggio italiani, raccontano questi luoghi d'eccellenza in una mostra – UnescoItalia - nata dalla collaborazione tra Ministero dei Beni Culturali e Ministero degli Affari esteri che ha debuttato a Roma, alla Biblioteca nazionale, e che in primavera inizierà a viaggiare in Europa, prima a Kiev, poi a Odessa, Riga, Vilnus, Cracovia.

© Gianni Berengo Gardin
© Gianni Berengo Gardin - Val d'Orcia

La mostra segue un percorso di sviluppo cronologico che parte dalle immagini di Gianni Berengo Gardin per giungere a foto attuali scattate in occasione della mostra.

Due le donne a rappresentare quell'esiguo numero che in Italia si dedicano alla fotografia: Raffaela Mariniello e Giuseppina Caltagirone, personalità diverse, una focalizzata sul paesaggio urbano, l'altra sul ritratto. I siti dell'Italia centrale sono per lo più rappresentati dalle inquadrature di Berengo: rigorose ed eleganti, le sue fotografie conservano la lievità dello sguardo dovuta all'immediatezza dello scatto.

© Gianni Berengo Gardin
© Olivo Barbieri - Pisa 1992

 

 

Le immagini di Gabriele Basilico, invece,mostrano uno dei filoni della contemporaneità: la ricerca di una nuova immagine del mondo, straniante e triste. Tuttavia il rigore di Basilico, evidente nella sua sequenza su Crespi d'Adda, sembra addolcirsi nelle fotografie di Alberobello. Il paesaggio culturale delle Cinque Terre - descritte dal bianco e nero di un Ferdinando Scianna quasi espressionista - appare proiettato in un mondo dove la natura regna ancora incontrastata, il mare e il vento modellano le forme delle rocce e l'attività dell'uomo non è distruttiva, ma ancora in equilibrio con il resto del creato. Dario Coletti ha realizzato le immagini di diversi siti come le tombe etrusche di Cerveteri e Tarquinia o Villa Adriana e Villa d'Este, sottolineandone il forte sentimento evocativo. L'evocazione che fa ricorso alla immaginazione e alla forte partecipazione dello spettatore per l'interpretazione è elemento molto importante anche nelle scelte di Olivo Barbieri, Vittore Fossati e William Guerrieri.

Questa visione del patrimonio immerso nella quotidianità è diversa da quella che Mimmo Jodice oltre che di Giuseppe Leone i cui scatti sono rivolti ripetutamente sia alle loro città, sia al patrimonio archeologico interpretato con grande potere evocativo del passato. Il fascino dei luoghi può essere molto forte al punto da coinvolgere un matematico come Marc Le Simple spingendolo a tentare di riprendere le variazioni delle stagioni nell'orto botanico di Padova. Forte è il senso di proiezione nel passato che si percepisce anche nelle fotografie di Vicenza di Luca Campigotto che inoltre presenta alla mostra alcune immagini di Aquileia. Il passato è presente, seppure con diverso rigore, anche nelle immagini di Luciano Romano: i monumenti, gli angoli di città, i particolari architettonici emergono nella loro bellezza, come se appartenessero ad un mondo senza tempo, solo raramente qualche oggetto contemporaneo appare per richiamarci al senso della realtà. In occasione della inaugurazione della mostra romana, Sguardi ha chiesto a Luciano Romano di fare il punto sul proprio modo di fotografare.

 

Il fotogramma e il palcoscenico
All'origine della mia storia professionale c'è il teatro con le sfide che questo comporta: fotografare il teatro è come raccontare una storia rinunciando alle parole, fotografare la musica è come fotografare un profumo, qualcosa di impalpabile, immateriale, non percepibile con lo sguardo; fotografare la danza è rappresentare il movimento attraverso l'apparente negazione del movimento stesso, fermandolo in un'istantanea. Eppure, al di là di queste presunte contraddizioni, il teatro e la fotografia hanno molto in comune, se non altro perchè nello spazio circoscritto del fotogramma o del palcoscenico, si tende a tradurre la realtà in maniera simbolica, metaforica e narrativa, e si tenta di suscitare emozioni attraverso una sintesi di arte e conoscenza.

© Luciano Romano
Napoli - Il palcoscenico © Luciano Romano

Sequenze, relazioni
Questa esperienza è alla base della mia ricerca personale, un linguaggio fotografico che tenti di superare i limiti propri della rappresentazione. Un primo tema è quello che mi porta a pensare ad un corpus di immagini, per un libro o una mostra, dove i singoli scatti, piuttosto che avere un'autonomia assoluta, assomigliano a note che una volta messe in relazione tra di loro compongono l'equivalente di una musica; il lavoro assume il suo significato compiuto dalla sequenza e dalla relazione.

Superare il momento
Un altro tema a me caro è quello del superamento del limite connaturato allo scatto, che isola solo un momento possibile tra i tanti; anche in questo caso può entrare in gioco il ricorso alla sequenza; uno dei miei lavori di ricerca, Onde, parte dalla rilettura della fotografia di paesaggio attraverso una decisa stilizzazione delle forme dinamiche della natura, ma il mio interesse va oltre il semplice compiacimento estetico perché osservando un'onda è possibile scorgere ciò che l'ha generata, coglierne l'apparenza sul momento, prevedere ciò che diventerà.

Progettare un'immagine, interpretare
Questo rivela un altro interesse essenziale, la lettura in chiave psicoanalitica del lavoro: il mio intento è quello di sfruttare una serie di forme latenti nei soggetti, evidenziarli, renderli vibranti ed immediatamente percepibili, nel tentativo di creare un linguaggio che prenda spunto dai segni visibili ma si riferisca alla sfera emotiva. Saper cogliere ed isolare quello che difficilmente viene visto dai più dà senso alla fotografia; citando Marcel Proust "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi". La fotografia parte da quello che tu hai dentro, quello che hai concepito nel tuo immaginario, sia quando la fai, che quando la osservi;infatti io parlo sempre di progettazione dell'immagine: Forse la cosa più importante è costruirsi una linea interpretativa, uno stile, un filo conduttore nella propria produzione in grado di trasmettersi da un progetto all'altro.

© Luciano Romano
Londra © Luciano Romano

Atmosfere, messe in scena, luce, attesa
Anche nella mia produzione professionale, quella per intenderci legata all'editoria, non esiste un approccio standardizzato; per anni ho avuto il problema di rappresentare luoghi molto conosciuti, direi logorati dall'eccessiva celebrità; l'idea era quella di lavorare principalmente sull'atmosfera, inseguendo con pazienza la casualità degli eventi meteorologici in grado di governare la qualità della luce e la percezione degli elementi presenti nell'immagine; tuttavia anche le foto apparentemente più oggettive, la facciata di un palazzo, l'interno di una cattedrale, appaiono alla fine come delle messe in scena teatrali: la luce non è certo quella che vedrebbe un turista in una normale visita, e tutto ciò che disturberebbe il soggetto come auto, cartelli stradali, elementi incongrui sono accuratamente evitati. È una sublimazione, un modus operandi sottile ma determinante che rinuncia ad un punto di vista eccessivamente egocentrico dell'interpretazione per mettere in gioco la complicità dell'osservatore, innescando le associazioni mentali che fanno lavorare l'immaginazione di chi osserva la fotografia. Quando scatto una foto, quasi mai lascio che sia la casualità degli eventi a decidere il risultato. Alcune delle mie sequenze sono risolte con la massima rapidità, l'azione propria dello scatto viene sbrigata in modo veloce, altrimenti perderebbe di efficacia; quello che invece c'è dietro è la ricerca meticolosa di un determinato luogo, che diventa simile ad un set cinematografico, dove aspetto che accada quello che ho in mente.

Tecniche di ripresa, linguaggio e forma
Per me la tecnica di ripresa è essenziale per poter governare e prevedere al massimo il risultato che si vuole ottenere; come per un musicista o uno scrittore è impensabile sorvolare su questioni puramente tecniche che devono servire a liberare il linguaggio dal peso della forma inefficace e dal sospetto del dilettantismo; penso ad un atleta, un danzatore o un musicista: quanto apprendimento, quanta tecnica studiata ed esercitata per poter esprimere un gesto che appaia assolutamente naturale. Fotografare nel senso più profondo e completo del termine è raccontare per immagini sensazioni complesse, catturare l'attenzione dell'osservatore, scatenare un'emozione che dorme dentro di lui, risvegliare la sua conoscenza.

© Luciano Romano
Ferrara - Rotonda Foschini © Luciano Romano

Il vero, l'alterazione, la verità del fotografo
Ciò che appare credibile in fotografia non corrisponde necessariamente al vero e dubito che possa esistere un linguaggio figurativo che nel rappresentare la realtà non rechi con sé l'ombra dell'alterazione o dell'omissione. Se la fotografia si limitasse a catturare frammenti di realtà sarebbe un operazione riduttiva, in diminuendo; al contrario, ciò che appare mediato e filtrato dalla scelta interpretativa di un autore può avvicinarsi maggiormente alla verità; una verità che non ha certo la pretesa di essere quella stabilita dalla maggioranza degli uomini ma è certamente la sua.

Riscrivere, riorganizzare, rendere notevole
Il fotografo ha il potere alchemico di riscrivere con la luce ciò che lo circonda sia pure nell'ambito ristretto di un fotogramma. Mi viene in mente una frase di Roland Barthes che ne La camera chiara racconta: "In un primo momento, per sorprendere, la Fotografia fotografa il notevole; ben presto però, attraverso un ben noto capovolgimento, essa decreta notevole ciò che fotografa". Credo che scegliere di fotografare sia una dichiarazione di sottile disadattamento, l'impellente bisogno di riorganizzare il mondo visibile a proprio modo; del resto non si smette di essere fotografi una volta che lo si è diventati, tutta la percezione viene ad esserne condizionata anche quando non si ha la macchina in mano e ci si dedica ad attività quotidiane e banali.

© Luciano Romano
Smart Tower © Luciano Romano

Chi è
Luciano Romano fotografa l'arte, l'architettura, il teatro. L'esperienza dell'uso simbolico della luce teatrale ed il gusto per la composizione suggerito dai suoi studi di architettura sono messi a frutto dal 1991, quando inizia la collaborazione con l'editore d'arte Franco Maria Ricci. L'intento del suo lavoro è progettare l'immagine in tutti i suoi dettagli, partendo da una lucida osservazione della realtà, esplorando l'essenza delle forme e degli spazi dei luoghi rappresentati, ma allo stesso tempo producendo visioni fortemente evocative. Per Franco Maria Ricci, oltre alle frequenti pubblicazioni sulla rivista FMR realizza le immagini per più di venti volumi della collana Grand Tour. Tra i suoi interessi figurano l'arte e l'architettura contemporanea con lavori realizzati per istituzioni quali la Tate Modern di Londra, il Guggenheim Museum di New York, o il recente Museo del Design a Milano. Nel 2003 ha ottenuto il secondo premio istituito per il progetto Atlante Italiano 003 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali - DARC in collaborazione con la Triennale di Milano. Nel 2006 ha partecipato alla mostra Workscape - MAXXI Cantiere d'Autore a Venezia per la X Biennale di Architettura. Nel 2007 è finalista del Prix Bmw-Paris Photo. È docente di fotografia presso l'Accademia del Teatro alla Scala di Milano.

© Luciano Romano
Berlino © Luciano Romano
 

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