Anne Farrar, Director of Photography
Anne Farrar è director of photography, non soltanto photo editor, di National Geographic Traveler: un titolo che sottolinea l'importanza attribuita alla fotografia nel mondo della Society. Il Traveler, nato 33 anni fa come fratello minore del magazine creato nel 1888, ha una vocazione rivolta maggiormente all'invito al viaggio e ad un'esperienza del lettore il più possibile autentica. Sguardi l'ha intervistata in esclusiva per esplorare il dietro le quinte delle sue scelte.
Che definizione darebbe di se stessa? Come ha iniziato a occuparsi di fotografia? Come si è evoluto il suo modo di guardare e selezionare fotografie, storie fotografiche?
Fin dai miei primi lavori i mezzi di comunicazione sono stati la mia passione. Ho iniziato a frequentare la facoltà di comunicazione visiva all'università dell'Ohio, tempo in cui Chuck Scott era il direttore. Lui, insieme a Terry Eiler, mi hanno instillato la passione per l'arte del racconto attraverso la fotografia. Già al tempo del college sapevo che sarei voluta diventare photo editor. Mi sono concessa qualche piccola deviazione, durata brevi periodi, come foto-giornalista, poi come designer per dei quotidiani, ed infine ho avuto il mio primo lavoro come photo editor alla Star-Tribune di Minneapolis. Dopo un periodo lì, mi sono spostata al The Dallas Morning News per essere seguita da John Davidson e il direttore della fotografia Ken Geiger. Ho avuto l'onore di lavorare con alcuni dei fotografi più talentuosi del giornale. Lo staff della fotografia vinse il premio Pulitzer nel 2006 per la sezione fotografica delle notizie di apertura per il servizio sull'uragano Katrina a New Orleans. Poco dopo ho lasciato il mio incarico nell'azienda per tornare alle mie radici e colpire ancora. Dopo cinque anni da freelance sono venuta a conoscenza di un posto libero al The Washington Post. Con un po' di fortuna, sono stata assunta nel 2011 come photo editor da Michael duCille.
Tornata al mondo del giornalismo, ho cominciato ad amare il brusio della città di Washington DC. Il The Post è stato venduto nel 2013 a Jeff Bezos e, così, è iniziata una nuova era nel giornalismo digitale. Imparare come tradurre il giornalismo tradizionalmente stampato in formato digitale è stata una sfida, stimolante e che ha pagato in poco tempo. L'incarico mi ha formato anche per la redazione di un pezzo costruito specificatamente per i media. Non si poteva più parlare di prodotti stampati; cellulare, computer, tablet e social media sono diventati altrettanto importanti e a volte addirittura più urgenti per lo storytelling. Andando avanti velocemente, qualche anno dopo per caso ho incontrato l'editore e capo del National Geographic Traveler per un caffè. Dopo qualche altro incontro mi ha offerto la posizione come director of photography per il National Geographic Traveler, dove ho iniziato a lavorare a ottobre 2015.
Quale definizione darebbe, oggi, di National Geographic Traveler? Quali sono, a suo avviso, le principali differenze tra National Geographic magazine e National Geographic Traveler?
Il magazine di National Geographic nacque nel 1888 come periodico scientifico, dopo nove mesi dalla fondazione della società. Nel 1905 la rivista cominciò a pubblicare articoli fotografici, iniziando così ad essere uno dei più grandi giornali del nostro tempo. National Geographic crede nell'importanza della scienza, dell'esplorazione e dell'arte di raccontare storie per cambiare il mondo. National Geographic Traveler venne invece lanciato sul mercato nel 1984 nell'intento di seguire uno scopo simile, ma orientato specificatamente verso alcune destinazioni. Attraverso un racconto incisivo e una fotografia d'eccellenza cerchiamo di invogliare i nostri lettori ad andare oltre la classica proposta turistica, ricercando così l'esperienza autentica. Incoraggiamo chi ci segue a sognare, organizzare, viaggiare e condividere le proprie esperienze.
Quali novità pensa di aver apportato all'interno della rivista, da quando è diventata photo editor?
Le pubblicazioni sono organismi in continuo mutamento. Attraverso un'accurata ricerca e la nostra personale esperienza di viaggio, il nostro team lavora per trovare destinazioni da evidenziare nei prossimi numeri. La rivista sopravvive proprio perché frutto di un lavoro di squadra e, come tale, tutti noi continuiamo ad innovare e a raccontare storie in modi differenti.
Che rapporto cerca di stabilire con i fotografi che collaborano con Traveler?
È molto divertente lavorare con un così variegato gruppo di fotografi provenienti da tutto il mondo. Mi piace trovare un fotografo appassionato ad un tema specifico. Sono loro spesso ad apportare una più profonda comprensione e raffinatezza alla storia. Quando qualcuno è davvero appassionato ad un argomento specifico, alimentato dalla gioia pura di raccontare una storia, spesso lavora più intensamente, in maniera più appassionata e coinvolgente.
La domanda che tutti gli appassionati di fotografia si pongono, davanti a brand e icone come National Geographic Society, è: come si fa a pubblicare? Prendete in considerazione proposte esterne? Lavorate solo su assignment?
Spesso getto un'ampia rete per trovare un fotografo adatto, in grado di montare un servizio. La rivista del Traveler utilizza un'estesa selezione di immagini per ogni tematica. I fotografi che viaggiano per professione spesso mi contattano via e-mail raccontandomi le proprie storie. Uso la mia casella di posta e letture di portfolio durante eventi fotografici come mezzo per scovare fotografi meno conosciuti che abbiano una visione unica riguardo specifiche destinazioni. Ma anche la macchina del National Geographic è enorme. Spesso chiedo consiglio anche a colleghi per avere indicazioni riguardo talenti emergenti.
Riconosce qualche maestro, qualche modello di riferimento, nella fotografia che la interessa?
Ogni persona entrata in contatto con me durante la mia carriera giornalistica mi ha in qualche modo influenzato. La ricchezza di conoscenza condivisa tra i vari giornalisti è eccezionale ed io ho avuto il privilegio di lavorare accanto ad alcuni tra i migliori. Ci si insegna a vicenda, ci si guida a vicenda, si ha successo e si fallisce insieme. Alla fine, attraverso sia la fotografia che le parole, la visualizzazione di elementi vari, l'audio o il video, ognuno a modo suo cerca di comunicare, di rivelare, di documentare e raccontare storie di questo mondo vorticoso che ci circonda.
Nel genere, spesso, la trappola è il pittoresco, l'immagine déjà vu, lo stereotipo. Come evitarli?
L'immagine dovrebbe avere il compito di comunicare al lettore una porzione di storia. La nostra finalità è di fare storytelling fotografico e in nome di questo National Geographic Traveler mira a pubblicare immagini uniche, belle ed emozionanti. In fin dei conti, le immagini hanno bisogno di comunicare una storia, un momento, un'emozione, di sorprendere e invogliare il lettore nei riguardi di una cultura o una destinazione. Questo fa si che il mio lavoro sia impegnativo ma estremamente stimolante. In sostanza, cerco di rispettare gli standard tradizionali creati molto tempo fa per il nostro storytelling fotografico.
Voi siete, soprattutto, un picture magazine? Qual è secondo lei il rapporto tra testo e immagini? E quali sono i loro rispettivi pesi nelle pagine della vostra rivista?
La diatriba immagini-testi è, ancora oggi, piuttosto controversa. Secondo il mio parere i due linguaggi andrebbero utilizzati insieme, in modo da rivelare al meglio il significato primo di un soggetto. A volte gli scrittori fanno un ottimo lavoro, altre volte la fotografia fa meglio, ma insieme vanno a nozze; valorizzando ogni punto di forza sarà possibile comunicare al lettore la storia migliore. Se uno scrittore mi racconta che una rosa profuma divinamente, questo non significa che debba necessariamente anche mostrarla. Se, nello stesso modo, un fotografo rimane sveglio tutta la notte per fotografare la via lattea, non è necessario che lo scrittore spieghi nel dettaglio cosa questo significhi. Per i media, lo storytelling è un lavoro di squadra, ognuno espone i propri punti di forza; è poi compito del direttore, in un secondo momento, definire la modalità in cui la storia dovrà essere raccontata.
E che consiglio darebbe a un giovane interessato a diventare photo editor?
Studia e impara ogni componente dell'ambito a cui sei interessato. Se ami dipingere, cerca di capire come è fatto il quadro, vale a dire impara come uno scrittore, designer, ricercatore, redattore, produttore svolgono il proprio lavoro. Acquisisci le nozioni che ti permettono di comprendere la nuova tecnologia, in modo da tradurre il lavoro attraverso il media più innovativo. Non devi essere un esperto in ogni ambito, ma la comprensione contribuisce ampiamente. Proponiti a quante più tipologie di artisti e fotografi puoi. Visita gallerie e musei, compra e prendi in prestito libri di fotografia, immergiti profondamente in social come Instagram e in mezzi come Google, partecipa a esposizioni fotografiche e conferenze. Cerca di capire attorno a quale stile grafico graviti, sii in grado di spiegare il motivo della tua scelta, fai valere il tempo necessario a trovare il tipo di lavoro che desideri di più.
Anne Farrar è Director of Photography per National Geographic Travel. Ha lavorato come photo editor per testate giornalistiche per più di 20 anni, tra cui The Washington Post, Minneapolis Star-Tribune e The Dallas Morning News. Quando non è in ufficio, la si può trovare a esplorare montagne e cercare la sua prossima tazza di caffè.