Alessandro Cosmelli & Gaia Light: The Buzz Project
Ritratto - simbolico - di metropoli contemporanee. Questo è il proposito di Alessandro Cosmelli e Gaia Light con The Buzz Project: visioni metropolitane attraverso le immagini scattate dai finestrini dei trasporti pubblici. Le metropoli fino ad ora esplorate sono Milano, Brooklyn, San Paolo, L'Avana, Mumbai, Istanbul, Mexico City e Parigi. I libri della serie, pubblicati da Damiani, sono finora tre: Havana Buzz, appena edito, arriva dopo Brooklyn Buzz e Milano Buzz. In questa intervista, in parallelo, Alessandro e Gaia raccontano ai lettori di Sguardi, ciascuno dal proprio punto di vista, ispirazioni, ragioni, pratiche, tecniche alla base del loro lavoro.
In cosa consiste e come è nato il Buzz Project, dai rispettivi punti di vista?
GAIA LIGHT
The Buzz Project è nato nel 2010 a Brooklyn, NY, come forma di resistenza culturale (e spirituale) al grave stato di crisi economica e sociale che in quel periodo mieteva le prime vittime - non solo in America - e alla progressiva disumanizzazione dei costumi sociali che ne è derivata. Durante un giro in autobus particolarmente significativo, Alessandro ha pensato al lavoro di Robert Frank, al contesto critico in cui il grande maestro aveva iniziato la rivoluzione che solo anni dopo sarebbe stata universalmente riconosciuta come tale. Abbiamo scoperto From the Bus, una serie rimasta incompiuta che Frank realizzò nel 1958, viaggiando a bordo del bus che allora attraversava la 42th Street di Manhattan. È questa l'ispirazione suprema del nostro progetto. The Buzz Project è un'esplorazione della vita nelle grandi metropoli contemporanee dalla prospettiva privilegiata del cittadino comune, colui che per vivere, operare e andare, si affida al trasporto pubblico: è una celebrazione dell'Umanità che popola le realtà più urbanizzate del mondo, un invito a rivalutarne il ruolo nevralgico di motore propulsivo e creativo della vita nelle nostre città.
ALESSANDRO COSMELLI
The Buzz Project rappresenta un ritratto della metropoli contemporanea globale e dei suoi cittadini, vista e fotografata dai finestrini degli autobus pubblici. L'idea nasce nel 2010 a Brooklyn dalla volontà di documentare i cambiamenti profondi che stava attraversando in quel periodo la città che ci ha adottati dal 2007. Nel momento in cui gentrificazione e crisi economica (che nel 2010 aveva raggiunto il suo picco più basso) stavano inesorabilmente trasformando l'identità di una delle città più simboliche degli Stati Uniti, abbiamo deciso di vestire i panni del cittadino comune e di raccontare questo cambiamento dal suo punto di vista, ovvero dal punto di vista di ogni persona che siede sul seggiolino dell'autobus e osserva quello che succede davanti ai suoi occhi nelle strade. Il successo di Brooklyn Buzz (primo libro della serie edito da Damiani nel 2012) e gli eventi che si stavano registrando in quel momento a livello globale (rapida urbanizzazione, migrazioni di massa, cambiamenti economici e sociali globali etc.) ci hanno convinti ad esportare il modello applicato a Brooklyn anche in altre città in giro per il mondo e documentare la realtà urbana globale per come si presenta osservandola dai mezzi pubblici locali.
Perché avete scelto di sviluppare il progetto attraverso due diverse sensibilità?
GL
Riteniamo che le nostre diversità possano impreziosire l'efficacia dello sguardo condiviso su questo progetto. Che ha un intento comune: quello di suggerire una riflessione universale sui massimi-minimi sistemi della vita di oggi nelle grandi città, un invito a staccare la testa da tablet e cellulari, recuperare il gusto di osservare attentamente la realtà in cui si consuma una parte importante della nostra esistenza, a considerare realtà diverse. Siamo esseri umani, individui e autori molto diversi, come tutti proveniamo da strade, mondi, viaggi, esperienze e scelte che hanno segnato in modo deciso le nostre formazioni: è il nostro bagaglio personale, ognuno nel suo, a determinare le rispettive visioni autoriali, a fornire gli strumenti per sviluppare un linguaggio comune, individuare ciò che ci incuriosisce, commuove, appassiona e che poi scegliamo di portare al tavolo dell'editing. La sensibilità è una sola, la si ha oppure no.
AC
L'idea di un progetto a quattro mani è venuta in modo del tutto naturale. Pur avendo percorsi artistici e background diversi, siamo entrambi spinti dalle stesse motivazioni e dalla stessa curiosità nei confronti del mondo che ci circonda, ovunque ci troviamo.
Il nostro è uno di quei rari casi in fotografia in cui personalità e sguardi diversi, pur mantenendo la propria autonomia e identità, vengono messi a servizio di un linguaggio nuovo e contribuiscono a definire una visione condivisa, originale e universale.
A che punto è il progetto? Quali tappe sono state per ora realizzate e quali invece sono previste? Perché sono state scelte quelle città, cosa rappresentano simbolicamente?
GL
Il progetto è entrato in una fase entusiasmante. Otto le città esplorate fino ad ora – Brooklyn, NY, São Paulo, Milano, Havana, Istanbul, Mumbai, Mexico City e Parigi - altre sette programmate per il prossimo futuro, e un serbatoio metropolitano globale potenzialmente infinito. Vogliamo tornare in Asia e, soprattutto, salire sui bus Africani. Le città di cui ci siamo occupati fino a questo momento sono tutte, in modo diverso, rappresentative del firmamento metropolitano contemporaneo che il progetto si prefigge di esplorare: la scelta delle città è guidata da criteri scientifici – statistiche, studi e tanta ricerca – e storico-opportunistici.
La prima città è stata Brooklyn perchè abitavamo lì e perchè quello che ci succedeva intorno (2010) era talmente intenso da osservare, vivere e subire, che la prospettiva dell'autobus, movimentata e filtrata dal vetro, con la sua innata cinematicità, riusciva a soddisfare l'esigenza di rappresentare e in qualche modo restituire quell'esperienza incredibile. L'ultima città esplorata, in ordine di tempo, è stata Parigi, lo scorso mese di giugno: un momento storico importante per la città e per la Francia e la squisita ospitalità di cari amici che hanno favorito condizioni ideali per la realizzazione di uno strepitoso Paris Buzz.
AC
In questo momento il progetto si trova ad uno stadio avanzato del suo sviluppo. Dopo il capitolo dedicato a Brooklyn, ne sono stati realizzati altri sette: Milano (2013), San Paolo (2014), L'Avana (2015), Mumbai (2016), Istanbul (2016), Mexico City (2017) e Parigi (2017). La scelta viene fatta sulla base di considerazioni di tipo economico, sociale, demografico, geografico e storico. Ogni città ha caratteristiche diverse dalle altre e tutte, attraverso le loro unicità, contribuiscono a costruire un ritratto universale della metropoli contemporanea. Riguardo alle prossime tappe posso dire che saranno in Asia e Africa e lascio alla curiosità di chi ci vorrà seguire il gusto di scoprire quali saranno le nostre prossime esplorazioni.
Come realizzate il progetto in termini di linguaggio e come viene proposto (libri, mostre, performance...)?
GL
Libri, mostre, installazioni multimediali, collaborazioni scientifiche, presentazioni accademiche: il limite è il cielo per un progetto di questa complessità. Al momento siamo particolarmente concentrati sulla produzione del corpo di lavoro, la cui evoluzione determina e favorisce lo sviluppo del progetto. Innegabile che ci si senta più attratti dalla prospettiva di frequentare gli autobus delle periferie del mondo che dall' allestimento di eventi espositivi. È altrettanto vero che la pubblicazione e divulgazione del lavoro, oltre a costituire fonte di sopravvivenza per un progetto tanto ambizioso quanto umilmente autoprodotto, ci consentono di portare sul bus anche chi i mezzi pubblici non sa cosa siano. Sono loro i miei passeggeri ideali. I libri costituiscono in assoluto il terreno espressivo di elezione per il Buzz Project e la possibilità di realizzarli con gli straordinari mezzi di un editore illuminato come il nostro (Damiani), ci riempie di orgoglio e sana soddisfazione.
AC
Il linguaggio è chiaramente influenzato da una serie di limiti che derivano dallo stare seduti su un autobus in movimento. Generalmente, quando si sceglie un soggetto, si ha una certa libertà di movimento che ti permette di avvicinarti, di allontanarti, di alzare il punto di vista o di abbassarlo, di interagire oppure no. Nel Buzz Project questo schema salta quasi completamente e si è costretti a sviluppare abilità nuove per raggiungere il risultato espressivo desiderato. Fotografare da un autobus in corsa comporta l'abbandono di ogni forma di controllo sopra i propri soggetti e sull'ambente che si sta fotografando. È un atto generalmente innaturale per un fotografo, ma se hai lo stomaco di accettare tutti i limiti imposti dal contesto e hai la capacità di metterti in sintonia con il mondo che scorre davanti ai tuoi occhi, quasi sempre vieni ricompensato molto generosamente.
Utilizziamo prevalentemente il linguaggio fotografico anche se per ogni capitolo sono state prodotte opere multimediali che abbiamo avuto il piacere di proiettare in occasione di festival e mostre (New York Photo Festival, Photo Istanbul, Fotoleggendo, Half King Gallery, solo per citarne alcune). La nostra collaborazione con Damiani (uno degli editori più importanti in questo momento a livello mondiale per arte e fotografia) ci ha permesso di produrre tre volumi monografici - Brooklyn Buzz (2012), Milano Buzz (2014) e Havana Buzz (in uscita il prossimo ottobre 2017).
Voi avete dichiarato il punto di vista in movimento, tant'è che a volte si intravedono cornici, finestrini e vetri, attraverso cui viene colta una realtà. Che tipo di lenti privilegiate? Quali tecniche usate sia in fase di scatto che in fase di post produzione?
GL
Rispetto al lavoro che portiamo avanti con il Buzz Project, il punto di vista può considerarsi "in movimento" soltanto quando il mezzo su cui viaggiamo si muove. L'esperienza dell'autobus è decisamente più complessa e non può prescindere dai tempi dettati dal traffico, dagli imprevisti, dalla impossibilità di mantenere un controllo completo su quello che scegliamo di fotografare e, molto più spesso, su quello che ci lasciamo sfuggire. I vetri dei finestrini fungono da barriera protettiva ma anche da lente di ingrandimento sul mondo che scorre fuori: capita poi che i finestrini non siano dotati di vetri, che l'unico filtro tra noi e l'esperienza di fotografare dall'autobus sia di natura emotiva, più che meccanica. Lenti? Ho un approccio aperto agli aspetti tecnici della pratica fotografica: la priorità tecnica si chiama invisibilità, discrezione, less is more. Forse perchè la mia macchina ideale – leggera, compatta, apparentemente innocua e dotata di zoom chilometrico - ancora non è stata inventata. Tecniche: in un mondo governato da ossessioni selfistiche e da un'ipertecnologicizzazione della vita, c'è ancora chi pensa che fare fotografie dall'autobus sia "facile" e alla portata di chiunque. Per molti versi è così, non esiste pratica più democratica di quella fotografica nell'era digitale.
In realtà l'aspetto tecnico è più complesso di quanto si possa immaginare. Si fonda su una premessa diversa/opposta rispetto a quelle che solitamente sostengono il lavoro di chi utilizza lo strumento fotografico: si traduce nella consapevole rinuncia al controllo tecnico della situazione. Una rinuncia favorita e, in ultima analisi, imposta dalla natura imprevedibile del viaggio su un mezzo di trasporto pubblico, spesso affollato. Richiede titanici sforzi di concentrazione, autocontrollo, prefigurazione compositiva, gestione di problematiche insolite e risoluzione istantanea del senso di frustrazione per la foto persa, per il palo di traverso o il camion che ruba la scena all'improvviso, richiede "presenza" d'animo costante. Non c'è mai tempo da perdere quando alla prossima fermata può salire un anziano o una donna incinta a cui cedere il sedile vicino al finestrino, quando il tempo non basta mai.
Riguardo alla postproduzione, la natura filtrata di immagini realizzate fotografando attraverso vetri di spessori diversi e punteggiati da infinite sfumature di sporco, ci consente di praticare una politica di intervento postproduttivo all'insegna del rispetto più assoluto del mood e della luce di cui era imbevuta l'immagine, al momento dello scatto. Siamo onorati di essere sostenuti dalla collaborazione tecnica di Claudio Palmisano, eccellenza italiana di rango internazionale e per noi amico fraterno e sostenitore della prima ora del The Buzz Project. È grazie a lui se gli esperti tecnici della Damiani, durante le fasi più delicate del processo di stampa dei libri, ci sommergono di complimenti per la qualità dei files che produciamo.
AC
The Buzz Project è un lavoro realizzato interamente con macchine fotografiche compatte di altissima qualità, l'unica tipologia di camera con una certa versatilità ottica che ti permette di essere invisibile, agile e leggero. Diamo molto spazio alla fase di editing e posso dire di avere la fortuna di essere affiancato in questo da Gaia (con cui condivido ogni passaggio) che, oltre ad essere una grande artista, considero una delle editor più capaci e visionarie che abbia conosciuto durante il mio percorso professionale. Anche la fase di post-produzione è il frutto della felice collaborazione con Claudio Palmisano, uno dei migliori nel suo campo in questo momento (James Nachtwey, Yuri Kozyrev, Time Magazine, National Geographic sono solo alcuni dei suoi clienti).
Al di là del Buzz Project, quali sono i rispettivi progetti che state portando avanti individualmente o insieme?
GL
Con Alessandro condividiamo felicemente diversi terreni di collaborazione: al The Buzz Project – che presto vedrà la pubblicazione di Havana Buzz, terzo libro della serie - si aggiungono progetti di natura corporate e commerciale ma anche musicale e videografica. Per quanto riguarda la mia produzione individuale, i progetti sono diversi e, come spesso capita, i più preziosi sono quelli di cui non si può ancora parlare. Per citarne alcuni, affidando eventuali approfondimenti ad altri contesti (www.gaialight.com): Mass Surveillance, Light TV (Canale di Reality TV Indipendente su YouTube: Gaialight Channel), The Venus Project, The Mila Project, The Matrix, Mad Cam, The Dress.
AC
Con Gaia condivido alcuni altri progetti di natura corporate, oltre a progetti più sperimentali video e musicali. Per quanto riguarda i miei progetti individuali, sto concentrando molte delle mie energie alla finalizzazione di un grosso lavoro che riguarda gli Stati Uniti dell'era Obama e la transizione che sta avvenendo adesso con l'elezione di Donald Trump, una ricerca che va avanti da più di dieci anni. Oltre a questo, dopo molti anni di assenza, sto lavorando a un progetto dedicato alla mia città natale, Livorno, e alla sua speciale identità umana e antropologica.
Come definireste il vostro progetto, più vicino al reportage, alla fotografia d'arte o a entrambi? Il vostro intento è più evocativo o descrittivo?
AC
La natura del mio lavoro è documentaristica anche se non amo molto applicare delle etichette. A volte può essere più evocativo, altre più descrittivo, ed è sempre guidato da un interesse personale per le dinamiche che regolano il nostro stare al mondo e plasmano la società in cui viviamo.
GL
The Buzz Project ha una natura ibrida per definizione. Lo stesso nome la suggerisce. Etichettare un lavoro così complesso è impossibile, così come incastrarlo in una categoria predefinita. La varietà e lo spessore dei contenuti che propone, così come la ricerca estetica che ne sostiene la rappresentazione, favoriscono collocazioni e derive diverse. È un progetto di matrice documentaristica, l'intento è quello di "descrivere, evocando", per usare le vostre parole.
Alessandro Cosmelli nasce a Livorno nel 1972, vive e lavora tra New York e Miami. Dal 2003 collabora come fotografo documentarista con importanti testate giornalistiche, tra cui Time, El Pais, La Repubblica, L'Espresso. Ha esposto in mostre e festival internazionali.
Nata e cresciuta a Roma Gaia Light è un'artista visuale e fotografa documentarista. Dopo gli studi classici e una laurea in Giurisprudenza, si dedica esclusivamente alla ricerca artistica, trasferendo il forte interesse per la legalità su terreni d'indagine visiva, di matrice antropologica e in relazione costante con aspetti controversi della società contemporanea. Nel 2010 fonda la Light TV, piattaforma multimediale di sperimentazione video e Televisione Indipendente su Youtube. Vive e lavora tra New York e Miami.