Gli automatismi hanno semplificato enormemente il lavoro del fotografo. L’autofocus e i programmi di esposizione si sono raffinati a tal punto che il fotografo deve solo tener sott’occhio i valori scelti dalla fotocamera e concentrarsi pressoché unicamente sull’inquadratura e sugli aspetti artistici dell’immagine. Ciò non toglie, comunque, che un certo bagaglio culturale sia sempre necessario, quanto meno, per poter valutare con cognizione di causa, i valori di esposizione, tempo di scatto, diaframma proposti dalle logiche artificiali della fotocamera. Il saper padroneggiare un minimo di tecnica fotografica, consente di evitare di cadere in situazioni, a volte complesse da risolvere, come un’immagine non sufficientemente nitida. L’aspetto di nitidezza di una fotografia è oggi ancor più sopravvalutato in quanto, utilizzando apparecchiature digitali, è diventato estremamente semplice poter analizzare uno scatto ad ingrandimenti un tempo inimmaginabili. Si pensi solo alla possibilità offerta da un software di fotoritocco, come Nikon ViewNX 2 o Nikon Capture NX 2.
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I programmi browser
o di elaborazione
delle immagini come ViewNX2 o Capture
NX2 consentono di analizzare fin nei minimi particolari ogni scatto, andando ad evidenziare eventuali carenze di nitidezza anche se al lato
pratico queste risulterebbero assolutamente irrilevanti.
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Con i programmi dedicati alla gestione delle immagini digitali è possibile ingrandire una qualsiasi porzione fino ad arrivare a fattori di ingrandimento che, se si facesse un parallelo con la “vecchia” fotografia a pellicola, si dovrebbe immaginare di controllare ogni singola diapositiva con un microscopio per giudicarne la bontà realizzativa, il cosiddetto Pixel Peeping. Oggi è alla portata di chiunque poter cercare di valutare le prestazioni del proprio sistema fotografico, lo è invece decisamente meno, saper valutare correttamente ciò che si vede e trovare le cause di eventuali difetti come ad esempio distinguere effetti di mosso da effetti di sfuocato.
Uno dei principali motivi di insoddisfazione dei propri risultati, rimane, come già anticipato, la percezione di una certa mancanza di nitidezza, spesso e superficialmente ritenuta essere causa di una non eccellente qualità dell’hardware utilizzato, ovvero della fotocamera o, molto più spesso, dell’obiettivo in uso. Pochi, magari si soffermano a pensare che la nitidezza non è l’unico aspetto di una fotografia. Anzi, ce ne sarebbero molti altri il cui peso dovrebbe essere tenuto in maggiore considerazione. Il contenuto di un’immagine, ad esempio, dovrebbe essere superiore ai meri aspetti tecnici, ma tra questi, la nitidezza dovrebbe comunque condividere la valutazione con altre caratteristiche di una foto, quali la resa cromatica, il contributo dello sfocato, la tridimensionalità della scena e molte altre ancora. Rimane un dato di fatto che la nitidezza, o la sua carenza in un’immagine, è una caratteristica facilmente individuabile da chiunque; ed è questo uno dei motivi che spinge molti fotografi alla ricerca di una nitidezza “assoluta”. Non di meno, bisogna ricordare che le potenzialità della fotografia digitale hanno alzato il livello medio delle fotografie realizzate anche da chiunque si cimenti nello scatto di immagini, quelli che gli anglosassoni identificherebbero come “casual photographers”. Poter quindi differenziarsi, almeno con immagini più nitide, è un buon biglietto da visita per dimostrare di saper gestire al meglio la propria strumentazione. Ma cosa rende davvero nitida un’immagine? Sono fondamentalmente quattro gli aspetti che vanno a formare un’immagine definibile come “nitida”. Due sono relative alla strumentazione utilizzata e le altre invece dipendono dalla corretta tecnica di ripresa adottata. Qualsiasi fotocamera reflex moderna offre un livello qualitativo minimo così elevato da non metterla in discussione per quanto concerne la nitidezza che può raggiungere; allo stesso modo, anche gli obiettivi, se usati nei settori per cui sono stati concepiti, forniscono immagini di elevata qualità.
Da sinistra a destra: foto corretta, sfocata e mossa. Questi ultimi due aspetti sono i maggiori
responsabili della carenza di nitidezza nelle fotografie.
I maggiori problemi che vanno ad intaccare la nitidezza di una foto provengono da altri due aspetti: la messa a fuoco e il mosso. Due aspetti che i meno esperti tendono a confondere, indicando un’immagine poco nitida come sfocata anche se in realtà risulta essere mossa o viceversa. Tralasciamo momentaneamente i problemi relativi alla messa a fuoco per i quali rimandiamo al documento “Guida rapida alle Impostazioni di ripresa su scene dinamiche”, per focalizzarci sulla questione del mosso e delle sue possibili soluzioni.
La subdola presenza del mosso o micromosso
Pochi errori, o difetti, di un’immagine sono poco correggibili in postproduzione anche con le incredibili potenzialità di un sistema digitale, come lo sono quelli generati da un’immagine mossa.
Maschere di contrasto o filtri per aumentare la percezione di nitidezza non sono molto efficaci su di un’immagine resa poco nitida in fase di scatto dal mosso. O comunque, rendono il compito molto arduo anche se affidato a software altamente specializzati in materia come il famoso Sharpener Pro 3.0 di Nik Software.
Ecco che diventa di estrema importanza cercare di evitare questo problema già durante la fase di ripresa. Il primo aspetto riguarda il tempo di scatto. Una regola empirica, nata all’epoca della pellicola, recita che per evitare il mosso nelle foto a mano libera occorre scattare con un tempo di scatto più veloce del reciproco della lunghezza focale dell’obiettivo. Ovvero, se si sta fotografando con un’ottica da 200mm, non bisognerebbe scendere sotto 1/200s. All’epoca del digitale, con la maggior capacità risolutiva dei sensori, andrebbe rivista con tempi di sicurezza un po’ più alti, ma se si ha una buona tecnica di scatto possono essere utilizzati lo stesso. Questo se si scatta con fotocamere FX, con il DX invece sarebbe preferibile utilizzare il fattore di moltiplicazione della focale equivalente (1,5x) anche al tempo di scatto. Arrotondando in eccesso, quindi, si potrebbe aggiungere uno stop al valore della regola empirica, ovvero, nello stesso caso sopra esposto, scattare ad almeno 1/400s.
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La stabilizzazione ottica VR opera con un decentramento effettuato elettronicamente quindi meccanicamente nel senso opposto al movimento rilevato dalla fotocamera.
Ciò permette di stabilizzare quindi “annullare” i movimenti del punto di ripresa ma nulla può sul movimento del soggetto.
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Usare questa semplice regola non mette però al riparo completamente da immagini mosse. Ci sono due altri aspetti da tenere in considerazione. Il primo riguarda il movimento del soggetto. Se presenta traslazioni veloci nel campo inquadrato, come nel caso di una macchina da corsa o un uccello in volo escludendo le variabili di panning, scattare con i tempi limiti consigliati dalla regola che abbiamo appena visto non assicurerà la certezza di immagini prive di mosso. In questo caso andrà quindi diminuito il tempo di scatto, calcolandolo in base all’esperienza e alla velocità e distanza del soggetto, in modo da garantire ancora una volta, fotografie prive di mosso. Il secondo aspetto invece è relativo alla tecnica di scatto.
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La corretta tecnica
di scatto permette
di minimizzare i problemi di mosso, anche quando si utilizza il sistema VR. A sinistra una classica posa scorretta, che porta a poca stabilità. Molto meglio invece tenere i gomiti appoggiati al corpo come ulteriore sostegno per la fotocamera.
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Anche la posizione delle gambe è importante per raggiungere la migliore stabilità. Meglio non unire i piedi ma divaricare leggermente le gambe.
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Anche per le riprese con il monopiede vale quanto visto fino ad ora con l’aggiunta di una certa distanza tra il punto d’appoggio del monopiede e i piedi, che vanno, come di consueto, ben divaricati in modo da creare tre punti d’appoggio ben distinti ed equidistanti.
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Una corretta impugnatura della fotocamera e una postura corretta del corpo durante le operazioni di scatto consentono di raggiungere i risultati sperati. Azioni invece prive di queste accortezze possono portare ad immagini mosse pur utilizzando tempi di scatto ritenuti, a torto, sufficientemente veloci per bloccare i possibili movimenti e vibrazioni della fotocamera. Sempre nell’ottica di evitare l’insorgenza di immagini mosse, è possibile sfruttare alcuni accessori appositi. Uno dei più classici è il treppiede. Uno strumento che consente di scattare con pose lunghe senza che le vibrazioni introdotte dalla fotocamera al momento dello scatto vadano ad influire sulla qualità. Un treppiede però deve essere dimensionato alla propria strumentazione.
Se si scatta con una Nikon D3100 oppure una Nikon D5100 e obiettivo 18-55mm f/3.5-5.6GII AF-S DX NIKKOR si potrà utilizzare un treppiede relativamente compatto e leggero, ma se la nostra strumentazione è costituita da una Nikon D700 o superiore e uno zoom AF-S NIKKOR 70-200mm f/2.8G ED VR II, di massa e volumi ben differenti, anche il treppiede dovrà essere di conseguenza più robusto, ovvero più grande e pesante, a parità di materiali utilizzati. Un secondo accessorio altrettanto valido è il monopiede. Il suo uso permette di contenere enormemente i micromovimenti della fotocamera durante lo scatto, permettendo di allungare i tempi minimi di scatto ritenuti validi per evitare foto mosse e lascia una maggiore libertà durante la ripresa, pur non consentendo tempi di scatto lunghi come quelli possibili con un solido treppiede. La terza opzione riguarda l’utilizzo del flash. Il lampo generato consente infatti di congelare il movimento sia del soggetto, sia quello generato involontariamente dal fotografo durante lo scatto. La sua portata però è limitata al raggio di copertura luminosa del lampeggiatore. Può essere una soluzione valida per un ritratto, per la macrofotografia, ma non lo sarà invece per la fotografia di paesaggio o quella sportiva alle lunghe distanze (sport motoristici).
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