Principio di funzionamento, leggi dell'ottica e postproduzione
I software di fusione dei livelli a fuoco si basano su un principio simile a quello dello stitch: ci deve essere una zona sovrapponibile fra i diversi fotogrammi in cui la nitidezza è comparabile. In pratica è necessario produrre immagini con le zone della profondità di campo che si sovrappongono. Questo è il solo modo per non avere zone fuori fuoco alternate a zone nitide.
In questo esempio si vede chiaramente il principio di funzionamento del software: si scattano diverse foto
con messa a fuoco variabile, se non si copre correttamente tutto il soggetto con immagini che abbiano zone sovrapposte
di profondità di campo, il risultato presenta zone di scarsa nitidezza. Il software non può ricostruire ciò che non c'è.
Poiché il digitale “ha una profondità di campo inferiore alla pellicola”, dovuta alla mancanza di spessore del piano di messa a fuoco (l'emulsione è invece tridimensionale), bisogna produrre molti scatti da montare assieme.
In macrofotografia si devono prevedere almeno 8-10 scatti con diversi piani a fuoco, ma possono essere anche di più, fino a una ventina, se si desidera nitido un soggetto piuttosto esteso in lunghezza.
Va da se che una tale massa di dati richiede una buona potenza di calcolo e, quindi, computer piuttosto potenti (meglio far girare il software con un sistema operativo a 64 bit e con schede grafiche performanti).
Lo scoglio successivo è dato da alcuni problemi dovuti alla fisica ottica.
Il primo problema è dato dalla variazione del rapporto di ingrandimento dovuto alla variazione della messa a fuoco. Questo è inevitabile, in quanto per variare la messa a fuoco si varia la distanza obiettivo-soggetto, che fa variare di conseguenza il rapporto di ingrandimento secondo la formula M=I/O=v/u (rapporto ingrandimento = dimensione immagine / dimensione oggetto = distanza obiettivo-sensore / distanza obiettivo-soggetto).
Questo si traduce in una variazione progressiva delle dimensioni dell'immagine del soggetto, fra quella in cui la messa a fuoco è sul primo piano e quella in cui è sull'infinito.
Non è risolvibile in ripresa, neppure fissando la messa a fuoco e muovendo la fotocamera, tecnica peraltro usatissima in macrofotografia. Anche in questo caso si ha la variazione di uno dei parametri fondamentali del rapporto di ingrandimento: la distanza obiettivo-soggetto.
I software sono però strutturati per ovviare a questo inconveniente, sovrapponendo le immagini in modo intelligente: ognuna viene analizzata e vengono riconosciute le diverse parti che la compongono anche se non allineate o spostate. Viene quindi generata un'immagine risultante in cui i livelli che la compongono contengono le immagini di partenza allineate e sovrapposte.
Al momento dell'elaborazione il software si trova di fronte a zone considerabili nitide su fotogrammi diversi. Deve quindi operare una scelta e non sempre ci riesce al meglio.
Si formano spesso degli “artefatti”, soprattutto ai bordi di zone con un salto di luminosità o di nitidezza elevati. È un problema comune ai due software e deriva direttamente dalla ripresa.
Questi difetti si manifestano come aloni o disegni di bordi, ripetuti in sequenza ravvicinata. Non c'è altro modo che toglierli con la postproduzione, cosa che richiede un minimo di manualità, ma è alla portata di tutti.
Helicon Focus è molto comodo e intuitivo, Photoshop è un po' più impegnativo.
Ecco la prima e l'ultima foto di una sequenza in cui è stata variata la messa a fuoco: si vede molto
bene la variazione di posizione e di dimensione delle diverse parti dell'immagine. Il software di fusione deve
eseguire le necessarie modifiche per normalizzare tutte le diverse immagini.
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