Stromboli e Vulcano
Fear and wonder
di Simone Prezzolini
«Per me è Idda, lei, perché è imprevedibile come una donna» spiega Zazà, la guida, fornendo la sua personale denominazione del vulcano di Stromboli, conosciuto e ribattezzato dai locali generalmente come Iddu, lui, una sorta di dio, natura divina che un tempo era attribuita ai fenomeni naturali incontrollabili. Ci si rende conto che l’escursione sullo Stromboli non sarà una passeggiata rilassante, a partire dal punto di ritrovo dove Zazà dissipa ogni iniziale frivolezza e bruscamente riporta all’attenzione della durezza dell’impegno preso. Il suo viso porta i segni visibili dell’inclemenza del tempo: guance paonazze, capillari scoppiati e occhi rossi testimoniano l’inesorabilità del suo lavoro. La meticolosità con cui auspica prudenza sembra un’esasperazione, paranoia maniacale, si scoprirà che così non è. Obbliga severamente a indossare scarpe da trekking a caviglia alta, giacche anti-vento, elmetti, luci per la ridiscesa notturna. Più che un’escursione, sembra un’entrata in guerra. «Il mitra dove si noleggia?», si pensa secondo un’ironia dettata dall’inconsapevolezza. I primi 400 metri di salita, seppur duri, sono percorsi con tranquillità, come una qualsiasi passeggiata tra la vegetazione che dimora la parte bassa del vulcano. Questa parte era in passato una zona atta alla coltivazione di vite, olivi e fichi, secondo il tipico metodo eoliano del terrazzamento.
Stromboli © Simone Prezzolini
Lo stacco tra la parte terrestre e quella “marziana” è netto. Si presenta davanti agli occhi un paesaggio improvvisamente desolato e impervio, dove sassi, sabbia e aridità fanno da padroni. La serena spensieratezza lascia lentamente spazio alla presa di coscienza della serietà della cosa e, mentre le gambe cominciano a cedere e a indurirsi, si procede in fila indiana zigzagando come una carovana tra pietre taglienti e fine sabbia nera. Si continua in rigoroso silenzio per non sprecare importanti energie fino alla sommità del vulcano, pensando intimamente «ma chi me l’ha fatto fare?». La risposta che ti investe è subitanea e imminente, è il vulcano stesso che la fornisce con un rombo assordante di tuono che riempie l’aria divenuta ormai gelida. Un vento tagliente arricchito di lapilli e frammenti di roccia sfrega contro il viso munito di maschera protettiva. Poi è il panico e l’incredulità: lo Stromboli ruggisce ancora ed esplode a circa 100 metri di distanza con un’eruzione meravigliosa di lava incandescente che illumina l’oscurità. Fear and wonder, paura e meraviglia per una visione impressionante della forza della natura che lascia attoniti ed eccitati allo stesso tempo. Mentre la terra trema sotto i piedi, la guida spiega che la situazione si sta facendo pericolosa, Iddu o Idda che dir si voglia si sta adirando a tal punto che velocemente bisogna ridiscendere il fianco della montagna. Percorrendo la sciara del fuoco con luci per orientarsi nella più totale oscurità, si smaltisce la tempesta di adrenalina da cui poco prima si è stati investiti, mentre le gambe sono ormai diventate due colonne di gesso. In modalità stand-by si giunge nel borgo ai piedi dello Stromboli e guardandosi alle spalle si riesce a vedere ancora una scintilla solitaria, una pietra ardente scagliata lontana dal vulcano, ultima traccia della sua furia che fa tornare alla mente la potenza maestosa di lui, Iddu, il gigante di fuoco.
Stromboli © Simone Prezzolini
Giallo fumante
di Giulia Bassanese
Man mano che si sale, il terreno cambia. Come i colori della roccia lavica. Lo sguardo abbraccia il pendio del vulcano. Da qui si può capire la morfologia dell’isola con la sua lingua di terra che si spinge verso Lipari. Vulcano, un’isola il cui nome fa da capostipite a tutte le montagne di fuoco della terra, si trova ad appena dieci minuti di aliscafo da Lipari. Solo il pensiero che tutti i vulcani del mondo si chiamino così per causa sua, dà un’idea dell’antichità di queste terre emerse. Terre di miti, come quello del dio Efesto, Vulcano, appunto, per i romani, figlio di Era e Zeus, dio del fuoco e fabbro divino. Quando i greci colonizzarono la Sicilia, identificarono le sue fucine con Andrano, sull’Etna, e con Vulcano.
Vulcano © Giulia Bassanese
La montagna è alta 400 metri sul livello del mare e, tramite un sentiero sabbioso, si può raggiungere il cratere in meno di un’ora di camminata. Arrivati in cima si entra in un mondo mitico di giallo puzzolente e fumarole accecanti, mentre la secca bocca del cratere mangia lo sguardo. Dal versante che dà sul mare, la terra soffia e il vento dirige il suo alito che opprime il respiro. Soffia dalle sue viscere, dipingendo le rocce attorno di color zafferano e rendendole così bollenti che diventa facile immaginare il dio Efesto intento a forgiare spade divine. Le fumarole di Vulcano sono l’attrattiva principale dell’isola, essendo degli oggetti di studio da parte di università di fama internazionale. Il naso pizzica e l’emozione è grande. I gas sono tossici, ma la vicinanza con la madre terra in attività toglie ogni preoccupazione. Come può una madre essere nociva? In quest’isola, infatti, c’è pure un luogo dove questa grande madre coccola e cura. Giù, a breve distanza dagli attracchi delle barche, ai piedi del faraglione dal quale si estraeva lo zolfo, si estende la Pozza dei Fanghi. Immergendo il proprio corpo nella terra fusa, ci si lascia medicare dalla natura. Benefici per la pelle, per le malattie ossee e respiratorie. Una simbiosi salutare. Lo sciacquo avviene nel mare di fronte, dove di nuovo questa madre vizia affettuosa, mettendo a disposizione una specie d’idromassaggio naturale, scaturito dalle sorgenti sulfuree sottomarine. Il tramonto rende il tutto ancora più caldo e accogliente, accompagnando il viaggiatore sulla via del ritorno inseguito da una scia di zolfo difficile da scrollare di dosso.
Vulcano © Giulia Bassanese
Scorci dal mare
di Nicole Contardo
«Faccio questo lavoro da trent’anni. Dal continente il biglietto costa caro, non tutti preferiscono venire a Stromboli per le vacanze, vanno a Ischia o Capri» dice Pippo. Il suo mestiere è raccontare l’isola, narrare le storie del vulcano durante le gite in barca attraverso cui è solito far conoscere ai turisti Stromboli, “Iddu”. Per mare, sotto le coste del vulcano, si può assaporare la parte emersa dell’edificio che s’innalza dalla superficie dell’acqua di 926 metri. La mente fatica a correre lungo la parte nascosta dei versanti, quella che sprofonda per circa 1700 metri. Fumo e lapilli si vedono anche da lontano, ma solo quando si è ai piedi delle pendici che portano fino alle bocche del cratere si comprende la sua potenza. Periodicamente dalle bocche la lava viene eruttata con impressionante violenza accompagnata da un boato che mette in vibrazione i sensi di chi è suo ospite. Le lingue rosse abbagliano, spaventano e lasciano senza fiato coloro che, non intimiditi dalla natura bellicosa, decidono di conquistare la meta più vicina al cratere o che optano per aspettare che la colata scenda verso il mare attraverso la sciara del fuoco accompagnata dalla caduta di massi. Dalle barche, ancorate nel buio della notte sotto la sciara, si ammira la lava che scivola, rotola, corre e poi sprofonda nel mare nero spegnendosi.
Stromboli © Nicole Contardo
Quando sorge il sole, l’isola cambia faccia. Nonostante il continuo borbottio del vulcano, quasi a ricordare la potenza latente, la luce svela un orizzonte interrotto da un faraglione sulla cui cima domina un faro. Il fenomeno vulcanologico che ha portato alla nascita prima del faraglione - che oggi prende il nome di Strombolicchio - e solo più tardi, a causa della deviazione del flusso lavico, ha portato alla formazione dello Stromboli è ancora in piena attività. Strombolicchio è ciò che rimane della lava solidificata all’interno del condotto vulcanico, il resto dell’edificio è andato via via distrutto.
Solo via mare si può raggiungere l’altro paese dell’isola, Ginostra. Il piccolo borgo è abitato da appena trenta abitanti nei mesi invernali, che si moltiplicano durante l’estate. Tra le piccole case, profumi, colori e storie non comuni. Il suo porto era definito il più piccolo al mondo, chiamato affettuosamente il “pertuso” e qualcuno racconta della magia di raggiungere il paese accompagnati dal barcaiolo che trasportava i passeggeri dalla nave alla terraferma con una piccola lancia. Dal 2004 non è più così, il porto è stato ingrandito permettendo l’attracco di navi e aliscafi. «Da quando c’è la nuova banchina è un po’ più semplice» dice Rosita, argentina, dal balcone di casa sua. «A sessant’anni ho deciso di andare in pensione». Sotto casa, il piccolo alimentari dove ha lavorato per una vita e che ora è passato alla figlia. Da quando ha conosciuto suo marito, trent’anni fa, ha lasciato il suo paese natale per trasferirsi a Ginostra. Anche Rosita, come tutti gli abitanti di questo paese, ha dovuto attendere fino a qualche anno fa per avere l’elettricità, che oggi è garantita dall’Enel anche attraverso un sistema di pannelli solari. Dal suo balcone affacciato sull’orizzonte Rosita saluta i vacanzieri con un sorriso «qui è un altro mondo» dice, poi sparisce nell’ombra di una tenda.
Stromboli © Nicole Contardo
Veni Vidi Vulcano
di Tobias Martin Marchetti
Avvolge il viaggiatore, Vulcano, tra fumee di primavera e odore di zolfo. Menta, lauro e immense mimose. I profumi, che questo luogo offre, incantano, quasi stordiscono chi vi si addentra. Potrebbe addirittura diventare pericoloso camminare, avvolti da meravigliosi incensi primaverili, su questa terra vulcanica non facilissima per tutti da attraversare. Se si sceglie di intraprendere la camminata su per il vulcano, la situazione riguardante gli odori si ribalta. L’odore di zolfo potrebbe provocare per qualche naso più raffinato un forte senso di nausea. Le fumarole che escono dalle viscere del vulcano emettono gas anche tossici, ma alimentano anche dei complessi industriali per la produzione dello zolfo. Certamente però è consigliabile provare ad arrivare in cima, magari stanchi, sporchi ma felici. La vetta offre il panorama di tutte e sei le altre isole dell’arcipelago eoliano, un punto di vista che nessun’altra delle sette sorelle offre.
Vulcano © Tobias Marchetti
Il fascino di un vulcano rende forse anche un po’ impotenti. Si può solo guardare e ammirare, magari immaginare che giù nei crateri più profondi del vulcano - che resta comunque un enigma, apparentemente tranquillo, dormiente dal 1890, temuto da alcuni esperti anche più dello Stromboli - Efesto, avvolto da fiumi di lava cocente, possa da un momento all’altro decidere di fare qualche scherzo, contro il quale, anche con le tecnologie avanzate, nulla si può. Quando si riscenderà, avendo ammirato qualcosa di tanto grandioso, ci si potrebbe sentire un po’ come Zarathustra di Nietzsche, che scende dai monti per mandare un messaggio, “per saltare i lenti e i dubbiosi” e insegnare agli uomini che non sono arrivati a comprendere il tutto, l’essenza, il mistero che la vita conserva.
Stromboli © Tobias Marchetti
Terra di Dio
di Manuela Paniccia
«Mi sono innamorata prima di Pippo e poi dell’isola, sono venuta qui trentuno anni fa e non sono più andata via» dice Anna, intenta a convincere i turisti francesi ad acquistare le escursioni che suo marito organizza con la barca. «È aprile e in questo periodo dell’anno Stromboli è visitata soprattutto da turisti stranieri, quelli italiani arrivano solitamente tra giugno e luglio». Il turismo è la risorsa dell’isola, il flusso è cominciato da quando Roberto Rossellini la fece conoscere al pubblico con “Stromboli, Terra di Dio”. Nei bar spesso si ritrova una foto della bella Ingrid Bergman o locandine del film. A dare il benvenuto quando si approda al porto c’è “Iddu”, come lo chiamano gli isolani cresciuti all’ombra della sua maestà. Lo Stromboli è «un vulcano gentile, un vulcano effusivo a differenza di Vulcano (nell’omonima isola) che è esplosivo, con un magma più viscoso e gas più potenti» spiega Nicolas una guida italo-francese esperta in vulcanologia che accompagna i turisti francesi in giro per l’Europa a esplorare i vulcani. «Iddu ti permette di avvicinarti, così come Vulcano, ma quando quest’ultimo esploderà ci sarà un’eruzione pliniana che potrebbe portare alla distruzione del vulcano stesso».
Stromboli © Manuela Paniccia
Sullo Stromboli lo scenario è potente: una pioggia di lapilli che fuoriescono a intervalli regolari, chi dice 10-15 minuti, chi dice mezz’ora. Perché Iddu è imprevedibile. C’è grande suspense in attesa della prossima attività, sia dal mare da dove si possono osservare la grande sciara del fuoco e le esplosioni in lontananza, sia dalla cima dove all’imbrunire accompagnati dalle guide ci si può avvicinare alle bocche e al fuoco, là dove il boato sordo che parte dalle viscere è più forte. È per questo che Stromboli è un’isola selvaggia, non si prescinde dal legame con Iddu. Anche fuori stagione, quando tutto è calmo, il vulcano non tace e gli abitanti lo ascoltano. «In questi giorni si fa sentire, è parecchio agitato, ma noi siamo tranquilli perché vuol dire che si sta sfogando e non ci riserverà nessuna sorpresa» dice Silvia proprietaria di un negozio di souvenir vicino la chiesa di San Vincenzo. Anna continua a vendere i suoi giri in barca ai turisti in lingue franche «Si vu vulé, stasera vu puvé allé alla sciara del fuoco». Anna è di Benevento e ha cresciuto qui le sue figlie. «Ora loro sono grandi e da qui a volte vorrebbero fuggire, hanno bisogno anche di andare al cinema una volta alla settimana e qui, come puoi vedere, non c’è molto per i ragazzi». E sorride ancora mentre racconta la sua vita, il suo sogno è «andare a Firenze, un giorno». «I vapori di questo vulcano ti entrano nelle narici e ti arrivano al cervello - continua - noi diciamo che ti viene la strombolite e da qui non te ne puoi più andare».
Vulcano © Manuela Paniccia
La montagna viva
di Matteo Bertuletti
Per secoli l’isola di Vulcano è stata temuta dall’uomo perché considerata la fucina di Efesto. A differenza delle altre isole dell’arcipelago e, nonostante la sua fertilità, non era mai stata stabilmente abitata a causa delle terribili eruzioni che da sempre l’hanno interessata. È impossibile venire a Vulcano e non sentire la presenza del gigante addormentato. I fenomeni vulcanici si incontrano anche vicino al porto, senza il bisogno di camminare molto. Si può far visita al fratello più piccolo, Vulcanello. Basta seguire la strada che conduce alla Pozza dei Fanghi e da lì continuare dritto, lungo la strada, fino a raggiungere l’istmo che separa la Baia di Levante da quella di Ponente. L’ultima esplosione di Vulcanello ha originato la colata lavica conosciuta come la Valle dei Mostri, che attira l’attenzione per le sue forme bizzarre. Quando si approda a Vulcano si percepisce immediatamente lo stretto contatto tra il cratere e il centro abitato: le attività e la stessa vita degli isolani dipendono da quel cono vulcanico così vicino ma anche così quieto da oltre un secolo. Si dice che la salita al Gran Cratere serva da allenamento per chi abbia intenzione di andare sullo Stromboli, basta lasciarsi guidare per un’ora abbondante da un sentiero di polvere vulcanica che si inerpica a zig zag modificandosi progressivamente in roccia sino al raggiungimento della vetta.
Vulcano © Matteo Bertuletti
Un tappeto di morbida sabbia nera riceve il visitatore e lo accoglie col profumo dei fiori che adornano questo campo lavico. Districandosi abilmente tra le volute di fumo e percorrendo la discesa verso l’interno del cratere ci si ritrova in una sorta di “paesaggio lunare”, una distesa di polveri e pietrisco. La sommità del cratere regala alla vista sensazioni forti e contrastanti: agli ampi orizzonti del mare e delle isole e alla bellezza dei colori - il giallo dello zolfo, il bianco dell’allume, il blu del mare, l’azzurro del cielo, il nero della lava indurita - si contrappone la drammaticità dei sibili e delle fumarole tossiche, segnali forti di una montagna viva. L’ultima eruzione del 1888-1890 ebbe un impatto devastante, in due anni distrusse ogni cosa e seppellì il tesoro di James Stevenson, quei vigneti simbolo di ricchezza e di fertilità della terra vulcanica. Sull’isola l’imprenditore-viaggiatore gallese aveva trovato un tesoro che gli fruttava grandi benefici, un’enorme fonte di ricchezza a cui non corrispose una sufficiente dose di gratitudine. La leggenda vuole infatti che l’eruzione fu la punizione divina alla superbia umana noncurante della natura, unica e vera padrona dell’isola. La consapevolezza che dal fondo del cratere, dove si trova il “tappo”, si siano scatenate nel passato le forze di una natura in grado di cambiare le forme del paesaggio, invita al rispetto e al timore per questo luogo palpitante di vita.
Stromboli © Matteo Bertuletti
Convivere con Iddu
di Carolina Napoli
Zazà raccoglie i suoi gruppi nella piazza della Chiesa di San Bartolo di Stromboli. Ha 60 anni, è una guida storica delle escursioni su Iddu (“lui”, il vulcano). Controlla con autorità che tutti i componenti della scalata abbiano scarponi giusti, occhiali protettivi, lucina e mascherina per la polvere. Quando si è pronti si comincia a salire, tutti in fila indiana, al passo costante della guida: una pausa ogni venti minuti, 900 metri e tre ore circa di cammino. Lui porta i gruppi ogni tre giorni, intramezzati da uno di pausa. La natura dei pendii conta fichi, macchia mediterranea, piante endemiche tra cui il citisus eoliano, che salendo di quota, si dirada lasciando metà della montagna brulla e scura. Poche parole per risparmiare l’energia e solo quando si perde la cognizione del tempo e dello spazio si arriva in cima. Temperatura che cala, vento che rincara. E poi il boato. Un suono che viene dalle viscere della terra. Le guide vigilano i gruppi mentre scattano foto all’esplosione, mantengono la calma, consigliano dove fermarsi e regolano i tempi della sosta, a seconda dell’umore del vulcano. Colonne di lava rossa, alte anche decine di metri, esplosioni a fungo e, dietro, il tramonto. I minuti passano e poi il buio. A ogni esplosione il vento scarica piccolissimi lapilli. Per scendere, Zazà conduce il gruppo per un sentiero sabbioso, sul pendio orientale. Per la polvere, si indossano mascherine e si accendono le lucine. Sopra tutto, un cielo stellato avvolge l’isola, tenuta volontariamente senza illuminazione durante le ore notturne per lasciare il palcoscenico alle uniche luci che contano: le esplosioni rosse. Le stradine del paese sono silenziose. Tutto tace ai piedi di Iddu. Come per rispetto. Di notte continuano le esplosioni che i visitatori temporanei dell’isola avvertono nel dormiveglia.
Stromboli © Carolina Napoli
Di buon mattino Domenico Russo passeggia sul lungomare davanti all’Hotel La Sirenetta, sostenuto dal suo bastone. Ha 92 anni, ha messo su «quella baracca» di albergo, nel 1951. Vita intensa, ha resistito agli anni dell’emigrazione che ha spopolato le Eolie e ha assistito all’eruzione del 1930: «Clamorosa, avevo nove anni e me la ricordo benissimo. La prima volta non si scorda mai» dice sorridendo. A Stromboli ci sta bene. Anche quando viveva a Roma, dove faceva il maestro, ogni estate tornava da Iddu per ritrovare la pace e lavorare in albergo, dove ha ospitato gente come Ingrid Bergman e Rossellini, ai tempi delle riprese di “Stromboli terra di Dio”. Quando poteva tornava anche d’inverno, quando i turisti scarseggiano, l’atmosfera è rilassata e il clima è così mite che «non serve neanche il cappotto» continua Domenico, «per tradizione lo indossavamo soltanto quando andavamo a messa la notte di Natale».
Vulcano © Carolina Napoli