Dopo l'inaugurazione a Lisbona e la prima in Italia presso la Fondazione Studio Marangonidi Firenze, la mostra fotografica Africa: See You, See Me prosegue - fino al 4 giugno - il suo tour alle Officine Fotografiche di Roma. Un progetto itinerante che «racconta la storia della fotografia africana e la sua influenza sull'immaginario non africano dell'Africa», spiega il suo curatore Awam Amkpa, «nonché la diaspora in tutte le sue diversità. Insieme, le fotografie sono testi di soggettività africane, archivi di storia e di società in via di sviluppo e metodi per comprendere come le immagini contribuiscono all'emancipazione».
33 fotografi internazionali, artisti africani e della diaspora, provenienti da diversi Paesi: Algeria, Camerun, Etiopia, Ghana, India, Mali, Marocco, Nigeria, Portogallo, Senegal, Sud Africa, Trinidad e Usa, cui si aggiunge un gruppo di fotografi italiani profondamente connesso alle tematiche del progetto espositivo. Tra essi, per citarne alcuni, si segnalano presenze storiche come Malick Sidibé (Soloba-Mali 1936, vive e lavora a Bamako), Leone d'Oro alla Biennale di Venezia 2007 e vincitore di innumerevoli premi internazionali; J.D. Okhai Ojeikere (Ojomo Emai-Nigeria 1930, oggi a Ketou). Ma anche Cedric Nunn (Nongoma-Sudafrica 1957, vive e lavora a Johannesburg); Zak Ové (Londra 1966, vive e lavora tra Londra e Trinidad); George Osodi (Lagos-Nigeria 1974, vive e lavora tra Lagos e Londra), Zanele Muholi(Umlazi-Sudafrica 1972, vive e lavora a Cape Town).
Per Awam Amkpa, «la mostra usa la pratica fotografica in Africa per attirare l'attenzione sui modi in cui gli africani rappresentano se stessi e la crescente influenza che queste auto rappresentazioni hanno nel modellare le modalità contemporanee con cui l'Africa viene fotografata. I fotografi africani hanno ereditato modelli di rappresentazione fotografica mutuati dagli archetipi coloniali che raffiguravano gli africani come parti di una storia di cui facevano parte ma sulla quale non avevano alcun controllo. Questo paradigma di oggettivizzazione ha incoraggiato una formula di presenza/assenza. Tale formula ha però iniziato a cambiare nel momento in cui i fotografi africani hanno cominciato a posare per le loro stesse fotografie, sembravano dire: la macchina fotografica deve vedermi come io voglio essere visto».
L'esposizione è «organizzata in tre parti»», racconta Awam Amkpa. «Una sezione presenta una serie di ritratti in esterno di africani che cercano di inquadrarsi nella realtà urbana nella quale sono emigrati. In questa sezione si evidenziano fotografi africani che in qualche modo si sono adattati, costringendosi, alle inquadrature e alle convenzioni fotografiche ereditate dai loro predecessori, maestri e colonialisti. Le fotografie in bianco e nero di Meissa Gaye, Seydou Keita, J. Bruce Vanderpuije, Ricardo Rangel, Okhai Ojeikere, Mamadou Mbaye e Malick Sidibe mettono in risalto un teso dialogo tra il fotografo e il soggetto fotografato nel momento in cui entrambi si uniscono per segnare gli spazi e la loro essenza di africani nei contesti fotografici. Altri temi in questa sezione includono la struttura delle città, delle società e delle comunità in fieri in Africa e le svariate rappresentazioni degli sguardi al di fuori degli studi dei fotografi nelle varie regioni del continente. La seconda sezione mostra i primi ritrattietnografici che suggerivano un'immagine dell'Africa come luogo selvaggio popolato dai primitivi dell'Europa, l'Altro. Abbiamo anche adoperato la strategia di rileggere queste fotografie per attirare l'attenzione sulle stesse come oggetti nel quadro della storia della fotografia. Quella storia era essa stessa un prodotto significativo di un mondo industrializzato che definiva non solo il progresso, ma descriveva coloro che erano al centro e alla periferia di questo progresso. La sezione finale presenta fotografie contemporanee dell'Africa e del popolo africano fatte da fotografi non africani che condividono una relazione dialogica con artisti africani. Di conseguenza, i loro lavori si sono propagati nelle sfere d'influenza africana, moltiplicando gli spazi nei quali gli africani sono fotografati come soggetti della storia».
Marco Ambrosi (Congo 1959, vive e lavora a Verona).
Nato in Congo da madre belga e padre italiano, inizia a fotografare giovanissimo. Ha esposto e pubblicato in Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Polonia, Grecia, USA, Cina, Nigeria, Slovacchia, Svezia, Lituania. Professore presso l'Università Statale di Kwara (Nigeria) ha sviluppato, con altri docenti, progetti di cooperazione basati sull'uso della fotografia. Ha pubblicato i volumi La Serra Oscura con testi di Luca Beatrice e Da ogni contrada vicina e lontana con testo di Giuliana Scimè (Giampaolo Prearo Editore). Luís (Pedro) Basto (Maputo 1969, Mozambico, vive e lavora tra Zimbawe e Mozambico).
Fotografo freelance e pittore. Cresciuto nelle province di Sofala e Zambesia, nel centro nord del Mozambico, è sposato con un'artista dello Zimbabwe, motivo per cui divide il suo tempo tra Harare (Zimbabwe) e Maputo. Il suo interesse per la fotografia si sviluppa grazie ad una camera oscura ereditata dal padre, comincia così a stampare a mano, immagini in bianco e nero, passando successivamente al colore. Il suo lavoro è inizialmente influenzato da Ricardo Rangel e dalla scuola di fotografia del Mozambico.
Ologeh Otuke Charles (Nigeria).
Fotografo alla guida di F16, ha lavorato a Lagos per dodici anni occupandosi di fotografia industriale e, parallelamente, come ritrattista. Matteo Danesin (Padova 1971, vive e lavora a Padova).
Inizia come fotografo specializzato in architettura, reportage ed editoria. Attualmente lavora per importanti agenzie pubblicitarie ed enti italiani, realizzando le immagini per la loro corporate identity. Collabora con l'Università di Padova e alcuni editori, tra cui Electa e Marsilio. Nel 2004 consegue il Talento Fotografico FNAC, premiato con una menzione d'onore e nel 2005 lo Special Award EpsonHuman Life Photo Category.
Delphine Diallo (Parigi 1977, vive e lavora a New York).
Nata da genitori franco-senegalesi è fotografa e artista multimediale. Si laurea nel 1999 all' Académie Charpentier School of Visual Art, iniziando a lavorare nel campo del design e dell'animazione. Con il lavoro fotografico Magic Photo Studio riceve nel 2007 la menzione d'onore al Winter Portfolio Picks (Aperture Portfolio Prize). Realizza questa serie nel 2005, viaggiando a St. Louis, antica capitale del Senegal, alla ricerca dell'identità culturale della propria famiglia. Nei suoi ritratti, ispirati alla poetica di Malick Sidibé, coniuga una visione personale che attinge al proprio background di graphic designer e illustratrice.
Soibifaa Dokubo (Nigeria).
Fotografo, attore e doppiatore, Soibifaa Dokubo è considerato un “documentarista culturale”.
Andrew Dosunmu (nato in Nigeria, vive e lavora tra New York e Lagos, Nigeria).
Fotografo e filmaker è cresciuto in Nigeria. Ha iniziato la carriera come assistente alla progettazione presso la casa di moda Yves Saint Laurent. Successivamente ha lavorato come Direttore creativo e fotografo di moda: le sue immagini sono state pubblicate su varie riviste internazionali. E' autore di film e documentari, tra cui Hot Irons (1999) premiato al Fespaco (Festival Panafricano di Cinema di Ouagadougou) e al festival di Toronto con il Reel Award. In Sud Africa, Dosunmu ha diretto gli episodi della serie televisiva Yizo, Yizo, che ha messo in scena il dibattito e le politiche sull'istruzione in Sud Africa dopo l'apartheid. Attualmente sta terminando il suo nuovo documentario The African Game che esplora il mondo del calcio in Africa. Le fotografie di questo lavoro sono già state pubblicate dalla Powerhouse Publishing. Restless City è il suo primo lungometraggio, entrato nel circuito cinematografico nel 2010.
Anirban Duttagupta (nato a Mumbai, India, vive e lavora a Mumbai).
Laureato in Visual Communication Design al NID (National Institute of Design) di Paldi, Ahmedabad (India), Duttagupta è attivo come freelance nel settore del design, web e multimediale, video e fotografia.
Angèle Etoundi Essamba (Douala, Camerun 1962, vive e lavora in Olanda).
Cresciuta in Francia, dove si è trasferita all'età di dieci anni, Etoundi Essamba si è trasferita in Olanda nel 1982, per studiare fotografia alla Fotovakschool Nederlandse. Il suo lavoro, fortemente emotivo, è incentrato sul rapporto tra uomini e donne, sia in Africa che nel resto del mondo. Immagini senza tempo, con simboli universali, le cui parole chiave sono orgoglio, forza e consapevolezza. Alla sua prima mostra, nel 1985, presso La Maison Descartes di Amsterda, ne sono seguite molte altre, tra cui la partecipazione alla Biennale dell'Avana (1994), Dak'Art 2008, Tea – tenerife Espacio de las Artes (2009), Musée Royale de l'Afrique Centrale, Tervuren in Belgio (2009-2010).
Inês Gonçalves (Malaga, Spagna 1964, vive a Lisbona).
Di nazionalità portoghese, benché sia nata in Spagna, Inês Gonçalvesè una fotografa attiva in vari settori, inclusa editoria e fotografia artistica. Insieme al filmaker angolano Kiluanje Liberdade, ha prodotto vari documentari a cominciare da Other Neighbouroods (1999), fino al più recente Luanda (Luanda Now). Prodotto dalla Noland Film nel 2009, questo documentario è un ritratto della capitale dell'Angola con la sua gente, i suoi colori, le sue strade piene di vitalità.
Patrizia Maïmouna Guerresi (Pove del Grappa, Vicenza 1951, vive e lavora tra Italia e Senegal).
Fotografa, videoartista e scultrice ha esposto a due Biennali di Venezia (1982 e 1986) e a Dokumenta,
Kassel (1987). Nel 1991 viaggia nell'Africa musulmana, dove aderisce al muridismo dei bayfall (sufi) che
segna le sue scelte tematiche artistiche,oltre che la sua vita, avendo acquisito una nuova identità con il nome di Maïmouna. Il suo lavoro é rappresentato dalla galleria Photo & Contemporary di Torino. Tra le mostre più recenti: Ars 11, Kiasma Museum Helsinki (2011); Pudeur et Colères De Femmes, Fondation Boghossian,Villa Empain, Bruxelles (2011); The Giants Rooms, Istitute de Culture de Fez - personale (2011); Frontier, Centrale Elettrique, Bruxelles (2010); Barakat, Stux Gallery, New York (2010); La Scultura Italiana del XXI secolo, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano (2010); Rencontres de Bamako 2009; mostra monografica Asilo Polittico, Lucca Digital Photo Festival 2009; Ahwal, Photo & Contemporary, Torino - personale (2010); L'Orient et L'Occident desorientès?, Fondation Boghossian, Flagey et Villa Empain, Bruxelles (2010).
Hassan Hajjaj (Larache, Marocco 1961, vive e lavora a Londra).
Alla base del suo lavoro c'è l'identità culturale, esplorata da Hajjaj – in base alla propria esperienza personale – con una certa ironica. Egli ricompone un universo multicolore, dove le icone occidentali si confrontano con gli stereotipi della tradizione islamica. L'artista respira nel club di Londra le culture emergenti, scoprendo e tessendo dei legami con il mondo della musica: reggae, hip hop e world. L'intero suo universo creativo ruota intorno al tema dell'identità. E' tra gli artisti invitati a partecipare ai Rencontres de Bamako 2009.
Lyle Ashton Harris (New York 1965, vive e lavora a New York).
Nel 1988 consegue il Bachelor in Fine Arts alla Wesleyan University di Mddletown, proseguendo gli studi con il master al California Institute of the Arts di Valencia (California) nel 1990; National Graduate Photography Seminar alla Tisch School of the Arts, New York University nel 1991 e Whitney Museum Of American Art, Indipendent Study Program, New York nel 1992. Il suo lavoro, che include fotografia, video e performance, è stato esposto a livello internazionale, dal Guggenheim Museum al Whitney Museum of American Art, Corcoran Gallery of Art, Walker Art Center, Institute of Contemporary Arts di Londra, Kunsthalle Basel e al Centre d'Art Contemporain di Ginevra. Lyle Ashton Harris HA partecipato alla 2^ Biennale Internazionale di Arte Contemporanea di Siviglia e alla 52. Biennale d'Arte di Venezia. Nel 2004 pubblica il suo primo volume monografico, Lyle Ashton Harris con un testo di Anna Deavere (Gregory R. Miller & Co.), a cui faranno seguito altri, tra cui Excessive Exposure: The Complete Chocolate Portraits (2010), con testo critico di Okwui Enwezor e prefazione di Henry Louis Gates Jr.
Uche Okpa-Iroha (Enugu, Nigeria, vive e lavora a Lagos, Nigeria).
Fotografo e attivista, obiettivo del suo lavoro è sensibilizzare l'opinione pubblica e la politica sui problemi della popolazione, come il diritto alla salute e il rispetto dell'ambiente. Molto appassionato di reportage e al ritratto di street art, Uche Okpa-Iroha è membro fondatore del collettivo noto come BlackBox. Ha fatto parte anche del laboratorio di fotografia FootballWorlds, presso il famoso stadio Maracanã di Ajegunle, in un distretto di Lagos, organizzato dal Goethe Institut. I suoi lavori sono stati esposti nella collettiva organizzata dalla Rocana Nigeria Limited in collaborazione con l'Alliance Francaise nella città di Enugu, dove ha vinto il secondo premio con il lavoro Late Nite Callers (2007).
Majida Khattari (Erfoud, Marocco 1966, vive e lavora a Parigi).
Studia alla Scuola di Belle Arti di Casablanca e, nel 1995, si laurea all'Accademia di Belle Arti di Parigi. Dal 1996 crea sfilate-performance ispirate alla situazione delle donne nell'Islam, mettendo in scena modelle che indossano abiti-sculture realizzati su suoi disegni. Khattari usa parallelamente fotografia, installazione video e film. Tra le collettive più recenti: Premises, NewYork Guggenheim (1998); Heaven, Kunsthalle Düsseldorf (1999); Mixing Memory and Desire, Lucerne Art Museum (1998-99); Modern Art in Oxford (2003-04); Veil. Veiling, Representation and Contemporary Art, The New Art Gallery, Walsall (2006); Rencontres de Bamako 2009.
Stanley Lumax (Plainfield, Stati Uniti, vive e lavora a New York).
Nato nel New Jersey da una famiglia ghanese, ha studiato alla Temple University, imparando che la passione unita al duro lavoro può aprire la vita a infinite possibilità. È definito la "X" Generazione di Clark Kent: pubblicitario di giorno e fotografo di notte. I suoi lavori più conosciuti sono AND1, le campagne sportive per importanti marche, come La città sta guardando e più recentemente Running. Autore del cortometraggio sul leggendario giocatore di basket newyorkese Dio Shammgod, prodotto dalla Greenpoint Pictures.
Zanele Muholi (Umlazi, Durban, Sudafrica 1972, vive e lavora a Cape Town, Sudafrica).
Fin dal suo esordio nel 2004, Muholi ha dato alla sua opera l'accezione di “attivismo visivo”, un modo diretto per affrontare i problemi della comunità lesbica sudafricana e affermarne i diritti. Portavoce del FEW (Forum for the Empowerment of Women) e reporter per Behind the Mask, rivista africana che affronta tematiche legate all'omosessualità, nel 2008 ha creato la squadra di calcio femminile Thokozani Football Club (TFC). In programma alla Galleria Extraspazio di Roma la personale dedicata all'ultima serie del work in progress Faces & Phases.
Malik Nejmi (Orléans, Francia 1973).
La sua fotografia si colloca al confine tra documentazione e etnografia. Fotografo autodidatta, si diploma in Audiovisivi/Letteratura. Alla base delle sue ricerche che indagano l'aspetto sociopolitico, ci sono i viaggi che compie prevalentemente in Bénin nel 1998 e 1999; Mali nel 2000, 2005 e 2006; Turchia nel 2002 e 2003; Messico nel 2003 e Marocco nel 2001, 2004 e 2005. Tra il 2001 e il 2005 realizza El Maghreb, un insieme di fotografie e testi che ripercorrono le sue origine marocchine. Espone ai Rencontres de Bamako nel 2005 e 2009; Rencontres d'Arles 2006; Mois de la Photo, Parigi 2008.
Cedric Nunn (Nongoma, KwaZulu-Natal, Sudafrica 1957, vive e lavora a Johannesburg).
Con Paul Weinberg, Peter Mackenzie e Omar Badsha, è tra i fondatori del collettivo fotografico Afrapix, poi agenzia fotografica a Durban. Nunn è uno dei fotografi più attivi nella documentazione della resistenza contro l'apartheid in Sudafrica. Nel 1994 fa parte del team di fotografi che documenta le prime elezioni democratiche per la Indipendent Electoral Commission.
Francis Nii Obodai (Accra, Ghana 1963, vive e lavora in Ghana).
Nato in Ghana, Francis Nii Obodai ha vissuto anche in Inghilterra e Nigeria. Nel suo lavoro esplora soprattutto le realtà urbane e rurali, con uno sguardo sempre coinvolto e attento che si relaziona anche alla storia, sua grande passione. Le sue fotografie sono considerate uno spazio vibrante. Egli indaga, anche attraverso numerosi viaggi nei vari paesi africani, il significato di Farafina, l'Africa nera. Un continente nel quale si fondono tradizione, improvvisazione e modernità. Nel suo lavoro accanto alla documentazione, c'è anche denuncia di quelli che sono i mali comuni, accettati troppo spesso con passività: la guerra, la corruzione, l'impotenza. Uno sguardo disincantato, ma che continua a trarre ispirazione dall'esplorazione dell'essenza vibrante della vita.
J.D. Okhai Ojeikere (Ojomo Emai, Nigeria, 1930; vive e lavora a Ketou, Nigeria).
Nato e cresciuto in un villaggio rurale della Nigeria, comincia a fotografare nel 1950 con una modesta Brownie. Focalizza il suo sguardo sulle acconciature dei capelli, simbolo di identità culturale e sociale. Partecipa a importanti eventi internazionali, tra cui la personale alla Fondation Cartier pour l'Art Contemporain di Parigi (2000), 100% Africa al Guggenheim di Bilbao (2006), Documenta 12, Kassel (2006).
Alfredo Muñoz de Oliveira (1959, vive e lavora a Figueira da Foz, Portogallo).
Nel suo lavoro si ispira alla fotografia di Bruce Davidson e Gerard Castello. “Non c'è una sola verità, ma una complessità di fatti che creano le storie di vita.” – spiega – “Per raccontare queste storie, copriremo tutti i fatti, sempre con umanità e dove l'escluso, o quelli dimenticati dagli altri, sono il nostro interesse principale. Questo è il nostro concetto di fotografia. Non cambieremo il mondo ma le nostre storie per scoprire le differenti realtà socio-culturali permettono una maggiore coscienza e comprensione su ciò che succede. Scriviamo le storie delle persone come se fossero le nostre, rispettando la nostra memoria collettiva”.
George Osodi (Lagos, Nigeria 1974, vive e lavora tra Lagos e Londra).
La sua vocazione è raccontare la condizione sociale della Nigeria. Inizia a collaborare con Gomet, un giornale locale di Lagos, entrando a far parte – nel 2002 – dell'Associated Press. Nel 2007 a Documenta 12 Kassel, partecipa alla collettiva Nigeria Oil-Rich Niger Delta. In Italia le sue fotografie sono esposte per la prima volta in occasione della collettiva Breaking News. Fotografia contemporanea da medio Oriente e Africa, organizzata dalla Fondazione Fotografia della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena (2009-2010).
Zak Ové (Londra 1966, vive e lavora tra Londra e Trinidad).
Artista e cineasta, nel 1987 consegue il Bachelor in Film as Fine Art alla St. Martins School of Art di Londra. Invitato ai Rencontres de Bamako 2009, divide il suo lavoro tra fotografia e cinema. E' artist in residence, nel 2007, alla CCA7 (Caribbean Contemporary Arts) di Trinidad, e vincitore di premi prestigiosi per i suoi corti (Festival del Cinema Africano di Milano, 2003). Nel 2010 realizza A Land So Far, film installation, Tate Britain di Londra).
Pauliana Valente Pimentel (Lisbona 1975).
Durante gli studi in Geologia ha viaggiato molto, soggiornando a lungo nei paesi che visitava (Tibet, Birmania, India, Mali, Egitto, Iran, Giappone, Timor Est). Realizza le sue prime fotografie durante il suo primo viaggio in Tibet, a 18 anni: scatta soprattutto ritratti, cercando di svelare il lato nascosto di ogni persona, di ogni cultura. Nel 2000, dopo un workshop a Lisbona con David Alan Harvey, acquisisce maggiore consapevolezza della fotografia, soprattutto di reportage frequentando, nel tempo, altri workshop con DAHarvey, Amy Arbus, Bob Sacha, Andrea Pistolesi, Alex Majoli e Erich Lessing. Il suo lavoro è stato esposto in mostre sia personali che collettive, e pubblicato sulle principali riviste portoghesi, tra cui Grande Reportagem, Cais, NotÃcias Magazine, Expresso. Lo sguardo di Pauliana Valente Pimentel indaga il rapporto tra le persone e il loro status sociale, ma anche gli spettacoli, il backstage, i momenti di vita domestica e quotidiana.
Malick Sidibé (Soloba, Mali, 1936, vive e lavora a Bamako, Mali).
E' considerato il più importante fotografo africano al livello internazionale. Vincitore del Leone d'Oro alla Biennale di Venezia (2007) e, tra gli altri, dell'Infinity Award – ICP – International Center of Photography (2008), del Premio Hasseblad (2008) e del World Press Photo (2010), Sidibé inizia a fotografare negli anni '50 documentando la vita sociale del suo paese nel passaggio dal colonialismo al post-colonialismo. Lo Studio Malick nel quartiere di Bagadadji è tuttora attivo.
Aldo Sodoma (vive e lavora tra Milano, Roma e New York).
Fotografo pubblicitario e di moda, Aldo Sodoma è autore di importanti campagne stampa. La passione per la luce discende dalle sue origini mediterranee. Il desiderio di celebrare il mistero dell'anima lo spingono a realizzare diversi ritratti. I suoi lavori sono stati esposti in Polonia, Francia, Inghilterra, Spagna, New York e naturalmente in Italia. Negli anni ha ricevuto importanti riconoscimenti: International Photo Award; primo premio YUXTA position, Artrom Gallery London; Fotonoviembre l'VIII International of Photography Tenerife. “Scrivo i miei racconti attraverso la fotografia,” – afferma – “rifletto sulla realtà con la fotografia e proclamo la mia esistenza con la fotografia. Quando non fotografo corro per 12 chilometri”.
Daniele Tamagni (Milano 1975, vive e lavora a Milano).
La predilezione per il reportage e la ricerca socioculturale lo portano a Brazzaville, in Congo, dove documenta la vita dei “sapeurs”, i dandy famosi per il loro culto dell'eleganza. Queste immagini, che si collocano tra reportage sociale e fashion, gli fanno aggiudicare il Premio Canon Giovani 2007 come miglior portfolio per la “ricerca iconografica fresca e originale”. Sono state pubblicate nel volume Gentlemen of Bacongo (Trolley books).
Hank Willis Thomas (Plainfield, Stati Uniti 1976).
Fotografo concettuale afro americano si occupa soprattutto di temi legati all'identità, alla storia e alla cultura popolare. Consegue il Bachelor in Fine Arts alla New York University's Tisch School of the Arts, approfondendo il linguaggio fotografico attraverso il master in critica visiva al California College of the Arts (CCA) di San Francisco. Visiting professor presso CCA e nei programmi MFA al Maryland Institute College of Art e ICP / Bard, l'artista ha tenuto lezioni all'Università di Yale, Princeton University, Birmingham Museum of Art e iMusée du Quai Branly a Parigi. Nel 2008 Aperture Foundation ha pubblicato la sua monografia Pitch Blackness. I suoi lavori sono stati esposti in gallerie e musei, tra cui la Galerie Anne De Villepoix di Parigi, la Goodman Gallery di Johannesburg, lo Studio Museum in Harlem, il Yerba Buena Center for the Arts di San Francisco e il Wadsworth Atheneum di Hartford.
Barthélémy Toguo (Camerun 1967, vive tra Bandjoun, Camerun, New York e Parigi).
Si è formato studiando arte all'Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Abidjan (Costa d'Avorio), all'Ecole Supérieure d'Art di Grenoble (Francia) e alla Kunstakademie di Düsseldorf (Germania). Alterna la fotografia alla scultura e alla produzione video. Tra le mostre più recenti: Mutations, Barthélémy Toguo /Martin Sulzer, Centro d'arte Contemporanea Ticino, Bellinzona (2011); Biennale internationale d'art contemporain, Melle, France (2011); ARS 11, Museum of Contemporary Art KIASMA, Helsinki (2011); Environment and Object in Recent African Art, Museum and Art Gallery at Skidmore College, NYC (2011); Promenade. 9, Fondation Kogart, Budapest (2011); Cissé / Toguo, Dak'Art Biennale de Dakar (2010); The Lost Dogs' Orchestra - Galerie Lelong, Parigi – personale (2010); Lyrics Night , Royal Museum of Bandjoun, Camerun – personale (2010).
Michael Tsegaye (1975, vive e lavora ad Addis Abeba, Etiopia).
Diplomato in pittura alla scuola di Addis Abeba, nel 2002 ha frequentato l'Università di Belle Arti e Design, abbandonando il linguaggio pittorico, a causa di un'allergia alla vernice. La fotografia è oggi il mezzo con cui si esprime. Non ama essere etichettato secondo stereotipi: “La mia vita, e quella di altri artisti africani, non si basa sulla povertà e sulle difficoltà che sono dei luoghi comuni.” – spiega – “Cerco piuttosto di capire il mio punto di vista della vita e nel 21° secolo per poi esprimerlo attraverso l'arte. Un'arte libera
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