Mimmo e Francesco Jodice
Due visioni, due generazioni, un padre e un figlio. Gli Jodice. Mimmo, classe 1934, e Francesco, classe 1967. Napoletani, fotografi-artisti. Due mondi espressivi molto diversi dal punto di vista formale, ma sospinti entrambi da una grande progettualità. In bianco e nero (quello di Mimmo, per lasciar spazio all'immaginazione e alla narrazione per emozioni) e a colori (quello di Francesco, un sistema di lettura, traduzione, consapevolezza del reale che è a colori). Presenti in contemporanea a Torino (Francesco, presso CAMERA) e Napoli (Mimmo, al Museo MADRE), con ampie retrospettive-esplorazioni-ricognizioni dedicate.
Il museo MADRE presenta fino al 24 ottobre Attesa. 1960-2016, la più ampia mostra retrospettiva mai dedicata a Mimmo Jodice, uno dei maestri riconosciuti della fotografia contemporanea italiana. In un percorso retrospettivo appositamente concepito dall'artista per gli spazi del museo, la mostra presenta più di cento opere in cui Mimmo Jodice esplora il mondo
intorno a noi soffermandosi sulle soglie di un tempo indefinito, delineando una dimensione posta al di là dello scorrere del tempo e delle coordinate spaziali, la dimensione sospesa dell'attesa. Un'attesa che è anche matrice di una pratica rigorosamente analogica della fotografia: l'attesa come ricerca paziente dell'illuminazione, spesso mattutina, in grado di rilevare l'essenza del soggetto rappresentato, o l'attesa come l'altrettanto paziente bilanciamento dei bianchi e dei neri in camera oscura.
E se, dal 1980, da queste opere scompare la figura umana - fino a quel momento presenza ricorrente - ciò a cui Jodice perviene è l'ineffabile eternità e il nitore assoluto di immagini in bianco e nero restituite dallo sguardo rivelatore di una macchina da presa che si fa "macchina del tempo" (o, meglio, del superamento del tempo), nell'affascinata perlustrazione del mondo, da quello più prossimo del ventre di Napoli alle sponde del Mediterraneo, con le loro vestigia di antiche civiltà ormai scomparse, fino agli incerti confini delle megalopoli globalizzate. Ognuno di questi scatti si fa suprema celebrazione dell'umano, colto osservando la realtà in tutte le sue espressioni sensibili e trasfigurata in una realtà fotografica che, prescindendo dalle differenti epoche o contesti, coincide con la costante reinvenzione della fotografia stessa, emancipata da un'interpretazione meramente documentaria, libera di esprimere le sue potenzialità rappresentative e conoscitive.
Nella sala Re_PUBBLICA MADRE è messa in scena, nel formato di una grande proiezione cinematografica (Teatralità quotidiana a Napoli, 2016), una selezione di immagini dalle serie dedicate, negli anni Sessanta e Settanta, alla città di Napoli. Sono gli anni di un’estesa e approfondita interpretazione fotografica della realtà. In queste immagini Jodice, senza mai ridurle a semplice documentazione, restituisce il senso stesso della propria epoca e della propria città, colti nelle loro irriducibili contraddizioni, con un'attenzione estetica che si traduce in impegno etico e antropologia democratica degli oggetti comuni, delle abitudini quotidiane, dei comportamenti collettivi, dei residui della Storia, delle ideologie e delle fedi. Un’analisi lucida che si erge a inno barocco, epistemologia lirica, chiaroscuro sociale e culturale: “teatralità quotidiana a Napoli”.
L'inizio e la fine del percorso espositivo sono dedicati a ricerche sperimentali, incunaboli di una fotografia che si
declina come investigazione concettuale delle potenzialità del linguaggio fotografico: in Vera fotografia (1979), l'immagine della mano dell'artista, intenta a scrivere a penna le parole del titolo, le riporta sulla carta fotografica come una vera scritta a penna. Analogamente, la stessa mano non rappresenta ma realizza un taglio (Taglio, 1978) e una bruciatura (Bruciatura, 1978). Sovvertendo l'interpretazione del mezzo fotografico quale mera registrazione del reale, Jodice oppone o sovrappone un elemento tridimensionale alla sua riproduzione fotografica (Ferrania, 1976, Carta d’identità, 1978, Vetro, 1978, Corrispondenza, 1979), così come strappa/accosta, satura/desatura diverse immagini fotografiche realizzando fantasmatici paesaggi che sono il risultato di inediti avvicinamenti spazio-temporali (Frattura, Paesaggio interrotto, Orizzonte, Strappi, Momenti sovrapposti).
Anche
i corpi, assottigliando la loro pretesa consistenza e singolarità, mutano grazie a rispecchiamenti (Autoritratto, 1963, Autoritratti con Emilio Notte, 1972, Frammenti con fiura, 1968) o giocando con i parametri e i meccanismi stessi di produzione dell'immagine fotografica (Nudi stroboscopici, 1966, o Studio per un nudo, 1967, in cui l’immagine finale viene "completata" dai provini delle altre sue possibili versioni). Fino a giungere all'autoanalisi sia del proprio strumento (Macchina fotografica, 1965) che degli innumerevoli accadimenti trasformativi in fase di stampa (Chimigramma, 1966).
Ne emerge tutta la libertà ideativa e compositiva di una pratica fotografica che aveva avuto inizio, del resto, da autodidatta, alla fine degli anni Cinquanta, non con l'uso della macchina da presa o della pellicola ma con l'uso di un ingranditore,
e quindi con i concetti extra-fotografici di tempo (di esposizione) e (grado di) luminosità. Una libertà che è anche quella con cui l'identità dell'artista viene riplasmata: esaltando il valore modernista della processualità rispetto al prodotto, e investigando al contempo, e con straordinario anticipo, le logiche del post-moderno citazionista e appropriazionista, nel 1978, nel progetto Identificazione presso lo Studio Trisorio di Napoli, Jodice ri-fotografa non solo le immagini ma anche le estetiche di altri fotografi quali Richard Avedon, Bill Brandt, Walker Evans, André Kertész, Ralph Gibson, Christian Vogt, esplorando le possibilità di "dilatazione o restringimento, sviluppo o riduzione" fotografiche.
Si succedono poi – in una stringente contiguità e continuità fra i tre differenti tempi del passato (prima sezione), del futuro (seconda sezione) e del presente (terza sezione) – opere da tutte le principali serie di Jodice, a partire dagli anni Ottanta, evocando un tempo circolare, ciclicamente ritornante su se stesso e sui suoi motivi ispiratori. Nella prima sezione si procede dalle radici culturali del Mediterraneo (ricerca avviata nel 1985) alle epifanie del quotidiano (Eden, serie del 1995 presentata in mostra in una nuova versione inedita). Così come, nella terza sezione, dal confronto fra volti e corpi della Napoli contemporanea e i capolavori delle collezioni del Museo Nazionale
di Capodimonte (Transiti, 2008) ci si volge alla relazione fra l'incanto
del paesaggio naturale e la fantasmagoria metropolitana delle città contemporanee.
Nella seconda sezione, collocata al centro della mostra, prende corpo la matrice visionaria e meditativa di tutta la ricerca di Jodice, quella creazione di un reale al di là della realtà che, rintracciando un corrispondente emotivo e intellettuale nel Surrealismo novecentesco (richiamato in mostra dall'opera di René Magritte L’amour, 1949), si dischiude compiutamente nel nuovo ciclo Attesa, posto da Jodice quale approdo ideale della mostra ma anche, allo stesso tempo, quale suo fulcro generatore e suo eterno ritorno: nello spazio-tempo dell'attesa di un futuro che mai si compie, Jodice non riconosce più lo spazio o il tempo reali, ma li ricrea, mentre il mondo e
la Storia, trasfigurati nel bianco e nero di un sublime mattino da camera oscura, sembrano essere ormai solo il ricordo di quello che erano, sono o saranno: il fantasma fotografico di un eterno istante dal mondo, di un suo giorno senza fine, in cui la maestosità caduca delle rovine di Palmira si trasfonde, per esempio, nella fragile imponenza delle Twin Towers di New York.
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia (inaugurato lo scorso ottobre a Torino e al suo terzo progetto espositivo) presenta fino al 14 agosto Panorama, prima ricognizione sulla carriera del fotografo e film-maker Francesco Jodice. La mostra, a cura di Francesco Zanot, presenta la più ampia selezione di opere di Jodice mai raccolta in una singola esposizione ed esplora vent'anni del lavoro di questo artista eclettico il quale, proseguendo una propria investigazione dello scenario geopolitico contemporaneo e delle sue trasformazioni sociali e urbanistiche, utilizza tutti i linguaggi della contemporaneità, alternando fotografia, video e installazioni.
Dalla vasta produzione di Francesco Jodice sono stati selezionati sei progetti paradigmatici che attraversano la sua carriera dagli esordi sino ai lavori più recenti, evidenziandone insieme la continuità e l'eclettismo. Una ricognizione che racconta tramite parole chiave un percorso ventennale che ha avuto come nuclei tematici la partecipazione, il networking, l'antropometria, lo storytelling e l'investigazione. Temi ampi e complessi, ma parte della quotidianità per un viaggiatore instancabile come Jodice, che con la sua opera ci mostra un mondo al contempo lontano e vicino.
Le 150 diverse metropoli di What We Want (1995-2016), vero e proprio atlante fotografico sull'evoluzione del paesaggio sociale, iniziato nel 1996 e ancora in progress, hanno forse più similitudini che differenze, così come i cittadini pedinati di nascosto del progetto The Secret Traces (1997-2007) e i tre casi-studio di Citytellers (2006-2010), serie di film su alcuni emblematici contesti geopolitici globali. Le fotografie di What We Want, realizzate a partire dalla metà degli anni '90, indagano la capacità della collettività di alterare il paesaggio urbano, trasformandolo a immagine e somiglianza della propria idea di comunità.
Il paesaggio diviene quindi proiezione dei desideri della popolazione tramite l'accumulo infinito di azioni piccole e grandi che trasformano forma e significato dei luoghi. Il nuovo paesaggio urbano non è più comprensibile tramite un unico punto di vista: richiede uno sguardo diverso e un approccio multidisciplinare che includa la topografia, la fotografia umanistica, l'arte concettuale, il montaggio e la scrittura. Ogni fotografia è affiancata a un breve testo di natura geopolitica, la cui trascrizione sulle pareti espositive viene affidata ai bambini della scuola media più vicina: un rito di iniziazione all'arte e all'impegno civile richiesto dalla società a ciascun individuo.
Secret Traces è una video-installazione sincronizzata su più schermi che indaga il senso di appartenenza alle comunità urbane. Si tratta di una serie di pedinamenti fotografici. Ogni persona scelta da Jodice in ciascuna metropoli viene pedinata a sua insaputa nel percorso tra la sua abitazione e la sua destinazione, sconosciuta all'artista quanto allo spettatore.
Con Secret Traces, Jodice investiga il rito della quotidianità e sottolinea le sorprendenti similitudini riscontrabili persino in aree urbane molto distanti tra di loro. Una volta eliminato quello che ci rende simili, ciò che resta è difficilmente riassumibile e classificabile: cosa rende un abitante di Tokyo diverso da un abitante di New York?
Questa ricerca di un carattere connotativo e distintivo dei cittadini delle diverse metropoli globali è il tentativo di definire il rapporto tra la pietra e l'uomo, tra la persona e il luogo, in una narrazione che vede le “vite minime” al centro dell’obiettivo.
Il progetto Citytellers è composto da una serie di tre film. Jodice sceglie São Paulo, Aral e Dubai, tre diverse aree critiche della geopolitica internazionale, come pretesto per osservare le trasformazioni sociali su temi quali l'auto-organizzazione, i disastri ambientali o le nuove forme di schiavismo. I film catturano frammenti della vita quotidiana cittadina, filmati con uno stile che combina i fatti documentati con un taglio cinematografico narrativo.
I tre film di Jodice vestono in modo simulato la forma del documentario per costruire un sistema di vasi comunicanti tra arte contemporanea e comunicazione di massa: i film sono allestiti simultaneamente negli spazi propri dell’arte (biennali, musei, fondazioni) e in quelli della comunicazione di massa (televisioni pubbliche, web, festival) allo scopo di produrre un travaso tra il pubblico dell’arte e quello generalista che indagano i mutamenti nelle maggiori megalopoli contemporanee, con particolare attenzione ai nuovi fenomeni sociali, politici, economici e religiosi.
Il progetto Ritratti di classe, portato avanti tra il 2005 e il 2009, è un album fotografico che ritrae gli studenti di alcune scuole elementari e medie di Torino, Vicenza, Ischia e Sassuolo. Francesco Jodice si è infatti sostituito ai fotografi incaricati di scattare la rituale foto di classe di fine anno e ha utilizzato questo canone tradizionale per catturare un'immagine dell'Italia futura. Ripensando al Grand Tour, il lungo viaggio di formazione attraverso l'Europa intrapreso dai giovani nobili a partire dal XVII secolo e che aveva l'Italia come meta privilegiata, Jodice si chiede cosa sia rimasto di quel Paese ammirato in tutto il mondo e quale sia la direzione verso cui stiamo andando. L'artista guarda alle nuove generazioni, dando forma a un'antologia sull'Italia futura e ritraendo il paesaggio umano che erediterà il paesaggio italiano, ricostruendo in questo modo un'immagine dei cambiamenti culturali in corso.
The Room (2009-2016) afferma che si può imprigionare e raccontare un anno di vita del Paese attraverso pagine di quotidiani cancellate da uno strato di vernice nera, dove le poche parole risparmiate sono sufficienti a restituire la temperatura di un'intera epoca nel buio quasi totale della stanza. Solid Sea (2002), progetto realizzato in collaborazione con il collettivo di ricerca territoriale Multiplicity originariamente presentato a Documenta 11 e qui riproposto in un allestimento concepito ad hoc per la mostra, trasforma invece il Mar Mediterraneo in uno spazio solido e compatto, unico confine stabile in un’epoca segnata dai conflitti e dalle continue revisioni delle identità nazionali.
Mimmo Jodice. Vive a Napoli, dove è nato nel 1934. Nel 1980 pubblica VEDUTE DI NAPOLI che segna una svolta nel suo linguaggio e contribuisce a fornire una nuova visione del paesaggio urbano e dell’architettura. Nel 1981 partecipa alla mostra EXPRESSION OF HUMAN CONDITION, curata da Van Deren Coke, al San Francisco Museum of Art con Diana Arbus, Larry Clark, William Klein, Lisette Model. Nel 1985 inizia una lunga e approfondita ricerca sul mito del Mediterraneo. Il risultato è un libro MEDITERRANEO, pubblicato da Aperture, New York, e una mostra al Philadelphia Museum of Art, a Philadelphia. Sue mostre personali sono state presentate nei seguenti Musei: New York, Memorial Federal Hall,1985; Pechino, Archivi Imperiali, 1994; Philadelphia Museum of Art, 1995; Kunstmuseum Dusseldorf, 1996; Maison Européenne de la Photographie, 1998, Paris; Palazzo Ducale di Mantova, 1998; Museo di Capodimonte, Napoli 1998; The Cleveland Museum of Art, Cleveland 1999; Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma 2000; Castello di Rivoli, Torino 2000; Galleria d’Arte Moderna, Torino 2000; MassArt, Boston 2001; Wakayama, Museum of Modern Art, Japan 2004, The Museum of Photography, Moscow 2004; Museu de Arte de Sao Paulo 2004; Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto 2004; Istituto Italiano di Cultura, Tokyo 2006, Galleria d’Arte Moderna, Bologna 2006; Galleria d’Arte Moderna, Bologna 2006; Spazio Forma, Milano 2007, Museo di Capodimonte, Napoli 2008, Palazzo delle Esposizioni, Roma 2010, Maison Européenne de la Photographie, Parigi 2010. All’artista sono stati conferiti infine diversi riconoscimenti quali nel 2003 il Premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, nel 2006 la Laurea Honoris Causa dall’Università degli Studi Federico II di Napoli, nel 2011 l’onorificenza di Chevalier de l’Ordre des Art et des Lettres e, nel 2013 e 2016, la Laurea Honoris Causa dell’Università di Architettura di Mendrisio e dell’Accademia di Belle Arti di Macerata.
Per saperne di più:
mimmojodice.it
Francesco Jodice. È nato a Napoli nel 1967. Vive a Milano. È docente di Fotografia presso il Master in Photography and Visual Design organizzato da NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, Milano, e tiene un corso di Antropologia Urbana Visuale presso il Biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali dello stesso istituto. È stato tra i fondatori dei collettivi Multiplicity e Zapruder. Ha partecipato alla Documenta, la Biennale di Venezia, la Biennale di Saõ Paulo, alla Triennale dell’ICP di New York e ha esposto alla Tate Modern, al Castello di Rivoli e al Prado. Le sue ultime personali comprendono: American Recordings, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino, 2015; Weird Tales, Galleria Michela Rizzo-Palazzo Fortuny, Venezia, 2015; Cronache, Galleria Umberto Di Marino, Napoli, 2015; La notte del Drive In: Milano spara, ex fabbrica Alfa Romeo, Milano, 2013; Francesco Jodice, Podbielski Contemporary, Berlino, 2013; Citytellers, messa in onda, Cinema Giorgione, Venezia, 2012; Umea – Spectaculum Spectatoris, Bildmuseet, Umea, Svezia, 2012; Francesco Jodice, Galleria Michela Rizzo, Venezia, 2012; Prado – Spectaculum Spectatoris, QAGOMA – Queensland Art Gallery, Brisbane, Stati Uniti, 2012.
Per saperne di più:
francescojodice.com