Paesaggio Italia
Fotografia istantanea applicata a luoghi, spazi, paesaggi e orizzonti italiani. Una ricerca fotografica iniziata già nei primi anni '90. Diverse modalità tecniche e di espressione, dalle singole polaroid ai mosaici. Un’antologia fuori dall'ordinario, più di 150 immagini di luoghi scelti da Maurizio Galimberti e fermati con la sua Polaroid. Paesaggio Italia, un inedito Grand Tour in mostra a Venezia, a Palazzo Cavalli Franchetti, fino al 12 maggio, a cura di Benedetta Donato. Accanto alla mostra, prodotta dalla Casa dei Tre Oci e Civita Tre Venezie con la collaborazione di GiArt, un libro con oltre 300 opere, edito da Marsilio, che ripercorre tutta la ricerca sul paesaggio dell’autore. Dai testi critici della curatrice, di Denis Curti, di Michele De Lucchi e Giuseppe Mastromatteo, abbiamo selezionato degli estratti per porre delle questioni a Galimberti, e realizzato così un’intervista di “autori” che di seguito proponiamo.
Venezia, "Rialto Blitz" 2012 © Maurizio Galimberti
Tra le diverse traiettorie possibili, Maurizio cerca l’astrazione, ma deve fare i conti con il senso di appartenenza, con i punti fermi e riconoscibili delle architetture, con il fascino delle piazze, con la forza abbagliante della luce della Puglia, con la patina di commozione della pianura, con l’orgoglio barocco della Sicilia. Con Milano, la sua città. Qui vive e lavora. Per certi tratti il percorso visivo si fa autobiografico e Galimberti non si risparmia. Scatta senza sosta nuovi mosaici e immagini singole. Riporta in luce alcune polaroid scattate negli anni ’90, prova della sua dedizione e fedeltà verso una certa idea di italianità, che sono destinate a restare sullo sfondo: pedine utili a non perdere la strada. (Denis Curti)
Una ricerca sulle visioni delle città e degli spazi che ho affrontato lungo il mio percorso in parallelo alla ricerca dei ritratti inizialmente realizzati proprio qui a Venezia durante diverse edizioni del festival del Cinema. Mi hanno aiutato i lavori precedenti su luoghi come New York, Berlino, Londra e gli itinerari in città italiane come Napoli e Venezia. Paesaggio Italia è stato un passaggio ulteriore e anche naturale che ha potuto contare su contributi e commenti d’eccezione. C'è la voglia di raccontare questo paese partendo dalla magia dei luoghi ma evitando i luoghi comuni. Sono andato dove mi portava il cuore, ho scelto istintivamente i posti: la Puglia, la Sicilia, Milano, la Roma del Colosseo, la Toscana dei monumenti trasfigurati. Un Grand Tour molto intimo e personale con la Polaroid. Per me la Polaroid ha densità, ‘sangue’ e materia, mi permette di fare scatti con colori straordinari. Un mezzo che non determina la mia libertà creativa, ma la agevola. La mia Polaroid-passion nasce in realtà dall’impazienza di non voler aspettare i tempi della camera oscura. Non mi interessava riprodurre la realtà davanti ai miei occhi su un negativo, quanto piuttosto utilizzare un mezzo che facesse già da filtro. Un mezzo che di per sé re-interpretasse il reale. Ed era proprio la Polaroid che mi ha consentito di giocare al meglio con le avanguardie storiche che da sempre mi appassionano.
"Noto 1998" © Maurizio Galimberti
Il suo sguardo sembra ispirato dall’idea che, dal Dadaismo ai giorni nostri, ha condotto l’arte a liberarsi dalla pratica della manualità per dare maggiore forza e intensità all’atto mentale e progettuale che precede il tutto. In occasione di un recente workshop, Galimberti commenta una slide con questa frase: Quando la fotografia si scopre mezzo di comunicazione, un puro, semplice ed efficace strumento d’interpretazione della realtà, apre davanti a sé infinite possibilità espressive, che vanno ben oltre la sfera della tecnica, per abbracciare quella del vedere e del sentire. (Denis Curti)
Mi piace pensare di usare il medium fotografico. In molti miei scatti singoli o nei mosaici si muovono contaminazioni di varie radici artistiche e concettuali. Mondrian e Duchamp per esempio continuano a ispirarmi per la loro poetica. Che siano scatti singoli, mosaici o ready-made si tratta sempre di una fotografia di ricerca e dell'istinto che mi spinge a realizzarla. Ma al di là delle tecniche che sperimento, alla base di ogni foto c’è sempre uno stato d’animo, una situazione mentale, una sensazione e una situazione che determina un tipo di lavoro piuttosto che un altro. E poi manipolo. Solo manualmente, non ho mai sperimentato e utilizzato la fotografia digitale. Con la Polaroid da quando si scatta a quando l’immagine si solidifica passano circa due minuti e in quel breve lasso di tempo, facendo pressione con dei bastoncini di legno o con delle punte o semplicemente con le dita si possono ottenere risultati incredibili.
"Venezia 1996" © Maurizio Galimberti
Singletude. Le Polaroid singole di Galimberti non sembrano solo appunti di viaggio per sottrarre all’oblio i momenti focali. Che riquadrino silhouettes o giochino con i riflessi, le sovrapposizioni, le ombre - anche quella dell’artista, a formare un autoritratto - o che privilegino porzioni di cielo e di mare, scorci di città, dettagli di monumenti o angoli anonimi, le immagini restituiscono una dimensione strettamente personale, intima, declinata secondo un registro lirico. (Denis Curti)
Non mi piace la visione ovvia della realtà ma quando si tratta di un’unica immagine vuol dire che è riuscita ad avere per me un concentrato di significato. Con la polaroid singola quello che mi interessa è l'elemento imperfetto, l'unicità di quello che ho davanti e che voglio esaltare. L’effetto finale per chi la osserva può essere pop, impressionista, metafisico o semplicemente realista, sfiorare il sogno. Spesso surreale, sì. E il surreale fotografato nel reale è magico perché in uno scatto così definito c'è una magia senza tempo.
Milano, “DitticoDuomoNegatoAccesso” © Maurizio Galimberti
Mosaici. La fortuna del nome di Galimberti su vasta scala è probabilmente legata ai suoi famosi mosaici, ossia a quei quadri composti da una serie di singole Polaroid allineate come tessere e incollate secondo una precisa sequenza. La visione d’insieme fornisce la chiave per apprezzare il soggetto nella sua - sempre parziale - interezza. L’artista sottopone le forme a un moto centrifugo, che ne scompone le fattezze in una miriade di schegge; il loro successivo assemblaggio restituisce una sorta di unità e una certa leggibilità. (Denis Curti)
Il mosaico sintetizza la mia ricerca-ossessione del ritmo, della perfezione estetica della realtà così come io la vedo. Da sinistra verso destra, dall'alto verso il basso compongo le architetture, i volti, i paesaggi. L'emozione è sempre legata alla composizione. I mosaici sono immagini dinamiche, esperimenti sulla ripetizione, un'ossessione geometrica e maniacale nei confronti dell'equilibrio compositivo.
Italia, "Italia XVIII-XIX secolo” © Maurizio Galimberti
Ready-made. Galimberti reinterpreta, con spirito ludico e creativo, il ready-made di origine duchampiana. Appropriandosi di oggetti diversi - lettere, cartoline, mappe, immagini, riproduzioni fotografiche, fogli pubblicitari - ne tramuta la natura attraverso l’impiego della Polaroid. Nel suo procedere, scatta su porzioni selezionate dell’oggetto, lo riquadra, ne isola particolari a volte significativi, a volte marginali, preleva campioni. Poi assembla i risultati, li accosta, li unisce, li incolla e su tutto pone il marchio dell’artista: il timbro con il proprio nome, oltre che strumento, diviene un segno di appropriazione che sancisce la consapevolezza dell’operazione. (Denis Curti)
Con i ready-made gioco e soddisfo quasi il mio bisogno “fisico” di interagire e di impossessarmi della realtà, di quello che mi circonda… ritrovo oggetti quotidiani che siano riviste, vecchi manifesti o cartoline, e gli restituisco una vita nuova, un nuovo ruolo. I ready-made sono gli oggetti mangiati, fotografati, digeriti che diventano un "unicum", tutto e niente, realtà e irrealtà, gioco non gioco.
Alberobello "Futur Trulli Dancing", 2012 © Maurizio Galimberti
L’esercizio compositivo, in musica così come nella fotografia di Galimberti, tende alla ricerca dell’armonico. Il risultato è il ritmo, la ricerca dell’armonia nel dialogo tra tempo e spazio, nella geometria dell’incanto che l’artista stesso definisce “liricità nello spazio”. Suonare la musica di un luogo, di un edificio, di una città, di una strada e saperne ritrasmettere la magia, vuol dire vedere lo spazio come una realtà da comporre che ha un inizio e una fine, che appare sotto forma di spartito musicale sul quale scrivere le note. (Benedetta Donato)
Mi piace definirmi un musicista e vedere la realtà come uno spartito da riempire. Con la fotografia suono lo spazio e il mosaico è il mio spartito. Un po' come faceva Glenn Gould che suonava le variazioni di Goldberg rimanendo avvinghiato al pianoforte, mettendoci tutto se stesso. Quando fotografo mi sento così, la polaroid che esce dal mio scatto è paragonabile alla nota che sentiamo quando si preme un tasto del pianoforte. Sono molto contento che anche il Maestro Nicola Piovani, Premio Oscar e compositore che ammiro molto, si sia espresso positivamente su questa analogia. Lui dice che l'arte dell'assemblaggio delle immagini fotografiche percorre una strada per molti versi tecnicamente simile a quella che approda alla partitura. Porre-insieme, com-porre dei suoni o delle immagini come le fotografie, è un'operazione di strutturazione, cioè un processo linguistico che dal senso dei singoli elementi - suoni o immagini - ricava un nuovo senso espressivo, che non è la somma, ma la sintesi dialettica degli elementi singoli di partenza. Suono lo spazio cercando la perfezione e l'armonia dei singoli elementi, delle linee, dei pieni e dei vuoti, dall'inizio alla fine seguendo il mio ritmo attraverso scatti lirici e poetici... musicali.
Milano "Galleria Cupolaosa Futurdinamica", 2009 © Maurizio Galimberti
L’artista Galimberti sperimenta con gioco, sintonizzando le proprie potenzialità espressive con quelle del medium, passando dalla spettacolarizzazione geometrica dei luoghi e dei volti, alla ricerca di frammenti d’intimità, di un’altra dimensione, del sogno. Si sofferma su una specifica realtà, colta in una miriade di dettagli apparentemente marginali, così come possono essere gli scorci o gli oggetti della consuetudine nella vita quotidiana. Scatti singoli, piccole serie di immagini manipolate, isolano il particolare e immediatamente assumono le sembianze di un’esistenza che acquista una propria identità, degna di essere raccontata. (Benedetta Donato)
Come il Cosimo del Barone Rampante di Calvino. Quando arrivi in una città vai sugli alberi e decidi di scendere quando vuoi te. Una volta scendi e scatti per fare un mosaico, una volta scendi per uno scatto singolo. È la situazione che ti fa scendere. La Polaroid è per me un mezzo straordinario, che mi fa stare bene, non ho bisogno d'altro per scattare. Il mio teleobiettivo è fare un passo avanti, il mio grandangolo è farne uno indietro. Se quello che vedo non mi piace, non mi emoziona allora non scatto per forza. Mi faccio sempre guidare dalle emozioni, dagli odori, dall'istinto.
"Motyia 2011" © Maurizio Galimberti
Galimberti raramente controlla ciò che ha scattato, ha sempre ben in mente i pezzi che andranno a comporre il puzzle fotografico più ampio, perché l’opera è nella sua testa ancora prima del click iniziale. Maurizio gioca con la realtà, la filtra e la distorce per raccontare tutti i lati della verità, belli o brutti che siano. Il palazzo diventa ‘multi palazzo’ e il paesaggio diventa ‘multi paesaggio’ come un grande grattacielo diventa infinito e sfaccettato nelle sue molteplici rappresentazioni fotografiche. (Giuseppe Mastromatteo)
Il soggetto è fermo e mentre fotografi sei tu a dargli movimento attraverso la scansione che tu stesso fai del soggetto. Scompongo e ricompongo, e il vigore fisico che metto nel costruire l’opera lo vedo riaffiorare nel vigore estetico delle mie opere più grandi in dimensione. Da qui i multipalazzi e multipaesaggi, ma più che una fotografia 3D sono un modo più ampio di raccontarci una verità: il mezzo è soltanto l’estensione dello sguardo che ha bisogno di molto più di una fotografia per narrare la realtà. Perché la fotografia deve lasciare la porta socchiusa all’immaginazione di chi la guarda. La risposta non è una ma sono cento, mille, perché tante sono le possibilità di elaborazione e i modi di guardare la stessa realtà, le emozioni che ti suggerisce.
Nora- Sardegna, “Torre Musicata” 2007 © Maurizio Galimberti
Maurizio Galimberti ha dedicato la vita a rompere e ad aggiustare le immagini. Sono ormai 30 anni che rompe e aggiusta e lo sa fare molto bene. Si potrebbe dire che Maurizio Galimberti è un tipo molto coerente. In realtà decompone e compone, decompone la realtà e la ricompone come immagine. Questo tipo di operazioni è molto tipica di un certo modo di fare arte, perché considerare il dettaglio per realizzare un insieme permette di analizzare con cura e attenzione soggetti e argomenti che la convenzione nasconde ai nostri occhi. Lo hanno già fatto altri, ma Maurizio Galimberti ha raffinato ed evoluto questo metodo fino a farlo diventare un linguaggio espressivo molto personale, molto identificato, molto Galimberti. (Michele De Lucchi)
Il mio amore per la fotografia nasce da un'attitudine che ho avuto fin da piccolo di guardare la realtà e di fissarla ogni volta in un'immagine. Lo facevo osservando e contando i cavalletti per i ponteggi. Sono un geometra mancato e appena diplomato affiancavo mio padre nella sua impresa edile. Andando nei cantieri con lui, osservavo i palazzi avvolti nelle strutture d'acciaio dei ponteggi e mentalmente, anziché contare i livelli dei ponteggi, facevo finta di scattare fotografie e scomponevo bene l'immagine che avevo davanti. Ho cominciato a fotografare molto presto, ad avvicinarmi a correnti come il Fotodinamismo dei fratelli Bragaglia, il Futurismo, il Bauhaus e il Dadaismo. Mi interessava conoscere l'arte e farmene contaminare. È stato importante confrontarmi con maestri come Franco Fontana, Marco Ferreri, Bruno Munari, Gabriele Basilico purtroppo scomparso qualche giorno prima dell'inaugurazione della mostra che ho voluto dedicare proprio a lui.
Capri 05 © Maurizio Galimberti
Un'opera, una fotografia o meglio un percorso artistico scaturisce da un'insieme di interazioni, dall'attenzione che l'artista ha nei confronti del contesto culturale in cui vive, lavora e interagisce. Dalla sperimentazione che considero fondamentale: penso alle prime esperienze nel 2010 con il marchio Impossible, l'azienda produttrice di pellicole analogiche istantanee che all'inizio presentavano delle piccole imperfezioni. Ho pensato di enfatizzare l'errore, di sottolinearlo, di dilatarlo ingrandendo le immagini e stampandole su carta cotone di formato 50X60, enfatizzando ancora di più l'elemento imperfetto, dilatando i bianchi e i neri e conferendo agli scatti un'atmosfera "altra", quasi onirica, un'immagine senza tempo, un risultato assolutamente inaspettato. Proprio l'errore che si è presentato sotto forma di elemento del tutto casuale, mi ha consentito di dare una nuova prospettiva alla mia visione e al mio modo di fare fotografia. Secondo me nella realizzazione di un'opera e di un percorso artistico, se non entra in gioco un elemento diciamo così imprevisto nel tuo modo di fare fotografia, difficilmente riesci ad evolverti e a cambiare prospettive. Se penso agli inizi, soprattutto alla mia ricerca e al mio lavoro sui mosaici, cercavo di realizzare delle scansioni perfette e rigorose dello spazio… oggi cerco l'emozione in ogni singolo frammento. Pur perseguendo un certo rigore compositivo, sono le emozioni che si sperimentano nell'arco di una vita e tu stesso, a entrare nella tua opera e in qualche modo la alleggeriscono, la semplificano, dotandola di musicalità e di armonia.
Autoritratto © Maurizio Galimberti
Le pellicole Impossible hanno avuto un'evoluzione esponenziale in termini di resa e qualità sia per quanto riguarda il bianco e nero che per il colore. Impossible ha salvato milioni di fotocamere che rischiavano di essere gettate via perché non più utilizzabili ed oggi sono diventate il mezzo espressivo, in contrapposizione al digitale, di vecchi e nuovi artisti di tutto il mondo.