Quando si opera in macro, o a distanza ravvicinata, la profondità di campo può essere un problema. Questa eXperience cerca di far luce sulle diverse soluzioni offerte da Nikon per ottenere la massima profondità di campo quando ci si avvicina al rapporto di ingrandimento di 1:1
Il test
La prova ha visto la preparazione di una finestra di 24x36mm ritagliata in un foglio di carta millimetrata. In questo modo è stato possibile inserire un righello per controllare l'estensione della profondità di campo nelle diverse situazioni e verificare eventuali differenti inquadrature derivate dall'utilizzo anche di ottiche non espressamente nate per la macrofotografia e quindi non garantite per raggiungere il rapporto di ingrandimento voluto. Si è cercato di scattare nelle condizioni di massima PdC, ovvero con il diaframma minimo disponibile per ogni configurazione. Il fuoco è stato effettuato, con la fotocamera stabilmente ancorata ad un treppiede, a mano tramite la funzione zoom del Live View per garantire la massima precisione. L'utilizzo di luce flash per l'illuminazione ha inoltre eliminato eventuali rischi di micromosso che potrebbe minare la nitidezza delle singole immagini.
Da quanto emerge dai test, l'aspetto più interessante è la difficoltà dei sistemi FX ad offrire una profondità di campo rilevante. Si tratta ovviamente di limiti fisico/ottici difficili da aggirare e che vengono ulteriormente evidenziati dalla capacità di mostrare in modo più netto il passaggio tra zone a fuoco e quelle fuori fuoco dei sensori di grandi dimensioni (e delle ottiche a focale maggiore utilizzate su di essi). Il passaggio al formato DX permette di avvantaggiarsi di una profondità di campo mediamente superiore, a prescindere dal sistema ottico utilizzato. Se lo scopo, infatti, è raggiungere una profondità di campo maggiore di 4 centimetri vicino al rapporto di ingrandimento relativo di 1:1 è sufficiente il classico zoom AF-S VR Micro-Nikkor 105mm f/2.8G IF-ED accoppiato al kit Nital 512262 Reflex Macro Close-Up.
Questa soluzione non raggiunge il livello qualitativo offerto da una vera ottica macro, e non è questa la sede per una valutazione quantitativa di questa caratteristica, ma permette di ottenere fotografie con una profondità di campo di oltre 40mm.
L'adattatore Nikon FT-1 consente di montare le ottiche Nikkor reflex sulle piccole fotocamere del sistema Nikon 1.
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L'utilizzo di un sensore in formato CX di una Nikon 1 unito a una qualsiasi ottica macro del sistema reflex Nikon tramite l'adattatore FT-1 permette di estendere la profondità di campo a oltre 5 centimetri, inquadrando un'area di 24x36mm. Questo risultato è raggiungibile sia con l' AF-S Micro Nikkor 105mm f/2,8G VR ED, sia con le altre ottiche micro del catalogo Nikon, ovvero AF-S DX Micro Nikkor 85mm f/3.5G ED VR, AF-S Micro Nikkor 60mm f/2.8G ED e AF-S DX Micro Nikkor 40mm f/2.8G. Una simile profondità di campo è poi raggiunta potendo utilizzare un diaframma minimo pari a "solo" f/40, in quanto la distanza di ripresa per inquadrare un'area di 24x36mm sul piccolo sensore in formato CX è ben superiore a quella necessaria con lo stesso obiettivo per coprire il medesimo campo inquadrato ma su sensori DX o FX.
Le quattro ottiche macro utilizzate nel test, pur offrendo una nitidezza e una qualità indiscussa, abbinate a sensori di dimensioni differenti, mostrano profondità di campo piuttosto eterogenee.
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Infine i risultati della COOLPIX P7800 dimostrano come anche una compatta che per motivi progettuali (diaframmi più chiusi su queste dimensioni sensore procurerebbero un eccesso di diffrazione) consente di chiudere il diaframma al massimo a f/8, possa comunque rivaleggiare con soluzioni più raffinate sulla carta. Abbiamo evitato di utilizzare la funzione macro nativa della fotocamera, disponibile solo con ottica in posizione grandangolo per via della forte differenza prospettica e per la distanza di lavoro tra soggetto e lente frontale piuttosto esigua. Abbiamo invece utilizzato con la lente Close-Up 4D di FilterFix per consentire di sfruttare anche la posizione tele dell'ottica in macro e mantenere, in questo modo, una certa distanza dal soggetto. Applicando una lente addizionale Close-Up +4 si riesce effettivamente a raggiungere il rapporto di ingrandimento relativo voluto, ma il diaframma minimo f/8 non consente di andare oltre a circa 30mm di profondità di campo massima. Si tratta comunque di un valore già molto interessante. Per cercare una soluzione, abbiamo provato a inquadrare un'area di dimensione doppia, ovvero che rappresentasse un rapporto di ingrandimento relativo pari a 1:2, per poi sfruttare l'elevata risoluzione del sensore della Coolpix e ritagliare solo la parte centrale relativa all'area di 24x36mm. In questo modo si riesce ad incrementare in modo evidente l'estensione della profondità di campo senza intaccare in modo sensibile la qualità complessiva dell'immagine ritagliata. La stessa tecnica è stata utilizzata anche con l'AF-S Micro NIKKOR 60mm f/2.8G ED su reflex DX ottenendo un risultato del tutto comparabile. Sfruttando così l'elevata risoluzione - 24Mpixel - delle recenti reflex DX, come la Nikon D3300, D5300 e D7100, è possibile ottenere immagini con un'elevata profondità di campo. Ovviamente la tecnica è trasferibile anche ai corpi FX, che possono avvantaggiarsi del crop in formato DX disponibile a menù, comportandosi così, a tutti gli effetti, come un sensore in formato DX nativo.
Dal test si evince che ci sono diverse soluzioni nel nutrito catalogo di fotocamere e obiettivi Nikon per poter raggiungere un'elevata profondità di campo anche quando si inquadrano aree piuttosto ristrette. 24 x 36mm di campo inquadrato significa operare a un rapporto ottico di 1:1 reale quando si scatta con sensori Full frame.
I risultati ottenuti con le reflex con sensore pieno formato FX, apparentemente deludenti, vanno però visti nel loro complesso. Se è vero che la PdC è inferiore, è altrettanto vero che il passaggio tra zone a fuoco e quelle fuori fuoco sono molto più marcate ed immediate da riconoscere. Su sensori di dimensioni inferiori tale effetto è meno evidente, in quanto la diffrazione provocata dall'impiego di diaframmi molto chiusi risulta più evidente e nasconde la fase del terminatore, in cui la zona a fuoco diviene effettivamente sfocata. Nella pratica si ha effettivamente una minore profondità di campo, ma la zona di fuoco appare leggermente più nitida. Si tratta di sfumature, ai più magari nemmeno apprezzabili, ma è corretto indicarne la presenza. Con questo non significa che le immagini ottenute da sensori di dimensioni inferiori (DX, CX e sensori delle compatte) siano "poco nitidi", ma che l'utilizzo di diaframmi molto chiusi va gestito con oculatezza.
Se un dato sistema permette di raggiungere 56mm di PdC, ma il soggetto da riprendere è profondo solo 35mm, l'utilizzo del diaframma massimo e di una PdC sovrabbondante non solo non porterà a nessun giovamento nella lettura dei dettagli sul soggetto, ma, anzi, incrementerà l'effetto della diffrazione abbassando lievemente la nitidezza anche nelle zone di fuoco.
In molti casi ciò potrebbe non essere particolarmente apprezzato sulla foto finale, ma quando si cerca la massima nitidezza possibile allora occorre tenerne conto ed utilizzare il diaframma di lavoro più opportuno. Non troppo aperto per evitare sfocature, ma nemmeno troppo chiuso, se effettivamente non è necessario.
Un'ultima considerazione riguarda l'estensione della profondità di campo rispetto al piano di messa a fuoco. L'estensione non è infatti equamente distribuita davanti e dietro al soggetto, ma si estende con una proporzione che è circa di un terzo verso la fotocamera e due terzi verso lo sfondo.